La restitutio al popolo di Dio latinoamericano e caraibico
2023/9, p. 4
«Ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti».
Proponiamo la seconda parte dell’articolo di Rafael Luciani sull’attuale fase di ricezione del Concilio attraverso una lettura approfondita delle dinamiche sinodali.
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CAMMINI SINODALI
La restitutio al popolo di Diolatinoamericano e caraibico
«Ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti».
Proponiamo la seconda parte dell’articolo di Rafael Luciani sull’attuale fase di ricezione del Concilio attraverso una lettura approfondita delle dinamiche sinodali.
Il processo di restitutio è stato attuato nel continente latinoamericano e caraibico attraverso 4 assemblee regionali che hanno discernito il DTC del Sinodo nei mesi di febbraio e marzo 2023. Ogni regione ha elaborato la propria sintesi e «dal 17 al 20 marzo si è tenuto un incontro presso la sede del CELAM a Bogotá (Colombia) per redigere la sintesi continentale basata sui contributi di tutte le assemblee. Sono stati invitati i membri dell'Equipe di Riflessione Teologica Pastorale (ERTP) del CELAM (molti dei quali hanno partecipato alle assemblee), i facilitatori che hanno portato avanti la metodologia in ogni incontro e i membri dell'equipe di coordinamento della fase continentale». Successivamente, si è tenuta una riunione finale con la presenza dei segretari generali delle Conferenze episcopali e la partecipazione online dei presidenti che hanno offerto i contributi finali e hanno approvato la Sintesi della fase continentale che è stata inviata dal Consiglio episcopale latinoamericano e caraibico (CELAM) alla Segreteria generale del Sinodo, a Roma, il 30 marzo 2023.
Universalità e cattolicità della Chiesa
L'incorporazione della restitutio nei processi sinodali significa che essi non si concludono necessariamente con un processo immediato di ricezione o appropriazione. È concepita secondo il principio che «il processo sinodale ha il suo punto di partenza e anche il suo punto di arrivo nel popolo di Dio» (Episcopalis Communio 1) e che questo processo può continuare finché non si raggiunge il consenso tra tutti i fedeli. In questo senso, la restitutio facilita la costruzione del consenso attraverso l'attuazione di processi di consultazione, ascolto e discernimento comunitario realizzati in fasi —diocesana, continentale e universale— che possono essere ripetute fino al raggiungimento del consenso di tutto il Popolo di Dio. Possiamo dire che «se una decisione è presa dalla comunità dei credenti nel suo insieme, allora questa decisione porta il timbro della sua validità: nelle circostanze date, nella situazione storica esistente, sotto il presupposto delle forme e delle condizioni generali della conoscenza e del pensiero, questa decisione deve essere vista in questo modo e non in un altro. Il consensus ecclesiae lo conferma». L'introduzione di questa nuova dinamica comunicativa non è priva di sfide. Comporterà l'elaborazione di un nuovo modello istituzionale che non equipari l'uniformità al consenso, né la comunione all'omogeneità, ma che, al contrario, comprenda l'universalità o cattolicità della Chiesa come espressione della communio ecclesiarum. Ciò implica approfondire il modo in cui la restitutio riceve «la percezione del Vaticano II, secondo cui la particolarità socio-culturale di una regione (AG 22) è parte della definizione teologica di una Chiesa locale». E, di conseguenza, valorizzare le particolarità teologiche, liturgiche, spirituali, pastorali e canoniche di ogni luogo socio-culturale in cui la Chiesa esiste (EN 62, LG 23, UR 4, AG 19), aprendo la strada a una Chiesa in cui c'è diversità di servizi e ministeri, ma unità nella missione (AG 2). Le consultazioni hanno raccolto questa sfida con la seguente domanda: «come superare una pratica prevalentemente verticale, in cui le chiese particolari sembrano subordinate, con una vera comunione di chiese nella cattolicità universale» (SFC ALyC 106). Ora, se la realtà socio-culturale fa parte della definizione teologica di una Chiesa locale, possiamo affermare che in una Chiesa sinodale la costruzione del consenso non può essere concepita solo come il consensus omnium fidelium, o il consenso di tutti i fedeli in modo generico, come se i credenti (christifideles) fossero soggetti senza identità e stili di vita diversi, o come se il consenso si riferisse solo a un metodo. Nel quadro di un’ecclesiologia che parte dalle Chiese locali, il consenso deve essere costruito sulle differenze identitarie che definiscono ogni christifideles come membro di una cultura-popolo e integrando la diversità di genere. Altrimenti, il consenso diventerà un mezzo per giustificare nuovi processi di omogeneizzazione ecclesiale e di colonizzazione culturale, come è accaduto in alcuni periodi della storia della Chiesa. Possiamo sostenere che l'ambito e lo scopo della restitutio è quello di costruire il consenso totius populi, cioè di tutto il Popolo di Dio, ma a partire dalla concretezza delle sue molteplici forme culturali con tutte le loro ricche e diverse implicazioni per lo sviluppo della vita e della missione della comunità ecclesiale in ogni luogo, perché «l'unico Popolo di Dio è presente in tutte le razze della terra» (LG 13) e «si incarna nei popoli della terra, ognuno dei quali ha la propria cultura» (EG 115). La fase continentale del Sinodo sulla sinodalità ha aumentato la consapevolezza di questa realtà, della coesistenza di una diversità di modalità socio-culturali e di forme ecclesiali in ogni luogo, regione e continente. In pratica, è stato palpabile un certo superamento della teologia della plantatio ecclesiae, che ha predominato per secoli. L'attuazione dei processi di restituzione nella Chiesa contribuirà a rafforzare il modello di Chiesa come Chiesa di Chiese, perché «non si tratta di trapiantare la Chiesa in un altro luogo, ma di farla crescere dall'interno», incarnando il deposito della fede e facendolo evolvere nella sua forma e comprensione alla luce della circolarità dinamica tra traditio, receptio e restitutio.
Una nuova trilogia: tradizione, ricezione e restituzione
Nei processi di ricezione, il sensus fidei è stato messo in relazione con lo sviluppo della tradizione ed è spesso esercitato in modo lineare fino all'attuazione di ciò che è stato ricevuto. Infatti, è stato utilizzato per la dichiarazione dei dogmi mariani dell'Immacolata Concezione e dell'Assunzione e la loro ricezione a livello universale. In questi casi si può dire che «il senso della fede è un carisma libero appartenente a tutti i membri della Chiesa, un carisma di accordo interno con l'oggetto della fede, in virtù del quale la Chiesa nel suo insieme, che si esprime nel consenso della fede, riconosce l'oggetto della fede e lo confessa nello sviluppo della sua vita in costante consonanza con il magistero ecclesiale». Oggi, però, la teologia del sensus fidei fidelium viene approfondita alla luce della pratica delle dinamiche comunicative che svolgono un ruolo chiave come locus theologicus nella misura in cui queste dinamiche diventano fonte e mediazione della rivelazione attraverso l'esperienza e la conoscenza connaturale, fornendo così una continua maturazione nella comprensione e nell'espressione di quella stessa rivelazione. Come ha spiegato Rahner, «nella Chiesa la realtà viva della conoscenza cosciente della fede si presenta progressivamente sempre più a se stessa, non in una riflessione precedente all'atto, ma nell'atto stesso». Alla luce della sinodalità, possiamo dire che questo atto equivale all'esperienza dei fedeli che si ascoltano e discernono insieme per sapere ciò che «lo Spirito dice alle Chiese» (Episcopalis Communio 5) e non a ciascuno singolarmente. Per questo la restituzione risponde a un'ecclesiologia delle Chiese locali, piuttosto che a un'ecclesiologia universalista. Ciò che viene ascoltato in ogni porzione del Popolo di Dio – diocesi – viene restituito per essere nuovamente discernito e verificato fino a costruire il consensus omnium populo dei in modo processuale e progressivo. Il processo stesso dà luogo all'evoluzione della dottrina, creando una tensione tra il permanente e il mutevole, che si manifesterà nel tentativo di raggiungere un consenso. Per capirlo possiamo alludere all'assioma di Vincenzo di Lérins per il quale un consenso deve esprimere «ciò che è stato creduto ovunque, sempre e da tutti» (quo ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est). A prima vista sembrerebbe che l'assioma tenti di omogeneizzare le forme di comunicazione del deposito della fede. Tuttavia, affinché il motto funzioni, sono necessari processi che sostengano la comunione nella Chiesa. Ciò presuppone una comprensione della tradizione come corpo vivo capace di essere discernito, interpretato e approfondito attraverso il senso della fede di tutti i fedeli in ogni luogo, che non è esente da tensioni ermeneutiche, siano esse generate da continuità, discontinuità o novità, sia nell'interpretazione che nell’evoluzione del deposito della fede. Pertanto, il suddetto assioma non può essere compreso senza quest'altro, sempre di Vincent de Lérins, che sottolinea come la dottrina progredisca nella misura in cui è «consolidata dagli anni, dilatata dal tempo ed esaltata dall’età» (annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate). Se uniamo i due assiomi in un'unica affermazione, possiamo comprendere il carattere permanente e mutevole della dottrina allo stesso tempo: «ciò che è stato creduto ovunque, sempre e da tutti [è] consolidato dagli anni, dilatato dal tempo ed esaltato dall’età». Infatti, la dottrina sarebbe insignificante se non fosse tradotta in qualcosa di comprensibile per il credente in ogni luogo, in ogni località.
Dinamiche comunicative
È qui che possiamo apprezzare la novità della restitutio come dinamica comunicativa all'interno del sensus fidei che amplia il rapporto tra traditio e receptio facendo degli atti di ricezione della tradizione dei nuovi punti di partenza e non solo di arrivo, poiché il suo scopo è quello di costruire, processualmente e progressivamente, la singularis fiat antistitum et fidelium conspiratio (DV 10). E questo non si realizza necessariamente nel primo atto di restituzione in un processo sinodale. Potrebbero essere necessarie successive restituzioni al Popolo di Dio e la ripresa dei processi di ascolto finché non si raggiunge un accordo nel discernimento della verità tra tutti [Popolo di Dio], alcuni [gerarchia] e uno [primate], perché «la sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, si esprime nella circolarità dinamica del consensus fidelium, della collegialità episcopale e del primato del Vescovo di Roma». A tal fine, la restituzione comporta due sfide in relazione al raggiungimento di accordi o consensi ecclesiali. In primo luogo, il suo obiettivo è quello di raggiungere il consenso tra tutti i fedeli senza danneggiare la comunione tra di loro. In altre parole, mantenere l'equilibrio tra consensus fidelium e communio fidelium. In secondo luogo, si vuole raggiungere il consenso di tutta la Chiesa senza scavalcare la comunione tra le Chiese locali e le specifiche realtà socio-culturali di ciascuna di esse. Il consensus ecclesiae deve abbracciare e rafforzare la diversità propria della communio ecclesiarum. L'attuazione di questa dinamica comunicativa richiederà quindi una consapevolezza e una maturità ecclesiale che sappia distinguere tra consenso e comunione, e un metodo o modo di procedere che non si limiti alla consultazione e all'ascolto, perché si tratta di realizzare una ricezione fedele e creativa della tradizione, accettando le molteplici modalità organizzative e teologico-pastorali di comunicare il deposito della fede secondo i diversi tempi e luoghi. Sarà necessario approfondire la ricezione del modello di Chiesa come Chiesa di Chiese in cui «la circolarità tra il sensus fidei di cui tutti i fedeli sono segnati, il discernimento operato ai vari livelli di realizzazione della sinodalità e l'autorità di chi esercita il ministero pastorale dell'unità e del governo». Una riarticolazione di ciò che è proprio di tutto [Popolo di Dio], di alcuni [gerarchie] e di uno [primato] non è priva di tensioni, poiché l'atto di restituire a ciascuna portio Populi Dei ciò che è stato raccolto durante i processi di consultazione e di ascolto, permette a tutti i fedeli di esercitare un atto di riconoscimento, di verifica e di corroborazione che qualifica il consenso dell'intero Popolo di Dio, evitando che alcuni [gerarchie] e uno [primato] possano agire senza essere legati al resto dei fedeli. Questa pratica non è nuova nella tradizione della Chiesa, ma la sua ripresa oggi ci offre un modo concreto per mettere in pratica il primato del capitolo II della Lumen gentium sul popolo di Dio. La tradizione della Chiesa offre un esempio concreto nel modo in cui san Cipriano ha esercitato il suo ministero episcopale. La sua regola d’oro recita: Nihil sine consilio vestro et sine consensu plebis mea privatim sententia gerere. Per questo vescovo, il consiglio del presbiterio e il consenso del popolo modellavano il suo esercizio episcopale. Dovette escogitare dei metodi per rendere possibile questo modo di procedere, perché non avrebbe preso una decisione finché non fosse stato raggiunto il consenso di tutto il popolo. A volte ha dovuto ripetere più volte i processi di consultazione, ascolto, discernimento ed elaborazione delle decisioni. Ogni processo successivo portava a un nuovo approfondimento di ciò che era stato sperimentato in precedenza. La costruzione del consenso non era intesa come un processo lineare o piramidale, ma avanzava attraverso continui processi di restituzione al popolo di Dio fino a quando il vescovo non raggiungeva una decisione. Possiamo affermare che ciò che oggi intendiamo come responsabilità pastorale o accountability fu messo in pratica, fino al punto di coinvolgere la comunità nel discernimento dell'elezione dei vescovi. Questo è forse il punto più alto, non privo di complessità, dell'attuale ricezione del sensus fidei fidelium e dove dobbiamo procedere per arrivare alla sua istituzionalizzazione nelle strutture e nei modi di procedere della Chiesa a tutti i livelli. La restitutio apre la possibilità di mettere in pratica il principio classico della canonistica medievale che afferma: «ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti (Quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet)». Giacomo Canobbio lo spiega con grande chiarezza: «spetterà poi ai giuristi regolare i processi attraverso i quali giungere a decisioni condivise, quali organi rappresentativi immaginare, quali procedure mettere in atto per ascoltare tutti. Ma questo si potrà fare solo quando si accetterà che tutti hanno diritto di parola nella Chiesa, perché in tutti – fino a prova contraria – abita lo Spirito. L'antico assioma Quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet, nella sua interezza, racchiude non solo una necessità giuridica, ma anche una cifra della Chiesa. In questo senso, la sinodalità non è semplicemente la riscoperta di pratiche; è piuttosto la riscoperta di una figura di Chiesa che riconosce e confessa l'azione dello Spirito che crea la concordia, cioè il risultato dell'azione riconciliatrice e unificatrice del Signore Gesù». La sfida sta ancora nell'elaborare le procedure adeguate per mettere in atto l'ultima frase dell'assioma in una Chiesa sinodale, affinché non solo «ciò che riguarda tutti deve essere trattato da tutti» (Quod omnes tangit ab omnibus tractari), ma anche «approvato da tutti» (...et approbari debet). Questa è la novità del Sinodo sulla sinodalità in diverse fasi e livelli, perché l'attuazione della restituzione è un passo fondamentale con cui «il Vescovo di Roma, principio di unità di tutti i battezzati e di tutti i vescovi, riceverebbe un documento che manifesta congiuntamente il consenso del Popolo di Dio e del Collegio episcopale. Sarebbe un atto di manifestazione del sensus omnium fidelium, che sarebbe anche allo stesso tempo un atto di magistero dei vescovi dispersi nel mondo in comunione con il Papa».
Conclusione. La sfida di un'autentica sinodalizzazione di tutta la Chiesa
Una Chiesa sinodale è una Chiesa che impara da ciò che ha ascoltato e, riconoscendosi come Ecclesia semper reformanda (UR 4, 6) ed Ecclesia semper purificanda (LG 8), invita a compiere il passo verso un'autentica sinodalizzazione di tutta la Chiesa, che comporterà una conversione delle identità dei soggetti ecclesiali e una riforma delle strutture in cui essi vivono. Alla base della sinodalità c'è la riscoperta e la maturazione del carattere normativo del capitolo II [Popolo di Dio] della Lumen gentium. Questa scelta dei Padri conciliari permette di comprendere il fatto che tutti i soggetti ecclesiali —laici, vita religiosa, presbiterato, episcopato, primato— si completino (AA 6: mutuo se complent) reciprocamente e corresponsabilmente, e non solo si aiutino o si complimentino a vicenda in modo circostanziale, seguendo così il testo conciliare: «ogni membro è al servizio degli altri membri… [così che] i Pastori e gli altri fedeli sono legati l'uno all'altro da una reciproca necessità» (LG 32). Da qui l'importanza di leggere i capitoli III [Gerarchia], IV [Laici] e VI [Vita religiosa] della Lumen Gentium attraverso la lente del capitolo II [Popolo di Dio], perché «tutto ciò che è stato detto sul Popolo di Dio si rivolge ugualmente a laici, religiosi e clero» (LG 30). Senza questo quadro ermeneutico corriamo il rischio di caratterizzare le diverse identità e modalità di realizzazione della vocazione dei soggetti ecclesiali in modo frammentario, persino lacunoso e autoreferenziale. In questo quadro ecclesiologico comprendiamo il valore della restituzione nel collegare, in modo circolare e reciproco, l'esercizio del primato (uno) e quello della gerarchia (alcuni) con il resto dei fedeli del Popolo di Dio (tutti). La restituzione lascia il posto alla sinodalizzazione di tutta la Chiesa, ma, dato lo stato attuale della vita ecclesiale, ciò significa avere il coraggio di intraprendere «riforme spirituali, pastorali e istituzionali» (Aparecida 367). Le consultazioni regionali lo hanno riconosciuto affermando che «sono necessarie nuove opzioni pastorali basate su un cambiamento di mentalità e sul rinnovamento delle strutture esistenti» (Caraibi) (SFC ALyC 75). Nelle quattro regioni latinoamericane e caraibiche consultate, c'è una chiara consapevolezza di vivere in un momento ecclesiale che ci chiede di «rinnovare e ripensare le strutture della Chiesa per rispondere alle sfide del mondo di oggi, interpretando i segni dei tempi [e] un passo verso questo è la riforma del Codice di Diritto Canonico (Bolivariana)» (SFC ALyC 81). Insomma, un rinnovamento ecclesiale che non separa la conversione delle mentalità dalla riforma delle strutture.
Quattro priorità
Concludiamo citando le 4 priorità evidenziate in SFC LAC: «(1) il rapporto tra sinodalità, ecclesialità, ministerialità, collegialità e sensus fidei (96-97); (2) la revisione della teologia e delle forme di una Chiesa ministeriale, il profilo dei ministri, istituiti e ordinati, e l'apertura di alcuni ministeri alle donne (84-91)… la formazione dei ministri ordinati e la necessità di una formazione sinodale integrale (74 e 75); (3) il rinnovamento e la ricreazione di strutture a carattere deliberativo (78, 79 e 100); (4) il rinnovamento dell'opzione preferenziale per i poveri e l'evidenziazione della dimensione sociale dell'evangelizzazione… affrontando grandi questioni e settori trascurati (65), in particolare i giovani (69) e il mondo digitale (71-72)». È stato chiesto che queste priorità siano «analizzate nella prossima Assemblea sinodale con discernimento spirituale, ampiezza teologica e senso pastorale» (SFC ALyC 97) per il bene del processo già avviato di formazione della Chiesa sinodale del terzo millennio. Lo stato attuale della ricezione del concilio Vaticano II, caratterizzato dall’emergere di una rinnovata ecclesialità sinodale, incoraggia la sfida di immaginare riforme sinodali nelle mentalità, negli atteggiamenti, nelle pratiche, nelle relazioni e nelle strutture ecclesiali (SFC ALyC, 98). La sfida che ci attende non è da poco: «fare il passo verso un'autentica sinodalizzazione di tutta la Chiesa» (SFC ALyC, 75).
RAFAEL LUCIANI