Chiaro Mario
Gli Italiani e la domanda di servizi funebri
2022/11, p. 34
Il Rapporto di ricerca dell’Istituto Cattaneo, è dedicato alla descrizione del quadro relativo proprio alla domanda di servizi funebri in Italia, dal momento della preparazione alla morte, al momento della sepoltura, passando per l’organizzazione dei funerali, la definizione delle cerimonie e dei riti funebri, le forme di trattamento del corpo dopo la morte e la sepoltura.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
INDAGINE DELL’OSSERVATORIO PER LA RICERCA SU MORTE ED ESEQUIE
Gli Italiani e la domanda
di servizi funebri
Il Rapporto di ricerca dell’Istituto Cattaneo, è dedicato alla descrizione del quadro relativo proprio alla domanda di servizi funebri in Italia, dal momento della preparazione alla morte, al momento della sepoltura, passando per l’organizzazione dei funerali, la definizione delle cerimonie e dei riti funebri, le forme di trattamento del corpo dopo la morte e la sepoltura.
Come Bauman ha teorizzato, questo è il tempo di un “uomo liquido” che vive nella successione degli istanti, i quali precludono il senso della stabilità e della continuità e, quindi, la possibilità di ogni progetto motivato dalla speranza. La vita si svolge nell’incertezza e nell’insicurezza, immersa nell’ansia e nella paura. In questo contesto liquido si è radicata l’idea che viviamo in un’epoca di “negazione della morte”. Ci sarebbe un tabù collettivo, per cui non si parla della morte e a essa non si vuole pensare. Eppure anche oggi si discute di vantaggi e svantaggi dell’inumazione (sepoltura nella terra in una bara di legno posta nella terra in modo da decomporsi negli anni) e della cremazione (pratica di ridurre tramite il fuoco un cadavere nei suoi elementi base), del diritto di scegliere come e quando morire per porre fine alla sofferenza, dell’ospedalizzazione e della medicina palliativa. Prevale l’idea che nella nostra società si riduce la morte a un momento biologico, privandola di ogni dimensione comunitaria e togliendole ogni profondità spirituale. La recente indagine “Gli italiani e la domanda di servizi funebri” - progettata dall’Osservatorio per la ricerca su morte ed esequie (ORME), istituito dalla fondazione di Ricerca Istituto Cattaneo di Bologna - mostra un quadro più complesso: un terzo degli italiani dichiara di pensare almeno qualche volta alla morte, e un quarto di averlo fatto “spesso”. Con sorpresa si è scoperto in questi anni che la voce “morte” (death in inglese) è una delle più ricercate in Wikipedia, segno della persistente ricerca di risposte a interrogativi eterni.
La morte al centro della vita sociale
A partire dall’inizio del 2020, nel drammatico contesto creatosi durante la lunga stagione della pandemia, l’esperienza della morte ha riempito le cronache quotidiane. Le drastiche misure di salute pubblica, adottate per fronteggiare la diffusione del Coronavirus, hanno radicalmente modificato forme basilari di interazione sociale. La morte di una persona in una stanza di ospedale, con accesso interdetto a parenti e amici; la negazione dell’ultimo saluto al defunto; l’annullamento o la celebrazione del rituale funebre alla presenza di pochi familiari: questi sono alcuni dei rituali sociali fondamentali che non hanno potuto essere recuperati. Per di più, lo scoppio della guerra in Ucraina ha ulteriormente esteso la presenza della morte nello spazio pubblico dell’occidente. Le immagini delle distruzioni e delle vittime, militari e civili, rendono la morte presente più di quanto non sia mai stato dal secondo dopoguerra, con la parentesi del periodo delle guerre iugoslave.
In questo contesto dobbiamo collocare il Rapporto di ricerca dell’Istituto Cattaneo, dedicato alla descrizione del quadro relativo proprio alla domanda di servizi funebri in Italia, dal momento della preparazione alla morte, al momento della sepoltura, passando per l’organizzazione dei funerali, la definizione delle cerimonie e dei riti funebri, le forme di trattamento del corpo dopo la morte e la sepoltura.
La preparazione alla morte
Pensare alla morte non equivale a prepararsi a essa. Il Rapporto ci aiuta a considerare cinque diversi comportamenti di preparazione: fare testamento; esprimere le proprie volontà sul trattamento medico da adottare nel caso in cui non si sia più in grado di esprimere una decisione; esprimere la propria volontà rispetto alla donazione di organi; comunicare la modalità della propria sepoltura. A partire da questi comportamenti, vengono identificati tre gruppi di persone: gli indifferenti (circa il 40% del totale della popolazione); i disinteressati (il 10% non attribuisce alcuna importanza al destino del proprio corpo); gli interessati (oltre il 50% dell’intera popolazione). Questi ultimi dichiarano di avere le idee chiare su cosa vorrebbero per il proprio corpo dopo la morte. Si preferisce la cremazione, con la dispersione delle ceneri; la tumulazione in un loculo è preferita rispetto alla sepoltura a terra. Un tratto decisamente persistente della cultura funebre italiana.
“Buona morte” e tradizione religiosa
Secondo il Rapporto, la Chiesa mantiene un ruolo rilevante: nel nord-est e al sud, dove oltre un terzo di popolazione si rivolge a un sacerdote. Importante è anche il coinvolgimento di confraternite e congreghe in particolare al Centro, soprattutto la Toscana, e nei comuni di dimensioni medie. I dati su cerimonie e riti funebri mostrano livelli elevati di radicamento della tradizione religiosa in Italia. In un paese in cui solo un italiano su cinque va a Messa regolarmente, la quasi totalità delle cerimonie continua a essere religiosa. Nel complesso il 93,4% dei funerali sono celebrati con una cerimonia religiosa. Le cerimonie laiche rimangono una esigua minoranza: solo nelle regioni settentrionali, e nelle grandi città, mostrano livelli non trascurabili, di poco inferiori al 10%.
La stragrande maggioranza delle cerimonie funebri avviene in chiesa (poco meno dell’89% del totale). Le restanti cerimonie sono celebrate in uno spazio all’interno di un cimitero o in un tempio crematorio (poco più del 6%), oppure nelle case funerarie delle imprese di onoranze funebri (3% dei casi). Quest’ultima modalità cresce con la dimensione demografica dei comuni. Dall’ultimo quarto del XIX secolo anche l’Italia ha registrato un fenomeno comune a tutti i paesi occidentali: un progressivo spostamento del luogo in cui si muore, dalla casa all’ospedale. Malgrado ciò, continua a essere prevalente un ideale di “buona morte” che avviene nel proprio letto, circondati dai propri cari. Oltre il 61% della popolazione preferirebbe morire in casa, ma solo la metà pensa che questo avverrà effettivamente.
La diffusione delle cerimonie religiose suggerisce una certa persistenza della tradizione cristiana. Tuttavia, questo dato può anche nascondere una certa presenza di cerimonie di confessioni diverse da quella cattolica, riconducibili alla crescente presenza straniera. Un ulteriore elemento che segnala una certa persistenza della tradizione riguarda le persone presenti sulla scena della cerimonia e titolati a prendere la parola. Nel 90% dei casi a parlare durante la cerimonia funebre è un sacerdote. Sempre più frequentemente al sacerdote si aggiungono (40% dei casi) parenti e amici del defunto e della famiglia, in particolare nelle regioni del centro-nord e nelle grandi città. Un’altra figura che lentamente si affaccia sulla scena è quella di un cerimoniere dell’impresa funebre, che prende la parola (10% dei casi).
Più della metà degli intervistati dichiara di avere fatto visita alla salma: nella maggior parte dei casi tale visita è avvenuta a casa, meno frequentemente in un obitorio di un ospedale o in una casa funeraria (struttura moderna di impresa che si prende cura della salma: molte locandine sottolineano che il loro scopo principale è quello di aiutare ad elaborare il lutto). Il 66% dichiara poi di avere pregato davanti alla tomba, mostrando ancora come il modello di lutto e in generale di culto dei morti resti sostanzialmente religioso. Comunque, nel nostro mondo industrializzato, anche il rito funebre è diventato un fatto commerciale: si vendono ormai “pacchetti tutto compreso”, dalla preparazione della salma e della camera ardente, al rito funebre, alla scelta del mezzo di trasporto, della tomba o del loculo, alla sepoltura e alla stampa del ricordino. Il tutto è offerto con ampia varietà di tipologia e ovviamente di costo, cosicché anche la morte, per tutti uguale, è per tutti diversa a seconda delle disponibilità economiche. Esistono imprese funebri che realizzano anche mostre e convegni. L’ultimo grido del rituale è la creazione di un “diamante” dalle ceneri del defunto grazie a un procedimento chimico eseguito in un laboratorio svizzero. Si è creato così il neologismo “diamantizzazione delle ceneri di cremazione”. Questo diamante creato viene propagandato come cimelio di famiglia unico e senza tempo!
C’è poi un altro aspetto che deve indurre a profonde riflessioni: la diffusione dell’uso dei social network, che sono oggi le nostre potenziali tombe! Costituiscono un “cimitero virtuale”: ad oggi ci sono più di 30mln di profili online di “scomparsi” e si prevede che dopo il 2065 ci saranno più account di utenti deceduti che di vivi. Piattaforme e applicazioni sono diventate ormai delle realtà nel mondo dei servizi funerari. Per esempio “Empathy” è un’applicazione israeliana (disponibile anche in Italia), che fornisce supporto amministrativo e psicologico ai parenti dei defunti, proponendosi come “compagno digitale” per organizzare nell’immediato ciò che è connesso a un lutto, sia da un punto di vista emotivo che pratico.
L’evangelizzazione della morte
Dunque, è sotto gli occhi di tutti che si è intensificata la crescente medicalizzazione e istituzionalizzazione del morire. Solo il 10% vorrebbe morire in ospedale, mentre si registra un incremento dell’accoglienza dei defunti nelle strutture socio-assistenziali o negli hospice (dato connesso allo sviluppo e al riconoscimento dell’importanza delle cure palliative).
Di fronte al quadro relativo alla domanda di servizi funebri in Italia elaborato dell’Istituto Cattaneo, ci sembra importante indicare l’evangelizzazione proposta ai credenti da papa Francesco a partire dall’odierna cultura del “benessere”, che cerca di rimuovere la realtà della morte, mentre la pandemia del Coronavirus l’ha rimessa in evidenza. In questo contesto «la fede cristiana non è un modo per esorcizzare la paura della morte, piuttosto ci aiuta ad affrontarla. Prima o poi, tutti noi andremo per quella porta. La vera luce che illumina il mistero della morte viene dalla risurrezione di Cristo… Cristo è vivo tra noi. E questa è la luce che ci aspetta dietro quella porta oscura della morte». Con la testimonianza di fede nella risurrezione, i credenti possono affacciarsi sull’abisso della morte senza essere sopraffatti dalla paura, riconsegnando alla morte un ruolo positivo. «Infatti, pensare alla morte, illuminata dal mistero di Cristo, aiuta a guardare con occhi nuovi tutta la vita. Non ho mai visto, dietro un carro funebre, un camion di traslochi! Ci andremo soli, senza niente nelle tasche del sudario: niente. Perché il sudario non ha tasche... Non ha senso accumulare se un giorno moriremo. Ciò che dobbiamo accumulare è la carità, è la capacità di condividere, la capacità di non restare indifferenti davanti ai bisogni degli altri… Io vorrei dire una verità: tutti noi siamo in cammino verso quella porta, tutti» (Udienza generale del 9-2-2022).
MARIO CHIARO