Dall'Osto Antonio
Senza far rumore l’ecumenismo cammina
2020/7, p. 16
Dal Concilio il dialogo ecumenico ha conosciuto un continuo crescendo. Ma, dopo i numerosi risultati raggiunti, attualmente una delle maggiori sfide resta la mancanza di un consenso realmente solido sull’obiettivo da raggiungere.

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DUE IMPORTANTI ANNIVERSARI ECUMENICI
Senza far rumore
l’ecumenismo cammina
Dal Concilio il dialogo ecumenico ha conosciuto un continuo crescendo. Ma, dopo i numerosi risultati raggiunti, attualmente una delle maggiori sfide resta la mancanza di un consenso realmente solido sull’obiettivo da raggiungere.
Alla fine dello scorso mese di maggio e all’inizio del mese di giugno sono stati ricordati due avvenimenti importanti per il cammino ecumenico che si è sviluppato a partire dal Concilio: i 60 anni dell’istituzione da parte di Giovanni XXIII del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, avvenuta il 5 giugno 1960 e i 25 anni dell’emanazione dell’enciclica “Ut unum sint”, il 25 maggio 1995, con cui Giovanni Paolo II riaffermava e ampliava l’impegno ufficiale della Chiesa cattolica nella promozione del dialogo ecumenico.
I tre pilastri dell’ecumenismo
Il Segretariato, diventato poi Pontificio Consiglio nel 1988 è attualmente presieduto dal card. Kurt Koch. Intervistato per Vatican News da Massimiliano Menichetti in occasione dei 60 anni dalla sua creazione, ha affermato che sono tre i pilastri che sostengono in particolar modo l’ecumenismo: il dialogo della carità, il dialogo della verità e l’adesione profonda e concorde di tutti i fedeli alla preghiera sacerdotale di Gesù, “che tutti siano una cosa sola”. Si tratta, ha affermato il cardinale, di un orizzonte che ha goduto della “grande continuità e coerenza” di tutti i papi.
Sessant’anni fa – gli ha chiesto l’intervistatore – il contesto ecumenico era tutt’altro. Come definire l'attuale situazione ecumenica e le sfide di oggi?
«Nel 1960, ha risposto il card. Koch, il movimento ecumenico, nella sua forma ufficiale all’interno della Chiesa cattolica, era ancora agli albori. Negli ultimi sessant’anni hanno avuto luogo numerosi incontri e dialoghi, dai quali è stato possibile trarre molti frutti positivi. Tuttavia, il vero obiettivo del movimento ecumenico, vale a dire il ripristino dell’unità della Chiesa, non è stato ancora raggiunto. Attualmente, una delle maggiori sfide consiste proprio nella mancanza di un consenso realmente solido sull’obiettivo dell’ecumenismo. Si è concordi sulla necessità dell’unità, ma non ancora su quale forma essa debba avere. Occorre una visione comune, che è essenziale per l’unità della Chiesa. I prossimi passi potranno essere compiuti infatti soltanto se abbiamo un obiettivo chiaro in menteۚ».
Il cammino ecumenico è spesso definito come uno “scambio di doni”. In sessant’anni come è stata cambiata la Chiesa cattolica da questo impegno? Quali sono i doni che la nostra Chiesa ha offerto agli altri cristiani?
«Dietro questa definizione c’è la convinzione che ogni Chiesa possa apportare un contributo specifico al ripristino dell’unità. Dalle Chiese e dalle Comunità ecclesiali nate dalla Riforma, la Chiesa cattolica ha imparato soprattutto la centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa, nelle celebrazioni liturgiche e nel pensiero teologico. Si è ravvivata in noi la consapevolezza che la fede viene dall’ascolto della Parola di Dio e che il vangelo di Gesù Cristo deve essere al centro della Chiesa. Dalle Chiese ortodosse, come ha più volte sottolineato Papa Francesco, possiamo imparare molto sulla sinodalità nella vita della Chiesa e sulla collegialità dei vescovi. Dal canto suo, la Chiesa cattolica può offrire come dono speciale alla discussione ecumenica l’enfasi posta sull’universalità della Chiesa. Poiché la Chiesa cattolica vive nell’interrelazione tra unità della Chiesa universale e molteplicità delle chiese locali, essa può dimostrare a titolo esemplificativo che unità e molteplicità non sono contrapposte neanche nell’ecumenismo, ma si sostengono reciprocamente».
L’ecumenismo guarda alla piena comunione tra tutti i cristiani. Concretamente, che cosa si è fatto?«Tutti gli sforzi e le attività ecumeniche devono servire allo scopo del ripristino dell’unità dei cristiani; è necessario assicurarsi di volta in volta che essi continuino ad essere tesi al raggiungimento di tale obiettivo. Ciò vale in particolare per il dialogo della carità, ovvero la cura nel mantenere relazioni amichevoli tra le diverse Chiese. Questo dialogo ha permesso il superamento di molti pregiudizi del passato e l’intensificarsi di una migliore intesa. Altrettanto importante è il dialogo della verità, ovvero l’analisi teologica delle questioni controverse che hanno portato a divisioni nel corso della storia. In questi dialoghi è emerso con crescente chiarezza che ciò che ci unisce è maggiore di ciò che ci separa. Infine, va ricordato come aspetto fondamentale l’ecumenismo spirituale, vale a dire l’adesione profonda e concorde di tutti i fedeli alla preghiera sacerdotale di Gesù, “che tutti siano una cosa sola”. Questa preghiera mantiene sveglia in noi la consapevolezza che l’unità della Chiesa corrisponde alla volontà del Signore».
Costante attenzione dei pontefici all’ecumenismo
Dalla fondazione del Dicastero i diversi Pontefici si sono molto impegnati nell’ecumenismo. Come definire in poche battute il contributo specifico di ognuno?
«Innanzitutto, dovremmo essere grati che tutti i Papi che si sono susseguiti dal Concilio abbiano dimostrato un cuore aperto alla causa ecumenica e che vi sia stata una grande continuità e coerenza tra di loro. Papa Giovanni XXIII era ben consapevole che il ripristino dell’unità dei cristiani è fondamentale per il rinnovamento della Chiesa cattolica. Papa Paolo VI contribuì in modo significativo all’adozione del Decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” da parte del Concilio. Egli fu un papa di grandi gesti ecumenici, in particolare verso l’Ortodossia e la Comunione Anglicana, e fu il primo papa a visitare il Consiglio Ecumenico delle Chiese. Papa Giovanni Paolo II era convinto che il terzo millennio avrebbe dovuto affrontare il grande compito di ripristinare l’unità andata persa, e ravvisò un aiuto essenziale nella testimonianza dei martiri che appartengono a Chiese diverse e che, con il dono della propria vita, hanno già vissuto l’unità. Per Papa Benedetto XVI, l’ecumenismo, a un livello profondo, è una questione di fede e, pertanto, un dovere primario del successore di Pietro. Per Papa Francesco è fondamentale che le varie Comunità ecclesiali percorrano insieme la via dell’unità, perché l’unità cresce cammin facendo. Anch’egli insiste inoltre sull’importanza dell’ecumenismo del sangue».
Ut unum sint
Nel corso di questi 60 anni un posto di rilievo occupa senza dubbio l’enciclica di Giovanni Paolo II, Ut Unum Sint emanata 25 anni or sono. «La sua importanza – ha affermato il card. Koch – risiede principalmente nel fatto che per la prima volta nella storia un Papa ha scritto un’enciclica sull’ecumenismo. Con essa, trenta anni dopo la fine del Concilio, Giovanni Paolo II ha ricordato che la Chiesa cattolica si è “impegnata in modo irreversibile” a percorrere la via ecumenica (UUS 3) e che tutti i membri della Chiesa sono tenuti per fede a partecipare al movimento ecumenico».
Su questo testo e sugli sviluppi ecumenici che ne sono seguiti riportiamo qui il commento di Johannes Schidelko pubblicato nell’agenzia tedesca KNA (25 maggio 2010), ripreso anche da Settimananews (29 maggio 2020).
Se i cristiani varcando la soglia del nuovo millennio non saranno ancora pienamente uniti, avranno almeno la fiducia che il superamento delle divisioni sia “molto vicino”. Giovanni Paolo II (1978 – 2005) si era prefissato di guidare la Chiesa cattolica nel terzo millennio – il più possibile uniti. Cinque anni prima dell’inizio millennio, il 25 maggio 1995, emanò a questo scopo l’enciclica “Ut unum sint” , la prima sull’ecumenismo.
In occasione del grande giubileo, il Papa, in un testo di 130 pagine, invitò le Chiese a compiere tutto ciò che stava in loro potere per bandire “i fantasmi del passato”, abbattere i muri di separazione e di diffidenza, superare gli ostacoli e i pregiudizi. In realtà la lettera è rimasta lontana dall’aver raggiunto le attese di un’ulteriore apertura all’ecumenismo. C’era tuttavia la sensazione che nel dibattito si ponesse una “questione scottante”: il primato del papa e il suo esercizio.
L’enciclica conferma il decreto sull’ecumenismo del Concilio “Unitatis redintegratio” (1964). Bisogna dire che i pontefici precedenti avevano accolto con favore il “movimento ecumenico” emerso all’inizio del secolo XX. Tuttavia il vero e proprio segnale di partenza si ebbe soltanto con il Concilio Vaticano II (1962 -1965): la ricerca dell’unità visibile, si disse, apparteneva organicamente alla vita e all’azione della Chiesa. Tuttavia questo percorso non poteva essere effettuato con dei facili compromessi, attraverso una riduzione dei contenuti di fede e dei tagli della propria identità. E che una celebrazione comune dell’eucaristia sarebbe stata possibile solo dopo aver stabilito la piena unità. Giovanni Paolo II sosteneva questa linea e apprezzava i successi e i “frutti” maturati nel cammino ecumenico, ma riconosceva che la Chiesa aveva compiuto soltanto un tratto di strada, per quanto promettente, del lungo cammino ecumenico verso la piena unità visibile di tutti i battezzati. Il dialogo e la collaborazione avrebbero dovuto perciò essere intensificati con pazienza.
Le proposte sul papato e il suo esercizio
Ciò che fece maggior scalpore nell’enciclica furono le proposte riguardanti il primato papale, Giovanni Paolo II riaffermava la concezione secondo cui “la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui". Nello stesso tempo, invitava i partner ecumenici a discutere con lui su questo problema e “a trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova”.
Benedetto XVI (2005-2013) durante il suo mandato ripeté questo stesso invito al dialogo sull'esercizio del primato.
L’ecumenismo dopo l’ “Ut unum sint” percorse tra alti e bassi un ulteriore tratto di strada. Per Giovanni Paolo II l’unità dei cristiani divenne nel suo ultimo decennio una preoccupazione sempre più importante. La dichiarazione congiunta tra cattolici e luterani sulla dottrina della giustificazione nel 1999 rappresentò un momento di grazia per il dialogo ecumenico. Un successo simile ebbe papa Francesco nella commemorazione con il vertice della Federazione mondiale luterana nel 2016 in Svezia, a Lund, nei 500 anni della Riforma e nei 50 anni del dialogo ecumenico.
Nel frattempo si deteriorarono i contatti con l’ortodossia. Ci fu un periodo di gelo di diversi anni dopo che il Vaticano, nel 2001, istituì quattro diocesi cattoliche in Russia. E nei rapporti con i protestanti e gli anglicani suscitarono dissenso diverse posizioni circa i problemi etici, ma anche quelli relativi all’ordinazione delle donne al sacerdozio e all’episcopato.
Tuttavia i partner ecumenici riuscirono a far giungere i risultati del dialogo e del miglioramento del clima alle loro comunità e tra i fedeli. Francesco incontrò persino il patriarca di Mosca Cirillo I (cf. pag. 19, E. Bianchi).
Non minore importanza papa Francesco, oltre al dialogo teologico, attribuisce all’“ecumenismo spirituale”, e a quello della preghiera e dell’incontro. Nella visita al Consiglio mondiale delle Chiese nel 2018 giunse al punto di affermare: “Camminare insieme, pregare insieme, insieme lavorare”. Questo è la nostra via regale”. Fin qui J. Schidelko.
Un vademecum per i vescovi
Per dare rilievo a questo duplice anniversario – della fondazione del Segretariato e l’emanazione dell’enciclica – il card. Koch, nella citata intervista a Massimiliano Menichetti, ha annunciato che il Pontificio Consiglio per l’unità pubblicherà nel corso di quest’anno un Vademecum ecumenico che intende aiutare i vescovi a comprendere in maniera più approfondita e a tradurre nella pratica la loro responsabilità ecumenica. Il Vademecum è anche specialmente concepito per presentare ai vescovi appena nominati i loro compiti, consistenti nell’offrire un accompagnamento a tutti i membri della Chiesa affinché possano assolvere il loro dovere di partecipare al movimento ecumenico.
Un’altra iniziativa del Pontificio Consiglio è la pubblicazione della rivista Acta Œcumenica che prosegue e arricchisce il bollettino Information Service/Service d’Information pubblicato da più di cinquant’anni.
Non pochi fedeli infatti, ha affermato il card. Koch, oggi hanno l'impressione che l’ecumenismo sia giunto a uno stallo. Questa impressione è in gran parte dovuta al fatto che non si è sufficientemente informati sugli sviluppi e sui progressi dell’ecumenismo. È dunque importante far sì che i risultati ecumenici più importanti vengano recepiti. Questo vale soprattutto per i documenti preparati e pubblicati dalle commissioni ecumeniche. Come è noto, i documenti non letti non servono a molto. La rivista Acta Oecumenica mira a facilitare questa recezione, principalmente fornendo informazioni sull’impegno ecumenico di papa Francesco e sulle attività ecumeniche del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e presentando i documenti principali dei dialoghi ecumenici. La rivista vuole essere un supporto alla formazione ecumenica, aspetto, questo, di fondamentale importanza per il futuro.
Da tutte queste iniziative si può dedurre che l’impegno per l’ecumenismo rimane sempre molto attivo. Va avanti senza far rumore, ma cammina.
a cura di A. Dall’Osto