Consorte Alfredo
Nunzio Sulprizio,un santo “della porta accanto”
2019/6, p. 22
Chi è Nunzio Sulprizio, il giovane abruzzese-napoletano «coraggioso, umile che ha saputo incontrare Gesù nella sofferenza, nel silenzio e nell’offerta di se stesso»,1 dichiarato venerabile da papa Pio IX nel 1859 e beatificato il 1° dicembre 1963 da papa Paolo VI, insieme al quale è stato canonizzato lo scorso 14 ottobre, ma che già Leone XIII aveva proposto come modello per la gioventù operaia?

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Nunzio Sulprizio, un santo “della porta accanto”
Chi è Nunzio Sulprizio, il giovane abruzzese-napoletano «coraggioso, umile che ha saputo incontrare Gesù nella sofferenza, nel silenzio e nell’offerta di se stesso», dichiarato venerabile da papa Pio IX nel 1859 e beatificato il 1° dicembre 1963 da papa Paolo VI, insieme al quale è stato canonizzato lo scorso 14 ottobre, ma che già Leone XIII aveva proposto come modello per la gioventù operaia?
Nunzio nacque a Pescosansonesco, in provincia di Pescara, il 13 aprile 1817, da Domenico e Rosa Luciani e in quello stesso giorno fu battezzato. Era figlio di lavoratori: il padre calzolaio, la mamma filatrice. Nell’agosto del 1820, a soli tre anni, rimase orfano di padre. Dopo circa due anni, anche per avere un sostentamento economico, la mamma si risposa, ma Nunzio non trova benevolenza verso il nuovo “padre” che lo tratta con durezza. Nonostante questo, il bambino è sereno: socievole e disponibile di carattere, gioca con gli amici, comincia a frequentare la scuola, gestita da un prete, e così inizia a conoscere Gesù e a pregare.
Nel 1823 muore anche la mamma e Nunzio, ad appena sei anni, viene affidato alla nonna materna, Rosaria, che si prende cura di lui: è una donna analfabeta, ma di grande bontà e con una fede profonda che continua ad accompagnare la crescita del bimbo il quale è contento quando può “servire la Messa” e far visita a Gesù Eucaristia.
Purtroppo tre anni dopo muore anche la nonna e per Nunzio, che ha solo nove anni ed è già orfano di entrambi i genitori, inizia un periodo ancora più buio della sua vita che si concluderà solo con la morte.
Accolto in casa dallo zio Domenico, fratello della mamma, viene tolto dalla scuola e messo nella sua bottega di fabbro come garzone. Lo zio lo impegna nei lavori più duri, lo manda a fare commissioni con carichi pesanti e a grandi distanze; spesso lo tratta male, lasciandolo anche senza cibo, e non gli risparmia percosse e improperi.
Ma Nunzio, nonostante la giovanissima età, ha già una fede grande: trova la forza in Gesù, il suo amico, e la domenica, anche se nessuno lo accompagna, va a Messa.
Inevitabilmente, presto si ammala. Si ritrova con una brutta piaga a un piede che avrebbe bisogno di continua pulizia, ma che in quell’ambiente e con quel tipo di vita andrà in cancrena. Lo zio, per nulla preoccupato della sua salute, visto che non può più stare in piedi lo mette a lavorare al mantice.
Tra l’aprile e il giugno 1831, stremato, è ricoverato all’ospedale dell’Aquila, ma le cure non sortiscono alcun effetto e, rientrato in paese, è costretto dallo zio a chiedere l’elemosina per sopravvivere. Tuttavia, il periodo trascorso in ospedale ha permesso a Nunzio di riposarsi un po’, di pregare più intensamente e di esercitare la carità verso gli altri ricoverati.
Finalmente, nell’estate del 1832, uno zio paterno, Francesco, militare a Napoli e informato della situazione del nipote, lo fa venire presso di sé e lo presenta al Colonnello Wochinger, conosciuto come “il padre dei poveri”, il quale prende a cuore le sorti del giovane, anche perché conquistato dalla bontà e dalla serenità di Nunzio, e nel mese di giugno lo fa ricoverare presso l’Ospedale degli Incurabili.
Qui viene dichiarato malato incurabile. Soffre di osteosarcoma, un tumore alle ossa, che gli procurerà l’amputazione della gamba e, infine, la morte.
In questo ospedale Nunzio vive uno dei momenti più belli della sua vita. Interrogato da un sacerdote, che lo vedeva sofferente, se desiderasse qualcosa, il giovane rispose che desiderava “confessarsi e ricevere l’Eucaristia per la prima volta”.
Il sacerdote rimase sorpreso che a 15 anni non avesse ancora fatto la prima comunione, ma informato dallo stesso Nunzio che dalle sue parti bisognava attendere proprio i 15 anni, che i suoi genitori erano morti e che lui si affidava solo alla Provvidenza, lo preparò a ricevere il sacramento e per il giovane fu una grande gioia.
Per circa due anni è ricoverato agli Incurabili, alternando alcuni periodi di cure termali a Ischia e ottenendo qualche miglioramento. In questo periodo si fa “apostolo” presso gli altri ammalati: insegna ai bambini ricoverati il catechismo, preparandoli alla prima comunione, a vivere da buoni cristiani, a sostenere e valorizzare il dolore.
Pensa anche di consacrarsi a Dio e nell’attesa, purtroppo vana, si fa approvare dal confessore una “regola” di vita per le sue giornate fatta di preghiera, meditazione e partecipazione alla Messa, studio, il Rosario alla Madonna, di cui è molto devoto.
Attorno a sé diffonde pace, gioia e … “profumo di santità”.
Presto però, all’iniziale miglioramento, segue l’aggravarsi delle sue condizioni in quanto non esistono cure per la sua malattia. Nel marzo del 1836 la situazione precipita e il 5 maggio, verso sera, Nunzio muore, dopo aver ricevuto i Sacramenti.
I suoi resti mortali si trovano nella chiesa di san Domenico Soriano a Napoli; alcune reliquie sono custodite a Pescosansonesco, suo paese natale, nel santuario a lui dedicato.
Il miracolo per il quale Nunzio è stato canonizzato ha per protagonista un giovane come lui. Si tratta di un ragazzo di Taranto coinvolto in un grave incidente stradale che gli ha causato lesioni celebrali tali che avrebbero dovuto comportare gravi danni motori, ma che grazie all’intercessione di Nunzio Sulprizio, è stato dichiarato guarito in modo “inspiegabile” per la scienza.
Come non vedere in Nunzio Sulprizio un santo “della porta accanto”, come si è espresso papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et Exsultate, che ci attira e ci sprona sulla via della santità?
Il Papa, infatti, ha ricordato ai cristiani che tutti, nessuno escluso, sono chiamati alla santità e che questa si realizza nel compiere bene e con amore i propri impegni e la propria missione. Questa santità “feriale” si realizza nella “costanza di andare avanti ogni giorno”, come i genitori che crescono i figli a volte con grandi sacrifici, gli uomini e le donne che lavorano per procurare il “pane quotidiano” a sé e alla famiglia, i malati che sostengono la loro sofferenza, gli anziani che portano il peso degli anni e, perché no, i giovani che intendono dare un senso alla loro vita impegnandosi nello studio e rendendosi solidali con gli altri. Secondo papa Francesco, questa santità “feriale” si presenta nel mondo attuale con alcune caratteristiche: la sopportazione, la pazienza, la mitezza, la gioia e il senso dell’umorismo, l’audacia, la capacità di creare comunione e, ovviamente, la preghiera costante.
Non sono forse i tratti che emergono dalla figura di Nunzio Sulprizio? Orfano, lavoratore figlio di lavoratori, ha affrontato eroicamente la malattia, si è dedicato agli altri nonostante sofferenze e limitazioni, ha ricercato costantemente il dialogo con il suo Signore, conservando sempre serenità d’animo e gioia.
Nell’omelia della canonizzazione Francesco ha detto che la santità consiste nel passare dall’osservanza dei precetti, che spesso nasconde la volontà di “acquistare meriti” davanti a Dio, al dono gratuito di sé nell’amore e che è proprio la gioia il segno di un cuore libero che ama mentre la tristezza è la prova dell’amore incompiuto e, dunque, della non santità.
Il Papa non fa altro che ribadire, con la concretezza che lo caratterizza, la vocazione alla santità di tutto il popolo di Dio già riaffermata dal Concilio Vaticano II, per cui tutti coloro che credono nel Cristo, di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità.
Il suo richiamo, a più di 50 anni dal Concilio, manifesta purtroppo una Chiesa ancora troppo “clericale” e poco “di comunione” in cui i laici non sono abbastanza apprezzati e valorizzati da clero e religiosi e dove gli stessi laici non sempre corrispondono alle esigenze della loro vocazione “laicale”, ricercando compiti intra ecclesiali, non sempre attenti alla formazione e all’impegno “temporale” e non di rado attratti da una spiritualità individuale e sentimentale.
La vera ed unica via alla santità resta Gesù, il vero Maestro, che ci ha indicato la strada sicura delle Beatitudini, la carta d’identità del cristiano: è la strada seguita dai santi, è la strada seguita da Nunzio Sulprizio. Solo seguendo Gesù diventiamo conformi alla sua immagine e capaci di dedicarci con generosità alla gloria di Dio e al servizio del prossimo.
Il vero culto “spirituale”, come ricorda san Paolo, consiste nel non conformarsi acriticamente alla mentalità corrente, nel discernere il bene per noi che Dio ci indica e nell’offrire noi stessi senza separare la fede dalla vita (cf. Rm 12,1-2).
Il giovane abruzzese-napoletano “coraggioso, umile che ha saputo incontrare Gesù nella sofferenza, nel silenzio e nell’offerta di se stesso” ci ricorda che tutti possiamo essere santi e che «nella vita non c’è che una tristezza … quella di non essere santi».
Alfredo Consorte