Centolanza Chiara Grazia
E gusterai la dolcezza nascosta
2024/5, p. 28
Il Signore tutto a noi si ofre come ad amici, amanti, facendoci capaci di Lui e donandosi ai nostri sensi, dolcezza da gustare e di cui gioire. Sulle orme della Madre di Dio.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
VITA CON DIO
E gusterai la dolcezza nascosta
Il Signore tutto a noi si offre come ad amici, amanti, facendoci capaci di Lui e donandosi ai nostri sensi, dolcezza da gustare e di cui gioire. Sulle orme della Madre di Dio.
Nella sua Terza Lettera ad Agnese di Boemia, Chiara di Assisi utilizza un’immagine tratta dall’architettura monastica per descrivere la vita cristiana e contemplativa:
«Stringiti alla sua dolcissima Madre, che generò un figlio tale che i cieli non potevano contenere (cfr. 1Re 8,27), eppure lei lo raccolse nel piccolo chiostro del suo sacro seno e lo portò nel suo grembo di ragazza».
Per imparare a contenere l’Incontenibile, ella la esorta a stringersi alla Vergine: il testo originale dice adhaereas, cioè aderisci, sta’ attaccata (cfr. Sal 72, 28; Mt 19, 5; Mc 10, 7; Lc 16, 13; Ef 5, 31; Rm 12, 9; 1Cor 6, 17) a lei, che è parvulo claustro, chiostro piccolino.
Chi è stato a San Damiano in Assisi, attualmente santuario e convento dei Frati Minori, ma che ha accolto intorno al 1211-ʼ12 Chiara e le prime sorelle, divenendone per circa quarant’anni dimora, si ricorderà certo della semplicità e della povertà degli ambienti originali. Possiamo immaginare che, camminando e pregando in quel chiostro angusto, ella facesse continua memoria dell’umiltà dell’Incarnazione dell’Altissimo, che si degnò prendere la carne della nostra umanità e fragilità lasciandosi contenere nel grembo della Vergine, specchio ed esempio di quei piccolini ai quali il Padre si compiace rivelarsi (cfr. Lc 10, 21) e ai quali Francesco voleva somigliare, lui che amava definirsi e firmarsi frate Francesco piccolino - parvulus. E così, Colui che i cieli non possono contenere, come già aveva compreso il re Salomone che pure gli costruì un tempio maestoso, ecco che fa della creatura umana la sua sede, la sua dimora. E quanto più essa è piccola e umile, tanto più viene resa paradossalmente capace di contenerlo. Stringersi allora alla Madre poverella è seguirne le orme, specialmente quelle di umiltà e povertà, è assumerne la forma.
La persona umana, capax Dei:
la forma mariana dell’esistenza
Prosegue quindi Chiara:
«Chi non avrebbe in orrore le insidie del nemico dell’uomo, che attraverso il fasto di beni momentanei e glorie fallaci tenta di ridurre a nulla ciò che è più grande del cielo? Ecco, è ormai chiaro che per la grazia di Dio la più degna tra le creature, l’anima dell’uomo fedele, è più grande del cielo, poiché i cieli con tutte le altre creature non possono contenere (cfr. 2Cr 2,6) il Creatore, mentre la sola anima fedele è sua dimora (cfr. Gv 14,23) e sede, e ciò soltanto grazie alla carità di cui gli empi sono privi, come afferma la Verità stessa: Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui (Gv 14,21.23). Come, dunque, la gloriosa Vergine delle vergini lo portò materialmente, così anche tu, seguendo le sue orme (cfr. 1Pt 2,21), specialmente quelle di umiltà e povertà, senza alcun dubbio lo puoi sempre portare spiritualmente nel tuo corpo (cfr. 1Cor 6,20) casto e verginale, contenendo colui dal quale tu e tutte le cose sono contenute (cfr. Sap 1,7), possedendo ciò che si possiede più saldamente rispetto agli altri possessi transitori di questo mondo».
In queste parole di Chiara possiamo scorgere un’immagine cara alla tradizione della Chiesa d’Oriente, che proclama Maria Platytera ton ouranón, ossia «Più vasta dei cieli», poiché ha contenuto nel suo grembo il Creatore dell’universo.
Quest’espressione, che si diffuse a partire dal Concilio di Efeso, sembrerebbe appartenere a Basilio Magno, secondo il quale Dio creò il corpo di Maria ampio a tal punto da poter accogliere il Figlio incarnato. Un papiro del VI secolo canta: «Ave, Madre di Dio, o pura di Israele! Ave, o tu, il cui seno è più vasto dei cieli! Ave, o santa, o trono celeste!». E la Chiesa d’Oriente nella divina liturgia: «O Vergine, superiore ai cherubini e ai serafini, più vasta del cielo e della terra, tu sei apparsa superiore, senza confronto, a tutta la creazione visibile e invisibile. Colui che le immensità celesti non possono contenere, tu lo hai accolto nel tuo seno, o pura».
Ma ciò che è accaduto nella Madre di Dio, accade anche in ogni cristiano, nell’anima fedele innanzitutto attraverso la grazia del battesimo (Chiara parla della carità, che è Dio stesso e che è dono dello Spirito) e poi attraverso l’ascesi, quale risposta grata e collaborazione stupita dell’uomo al dono ricevuto. Così Gregorio di Nissa insegna:
«Sappi come il tuo Creatore ti ha onorato al di sopra di ogni creatura. Non il cielo è un’immagine di Dio, né la luna, né il sole, né la bellezza degli astri, né alcunché di ciò che si può vedere nel creato. Tu solo sei stato fatto ad immagine della realtà che supera ogni intelligenza, somiglianza della bellezza incorruttibile, impronta della vera divinità, ricettacolo della beatitudine, sigillo della vera luce. Quando ti volgi verso di lui, tu divieni ciò che è egli stesso. […] Nessuna delle cose che esistono è dunque tanto grande da poter essere paragonata alla tua dimensione. Dio può misurare tutto il cielo con il suo palmo. La terra e il mare sono chiusi nel palmo della sua mano. E tuttavia lui, che è così grande e contiene tutto il creato nel palmo della sua mano, tu sei capace di contenerlo, egli dimora in te e non trova angusto muoversi entro il tuo essere, lui che ha detto: Abiterò e camminerò in mezzo a loro (Lv 26, 12)».
L’uomo è reso capace di Dio, diviene per grazia ciò che è egli stesso.
Nel mondo latino da Agostino in poi si affermerà, a partire dalla contemplazione e dalla riflessione orante del mistero del Natale, l’immagine dell’uomo che possiede o porta interiormente il Cristo:
«E quale posto esiste in me, in cui il mio Dio possa venire dentro di me, lui che creò il cielo e la terra? Esiste così qualcosa in me, Signore mio Dio, capace di contenerti? O forse il cielo e la terra che tu hai creato e nei quali hai creato anche me, ti possono contenere? Oppure, poiché senza di te nulla esisterebbe di quanto esiste, accade che quanto esiste ti contenga?».
Bernardo di Chiaravalle afferma: «Sarei in profonda angoscia e languirebbe il mio spirito se non sentissi il Signore stesso affermare: Io e il Padre mio verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Ora finalmente so dove posso preparargli una dimora, poiché solo colui che è la sua immagine può contenerlo. Capace di lui è l’anima, realmente creata a sua immagine».
La vita di preghiera affonda le sue radici di possibilità in questa radicale e inalienabile costituzione della persona umana, creata capax Dei, cosicché la sua prima e compiuta vocazione sembrerebbe quella mariana: fare di sé, in sinergia con l’operazione dello Spirito, un chiostro piccolino, capace dell’Altissimo e di tutto ciò che egli ama, fino a divenire, secondo un’espressione di Francesco, «Vergine fatta Chiesa». Un io «più vasto dei cieli», anima ecclesiastica, direbbe Origene, in quanto in lei, attraverso la grazia santificante del battesimo e la pratica delle virtù, il Verbo si forma e cresce, e prende vita il mistero della Chiesa, suo Corpo. Io piccolino e povero, ma misteriosamente allargato fino a possedere, per sola grazia e misericordia del Donatore, «ciò che si possiede più saldamente rispetto agli altri possessi transitori di questo mondo».
Quale meraviglia: il Signore del cielo e della terra è nostra eredità, nostra terra, nostro possesso! E in fondo che cos’è l’Eucarestia se non il sacramento del possesso? Prendete, mangiate. Prendete, bevete.
«Nulla dunque di voi trattenete per voi,
affinché tutti e per intero vi accolga Colui che tutto a voi si offre»
Al movimento di Dio, che si offre alla sua creatura, permettendole di portarlo e contenerlo in sé, quasi suo possesso saldo e duraturo, risponde, o potrebbe rispondere, il nostro porci con la totalità di noi stessi in Lui, nulla trattenere, totalmente aperti, esposti al suo sguardo, alle sue mani, che possano prenderci, corpo e sangue dati, consegnati, offerti:
«Poni la tua mente (cfr. Mt 22,37) nello specchio (cfr. Sap 7,26) dell’eternità, poni la tua anima nello splendore della gloria (cfr. Eb 1,3), poni il tuo cuore nella figura della divina sostanza (cfr. Eb 1,3) e trasformati tutta, attraverso la contemplazione nell’immagine della sua divinità (cfr. 2Cor 3,18), per sentire anche tu ciò che sentono gli amici, gustando la dolcezza nascosta che Dio stesso fin dall’inizio ha riservato ai suoi amanti».
Tutto di noi è invitato ad entrare in Gesù Cristo, nel Figlio dell’Altissimo, che è specchio dell’eternità, splendore della gloria, figura della divina sostanza, perché venga trasformato completamente in lui. Mente, anima, cuore, tutta la persona, le sue parti più nascoste, ciò che può rimanere segreto anche ai nostri stessi occhi, alla nostra coscienza. Tutto.
Ma quando Chiara scrive «Poni», non chiede semplicemente di stabilirsi dentro, quasi atteggiamento quietistico, quanto di entrare nello stesso dinamismo di offerta del Figlio di Dio, che ha dato - ha posto - la sua vita per le sue pecorelle (Gv 10, 18), che ha vissuto l’amore più grande, dare - porre - la vita per i propri amici (cfr. Gv 15, 13; 1 Gv 3, 16; Gv 13, 37-38). «Poni» allora è offri tutto te stesso, donati tutto, non trattenere nulla di te, lasciati prendere corpo e sangue. Dallo stupore per il bel Pastore che tutto si offre e si dona e tutto ci offre e ci dona, fiorisce l’urgenza grata e lieta di offrirsi totalmente a lui, e, in lui, di donarsi, restituirsi ai fratelli e alle sorelle, alle «membra cadute del suo ineffabile Corpo», di seguirlo nella sua stessa offerta e donazione. «Poni», ossia assumi i suoi tratti, divieni lui, lasciati trasformare in colui che contempli e prendi, accogli i suoi sentimenti e la sua volontà.
…per gustare quanto è buono il Signore
E, ci assicura Chiara, riceverai in dono la «dolcezza nascosta» che Dio riserva a chi l’ama, anticipo di una partecipazione piena alla sua vita divina a cui ci verrà dato di prender parte, allorquando colui che si è fatto cibo e bevanda in questa vita, passerà davanti a noi e ci somministrerà se stesso,
continuando a farsi cibo nell’Eterna Eucaristia.
Chi sono io, cosa siamo noi? Fame e sete.
Chi sei Tu, dolcissimo Iddio? Cibo e bevanda, Corpo e Sangue.
Eterna Dolcezza offerta al nostro gusto.
sr CHIARA GRAZIA CENTOLANZA osc
Monastero SS. Trinità, Gubbio