Cabra Pier Giordano
La rosa
2024/5, p. 40
«Coroniamoci di boccioli di rosa prima che avvizziscano» (Sap 2,8)

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La rosa
«Coroniamoci di boccioli di rosa prima che avvizziscano»
(Sap 2,8)
Sono il fiore più celebrato dai poeti, il più amato dagli innamorati, misterioso come l'amore. Sono infinite le mie specie, incalcolabili i miei colori, innumerevoli i miei significati. La mia forma avvince, il mio profumo seduce, la mia varietà stupisce. Canto la vita che fiorisce e sfiorisce, che attrae ed ha le spine, che incanta e ferisce. E potrei continuare sulle ali della poesia che spuntano facili in coloro che mi contemplano.
Ma posso camminare anche con i piedi ben piantati per terra, partendo proprio dalle parole che la Bibbia attribuisce agli empi: «Coroniamoci di boccioli di rosa prima che avvizziscano» (Sap 2,8). E così io divento il simbolo di coloro che dicono: «La vita è breve e triste e non c'è ritorno quando viene la nostra fine. Godiamoci i beni presenti, non ci sfugga nessun fiore di primavera» (Sap 2,1). Per costoro «che dicono queste cose sragionando», io rappresento l'occasione da prendere al volo, l'attimo fuggente da afferrare, la ricerca della felicità qui e ora.
Dalla parte opposta ci sono quelli che fanno fiorire i miei splendidi boccioli solo nell'altra vita, riservando a questa vita le spine. Qui in terra io produrrei il gambo con le spine, mentre il fiore sboccerebbe oltre il tempo, nell'Empireo, formando la candida rosa dello stupendo paradiso immaginato da Dante.
È inutile dire che la prima schiera è assai più numerosa, ma non mi sento a mio agio in loro compagnia, perché mi fanno rappresentare solo i piaceri materiali, le gioie effimere, quale unica consolazione ad una vita senza prospettive, breve e inutile. La seconda schiera è assai più esile, è più nobile, appannaggio dei grandi mistici e consolazione degli infelici. Mi trovo meglio con loro, ma queste nobili prospettive non mi pare possano essere per tutti e, soprattutto, non dicano tutto. La vita dei figli e delle figlie degli esseri umani è composta come me, fin d'ora, da spine e da fiori, da prove e da gioie, da fiori che vengono dalle spine e da spine che producono petali e profumi e bellezza.
La mia poesia è quella che fa scaturire la lode, estraendola dal poema della creazione, poema incompiuto, che anticipa nel tempo qualche cosa del compimento dell'eterno.
«Quando guardo a occhi aperti ciò che tu, mio Dio, hai creato,
possiedo già qui il paradiso.
Tranquilla raccolgo in grembo
rose, gigli e ogni fronda verde
mentre lodo i tuoi prodigi.
A te ascrivo le mie opere.
La gioia scaturisce dalla tristezza
E la gioia rende felici»
(Ildegarda di Bingen).
Non posso tuttavia lasciarvi senza confidarvi che il sogno di noi rose, di ogni rosa, è quello di avvicinarci alla Rosa senza macchie e senza spine, a Maria, «la Rosa in che '1 Verbo divino / carne si fece» (Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso XXIII, 73-74). È in questa Candida Rosa che sfociano e si perdono i nostri sogni di rose, i vostri sogni di innamorati della bellezza, e il sogno del Creatore di ogni magnificenza. In lei ogni poesia è realtà e ogni realtà è poesia, perché in lei l'eterno ha baciato il tempo e il tempo ha preso le ali verso l'eterno. E i suoi petali non cadono, e i suoi colori si ravvivano e il suo profumo non cessa di rallegrare l'universo intero.
PIER GIORDANO CABRA