Lorenzo José
“Passiamo all’altra sponda”
2022/11, p. 26
Il libro “Passiamo all’altra sponda” è dedicato a tutti gli uomini e donne anonimi che credono nella loro vocazione e fanno di ogni giorno un racconto della vicinanza di Dio all’umanità. Perché non si perdano in grande progetti pieni del proprio io, perché la loro vita è fondata sullo Spirito.

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DIALOGO E CAMBIAMENTO DELLA VITA CONSACRATA
“Passiamo all’altra sponda”
Il libro “Passiamo all’altra sponda” è dedicato a tutti gli uomini e donne anonimi che credono nella loro vocazione e fanno di ogni giorno un racconto della vicinanza di Dio all’umanità. Perché non si perdano in grande progetti pieni del proprio io, perché la loro vita è fondata sullo Spirito.
Luis Alberto Gonzalo Díez, clarettiano, direttore della rivista spagnola “Vida Religiosaha qualcosa del rabdomante, sempre alla ricerca di quelle sorgenti da cui sgorga acqua fresca e sempre zampillante per la vita consacrata. Il libro “Passiamo all'altra sponda. Dialogo e cambiamento nella Vita Consacrata” (Editrice Perpetuo Soccorso) nasce da queste ricerche: sono pagine piene di intuizioni, analisi e prospettive che vogliono portare a una fondata speranza. Avendo accompagnato e continuando ad accompagnare tante congregazioni, Gonzalo è convinto che quello che ci aspetta non è peggiore, ma diverso e più autentico. In questa intervista a Religion Digital sottolinea che “Non è la vita consacrata dei titoli della stampa o delle polemiche ideologiche, ma è la vita consacrata della testimonianza che porterà al passaggio verso una nuova vita consacrata”.
L’intervista a Religion Digital
Nel suo libro lei propone che la vita consacrata passi all'altra sponda. Cosa succede sulla sponda su cui si trova?
Vorrei iniziare affermando una ovvietà. Ai consacrati e alle consacrate avviene la stessa cosa che accade al resto dei cristiani, al resto dell'umanità. Apparteniamo a una società complessa e siamo persone complesse in un momento culturale (e anche ecclesiale) complesso. Detto questo, "la sponda su cui si trova la vita consacrata" è, ovviamente, complessa. Rimane intatto il desiderio del Regno. Ci sono sogni e progetti di una nuova realtà e profezia... ma questa sponda è piena di preoccupazione e responsabilità che, in larga misura, si concentra sul proseguire con ciò che è stato ereditato, senza il tempo di alzare lo sguardo. È una sponda dove in molte occasioni si vive reagendo agli stimoli, risolvendo problemi, proteggendo stili... È, dal mio punto di vista, una sponda così pratica che può mettere in pericolo la fede. L'essenza della vita consacrata non è sostenersi, garantirsi o perpetuare le sue numerose conquiste storiche. La sua ragion d'essere è sempre quella di orientare, indicare e offrire segni credibili che il Regno è qui ed è possibile. E per questo bisogna non aver paura della libertà.
Cosa si vede nell’altra sponda?
E cosa si vede nell'altra sponda a cui lei invita ad andare?
Sull'altra sponda, si vede la vita sine glossa. Si vede la semplicità del Regno. L'essenza di uno stile di vita, quello dei consacrati, che non sono migliori degli altri fratelli, ma hanno bisogno di vivere nel tutto di Dio, di essere il tutto per Dio. Né più perfetti né, ovviamente, migliori. Solo chiamati ad essere discepoli in modo integrale, stabile e costante. Nell’altra sponda si distingue bene che l'essenza della vita consacrata non è la crisi né, quindi, la tirannia dei numeri e delle età... Si vede che l'essenza è il segno di rendere possibile la moltiplicazione con il poco; la fratellanza con i deboli e la gioia nella frugalità.
Sull'altra sponda si scopre che una volta liberati da tanti "progetti", ciò che resta e di cui vale la pena occuparsi è la vita, luogo per eccellenza dell'incontro con il Dio di Gesù Cristo. Nell'altra sponda, la vita consacrata vive la libertà di non ingabbiare né di conservare. Si sente agile per la perdita delle cose proprie e uscire per nuove strade. Recupera una “giovinezza” che solo il vangelo dona e rende possibile ai consacrati di essere (siamo) quelle persone che, nel cuore della società, offrono, sempre e in tutto, la speranza. L'altra sponda rivela alla vita consacrata delle possibilità di missione inedite per questo tempo e per questa cultura. Ci fa prendere le distanze definitivamente da un copione di sopravvivenza e ci apre a una nuova speranza che, d'altra parte, è alla radice di ogni ricerca vocazionale.
La vita consacrata è il "testo" evangelico più accessibile alle donne e agli uomini del nostro tempo. Nessuna ricerca e nessun bisogno; nessuna gioia o possibilità è estranea e l'essenza della consacrazione ci vincola e ci colloca in mezzo al popolo di Dio. Pertanto, lo spostamento sull'altra sponda ci permette di vedere la realtà e la missione da una prospettiva evangelica, solo evangelica e reale.
Lei su che sponda sta?
È il mio compito di crescita spirituale. Mi chiedo di continuo quali valori mi sostengono? Perché o per chi lavoro, mi muovo, propongo e agisco? Cosa mi aspetto? Molte volte mi muovo al limite della praticità, della sicurezza del mio lavoro. Mettendo eccessiva razionalità nell'esperienza evangelica che in definitiva deve essere emozione. Molte volte mi trovo a sostenere ciò che conosco, con la paura della poesia e della "sorprendente sorpresa di Dio". Molte volte mi lascio impressionare dall'efficienza e dalla ricerca della sicurezza. Aspetto e bramo l'altra sponda. La trovo chiaramente descritta in innumerevoli vite di consacrati e consacrate che non fanno pubblicità della loro presenza. Il luogo più reale del miracolo di Dio è questa manciata di donne e uomini consacrati che si trovano negli angoli più complessi del mondo, a donare amore. Si scopre nell'accompagnamento, nell'ascolto e nella preghiera di ciò che sta vivendo la vita consacrata. L'ho detto tante volte e sono sempre più convinto che la vera vita consacrata non è quella di cui alcuni di noi scrivono, ma quella che vivono molte persone semplici, convinte dell'amore di Dio. Essi ed esse sono i testimoni di una vita consacrata che sta nell’altra sponda e, da lì illuminano senza abbagliare... perché le vie di Dio sono serene e pazienti. Guardo perciò con molta speranza verso quell'altra sponda… per questo sono convinto della vitalità e del futuro della vita consacrata, anche se non sarà come la conosciamo oggi.
È un momento particolarmente difficile ed evangelico, in cui è essenziale una leadership che sappia essere presente in questo passaggio verso l'altra sponda. Non mancano le buone idee, ma c'è una certa mancanza di testimonianza evangelica.
C’è paura di osare?
Si ha paura di passare all'altra sponda?
Certamente c'è paura. Anche responsabilità. La vita consacrata, come tutta la Chiesa, non è un corpo uniforme dove pensiamo allo stesso modo o cerchiamo esattamente le stesse cose. Ci sono innumerevoli stili e modi di essere; storie, traiettorie e culture. Ci sono età diverse, e in Occidente predomina un corpo grande e saggio di fratelli e sorelle maggiori, molto anziani, che hanno dato tutto negli spazi in cui si sono sentiti a servizio del Regno e che oggi si chiudono, si ricollocano e riconfigurano.
Per quanto si cerchi di addolcire questi processi, la realtà di ciò che vivono le generazioni più anziane è di incertezza e smarrimento. È un momento particolarmente difficile ed evangelico, in cui è essenziale una leadership che sappia essere presente in questo passaggio verso l'altra sponda. Non mancano le buone idee – la vita consacrata è un gruppo cristiano molto fecondo di idee e creatività – ma c'è una certa mancanza di testimonianza evangelica che apra davvero nuove possibilità di vita e di missione per i consacrati. La leadership non ha il compito di sostenere ciò che esiste in modo che duri più a lungo, ad ogni costo ma ha il compito di accompagnare la speranza verso una libertà evangelica di missione e di vita. E questo avviene quando si sta in mezzo ai processi della vita, si ascoltano le persone e si legge la realtà in chiave evangelica e non di mercato.
Cosa portare?
Che cosa è indispensabile che i religiosi e le religiose portino nell’altra sponda e cosa devono lasciare in quella dove sono?
È indispensabile portare la libertà dei carismi che in tutte le congregazioni e gli ordini ci parlano degli ultimi, dei piccoli e di coloro che non contano. Bisogna far in modo che il carisma parli e non ci ponga come risolutori di problemi, ma come cooperatori e animatori di tutte le soluzioni che la nostra umanità gestisce. Dobbiamo portare sull'altra sponda una libertà evangelica che ci liberi da ogni proprietà o privilegio... Il nostro compito è di collaborare alla trasformazione sociale, essere presenti tra gli ultimi, essendo ultimi. Abbiamo in noi una vocazione di alternativa, perciò parole come amore e solidarietà non devono mai essere tradite. La nostra vita, nell’altra sponda, avrà la tranquillità di non dover spiegare chi siamo e per che cosa ci siamo: semplicemente si renderà evidente, si vedrà e sarà un riferimento per una ricerca che è molto presente nella nostra umanità, che è il focolare.
Dobbiamo lasciare sulla sponda vecchia e logora la comprensione della nostra vocazione come "perfezione" o superiorità. Il nostro prestigio sociale e la nostra incapacità ad essere commensali con i laici nell’uguaglianza e complementarietà. Dobbiamo lasciare in questa sponda la ricerca dei primi posti, il riconoscimento sociale e il desiderio del potere. Deve rimanere in questa sponda la nostalgia dei tempi passati quando eravamo molti e forti; quando la nostra voce era ascoltata e i nostri criteri presi in considerazione in tutti gli ambiti della società. Ritengo che «l'altra sponda» sia una visione senza diottrie di una comunità autentica dove c'è spazio per la complementarietà dei carismi e i ministeri senza gli squilibri dovuti dalla ricerca del potere. È, in questo senso, una bella parabola del cammino sinodale in cui ci troviamo come Chiesa.
È un dato di fatto che l'età media della vita religiosa è alta. Possiamo supporre che siano i più anziani coloro che decidono di non muoversi troppo o non è una cosa da dare per scontata né che dipenda dall'età?
La visione dell'altra sponda e la ricerca di una nuova vita consacrata non si riscontra solo in un'età. È sorprendente il processo di liberazione che molti fratelli e sorelle più anziani hanno vissuto e offrono alle loro comunità e congregazioni. In linea di principio, e per legge naturale, è normale che a certe età la persona non cerchi spostamenti e insicurezze. Ma nella vita consacrata nulla è convenzionale, ci sono persone molto anziane con una meravigliosa capacità di uscire allo scoperto e persone di mezza età eccessivamente legate alle loro cariche e ai loro stili. È una delle questioni più complesse del nostro tempo che richiede una intensa formazione. La vita consacrata trova il suo significato quando si avvicina alla sapienza del Regno, che la separa necessariamente dalla sagacia del mondo. E su questo punto non si può cedere. Imparare a vivere in una coerente complementarietà rende più facile dedicarsi all'essenza della vocazione di libertà che ha la consacrazione. La passione di voler dirigere, coordinare e gestire, anche se nasce dalla buona e lodevole intenzione di essere responsabili, può coprire un vuoto vocazionale e spirituale. Di fronte a una realtà insicura, è abbastanza umano voler assicurare che il luogo in cui mi trovo e quello che faccio siano efficaci. E questo può contribuire a confondere la missione con la gestione; la vocazione con il lavoro; la responsabilità con il potere e la fraternità con l’impresa... E questi termini sono ovviamente tra loro molto diversi. La grande sfida della visione dell'altra sponda è per la vita consacrata il progetto e lo spostamento verso altri modelli di vita condivisa. Senza alcun dubbio.
Cos’altro c’è nell’altra sponda: religiosi o religiose; giovani o anziani?
Sull'altra sponda ci sono consacrati anziani e giovani innamorati della vita e della comunione. Ci sono persone di fraternità, perché la grande scoperta della vita consacrata contemporanea è questa: o è fraternità, o non sarà. La grande trasformazione sta nel riscoprirci uomini e donne chiamati non solo a vivere insieme, ma a far sì che questa vita significhi, annunci e propizi possibilità per la nostra società e la nostra Chiesa.
È necessario un discernimento vocazionale sulla nostra chiamata a vivere in comunità. Non si può dare per scontato che questa chiamata sia generalizzata, e meno ancora che la vita comunitaria consista strettamente in forme che oggi sono esaurite. La grande sfida della visione dell'altra sponda per la vita consacrata è il progetto e il movimento verso altri modelli di vita condivisa. Senza alcun dubbio.
Cosa pensa che accadrebbe se la vita consacrata non si spostasse dalla sponda su cui si trova?
Non sono un indovino. Ma ho piena consapevolezza che la vita consacrata si sta movendo. Forse non con un movimento facilmente quantificabile dal punto di vista sociologico. Ci muoviamo sempre su terreni molto difficili da valutare per l’essere umano. Si tratta di misurare i movimenti e la dinamica relazionale di Dio e dell'uomo o della donna consacrati. Questa realtà supera di gran lunga il fatto di voler porre in scritto dove siamo o cosa può succedere. Ma non c'è dubbio che la vita consacrata si stia movendo e si sta movendo e spostando verso un'altra sponda. Inoltre, sta contribuendo –perché questa è la sua vocazione– affinché altre forme di sequela di Gesù acquistino la libertà di farlo. Si muove così tanto al punto che non c'è angolo del mondo in cui non ci sia qualche consacrato che dà la propria vita vicino a chi maggiormente soffre; o nella strada; o con coloro che non trovano consolazione. Ripeto, una volta ancora, che non è la vita consacrata dei titoli della stampa o delle polemiche ideologiche, è la vita consacrata della testimonianza. E sarà questa che propizierà un passaggio verso una nuova vita consacrata. Ne sono convinto.
JOSÉ LORENZO