Pérez González María José
E' possibile e bello vivere insieme
2019/4, p. 39
In questo articolo vengono descritti i tratti più importanti della vita fraterna secondo la Costituzione Vultum Dei quaerere in dialogo con lo stile che Teresa d’Ávila voleva nelle sue comunità.

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Vita fraterna in Teresa di Gesù e papa Francesco
“È POSSIBILE E BELLO
VIVERE INSIEME”
In questo articolo vengono descritti i tratti più importanti della vita fraterna secondo la Costituzione Vultum Dei quaerere in dialogo con lo stile che Teresa d’Ávila voleva nelle sue comunità.
Il tema della vita fraterna in comunità è uno dei più sottolineati – sia come estensione sia come intensità – nella Costituzione Vultum Dei quaerere, che papa Francesco ha dedicato nel 2016 alla vita contemplativa femminile. Non per niente, la fraternità è considerata “la prima forma di evangelizzazione” (VDq 27), collegando con essa “Guardate come si amano” – l’esclamazione presente sulle labbra di coloro che guardavano al modo di vivere dei primi cristiani.
Teresa di Gesù comprese questo carattere di segno fin dall’inizio, quando la sua prima fondazione era solo un progetto, intravedendola come “una stella che avrebbe brillato di vivissimo splendore” (V 32,11). Curiosamente papa Francesco, in linea con questa luminosità che Teresa intravede, ci presenta la vita delle comunità contemplative come torri luminose in mezzo alla notte : «Il mondo e la Chiesa ne hanno bisogno come “fari” che accompagnano il cammino degli uomini e delle donne nella notte oscura del tempo” (VDq 6).
Papa Francesco in occasione del quinto centenario della nascita della santa metteva in risalto questo fattore: «Le comunità teresiane sono chiamate a diventare case di comunione che diano testimonianza dell’amore fraterno e della maternità della Chiesa».
Teresa di Gesù, dottore della Chiesa, è considerata la grande esperta dell’arte della preghiera. Ma, a maggior ragione, è maestra di vita spirituale nel senso ampio del termine, che implica un’esistenza in sintonia con lo Spirito. Ed Egli ci spingerà sempre verso i fratelli.
È deplorevole che l’Istruzione Cor Orans della CIVCSVA, pubblicata nel maggio del 2018 per concretizzare e tradurre in pratica la Costituzione VDq non abbia affrontato il tema della vita fraterna.
Il documento del papa affermava chiaramente: « La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica emanerà, secondo lo spirito e le norme della presente Costituzione Apostolica, una nuova Istruzione sulle materie annoverate al n. 12».
Il citato n. 12 menziona i 12 temi della Costituzione: formazione, preghiera, Parola di Dio, Eucaristia e Riconciliazione, vita fraterna in comunità, autonomia, federazioni, clausura, lavoro, silenzio, mezzi di comunicazione e ascesi.
Tuttavia, diversi temi trattati nel documento papale non sono sviluppati nell’Istruzione. Tra questi, quello della vita fraterna in comunità, crediamo che sia stata un’opportunità persa per ragioni che non conosciamo.
Chiamate a condividere la vita con Cristo
La Costituzione dice che «Cristo Signore, chiamando alcuni a condividere la sua vita, forma una comunità che rende visibile “la capacità di seguire un progetto di vita e di attività, che proviene dall’aver accolto l’invito a seguirlo più liberamente e più da vicino”» (VDq 24). L’origine della comunità occorre situarla, in primo luogo, nella chiamata del Signore che sceglie quelli che vuole (cf. Mc 3,13).
Al tempo di Teresa di Gesù (1515-1582) non tutte le monache erano tali per decisione propria, come risposta a una vocazione. Gli interessi sociali e famigliari contavano molto nel momento di decidere il destino di un donna, considerata minorenne e incapace di decidere il suo futuro. Teresa, al contrario chiederà sempre alle religiose una forte implicazione personale e una esperienza vocazionale. In questo senso, raccoglie due elementi essenziali nelle sue comunità: la chiamata di Dio a vivere in modo nuovo: “Questa chiamata” è un obiettivo chiaro, un progetto comunitario “per il quale il Signore ci ha unito insieme” (C 3,1).
Il piccolo gruppo di sorelle (all’inizio solo dodici e la priora) comprende se stesso come “piccolo Collegio di Cristo”. Attorno al “Signore della casa” si muove la vita della comunità, convocata e accompagnata da lui: “Cristo sarebbe stato con noi” (V32,11).
Teresa invita le sorelle a tenere sempre presente il dono della chiamata e a ringraziare per averlo ricevuto. “O sorelle, comprendete, per amor di Dio, la grande grazia che il Signore ci ha fatto per chiamarci in questa casa” (C 8,2).
La Costituzione raccoglie due tratti caratteristici della sequela di Cristo, inerenti alla vita consacrata che la comunità esprime: maggiore libertà e maggiore vicinanza in questa sequela. La professione dei consigli evangelici lo renderà possibile.
La vita comunitaria si configura in questo modo come sequela di Cristo, scuola di amore: “Oh, prezioso amore che imita tanto da vicino quello dello stesso Principe dell’amore, Gesù, nostro bene!” (C 6,9).
È possibile e bello vivere insieme
Papa Francesco scrive: “Voi che avete abbracciato la vita monastica, ricordate sempre che gli uomini e le donne del nostro tempo si aspettano da voi una testimonianza di vera comunione fraterna che con forza manifesti, nella società segnata da divisioni e disuguaglianze, che è possibile e bello vivere insieme” (VDq 26).
Quando le sorelle chiedono a Teresa di Gesù di parlare loro della preghiera, comincia non parlando dell’atto della preghiera (come se si trattasse di un’attività prescritta dall’orario conventuale), ma di tre cose necessarie per giungere ad essere donne che pregano, amiche di Dio. E la prima che ricorda è l’amore. Non si tratta di un amore disincarnato, astratto, ma molto concreto: “un amore l’una per l’altra” (C 4,4)
Teresa di Gesù vive anche in un contesto sociale politico e religioso di contrasto di cui dirà: “Tutto il mondo è in fiamme”.
La Spagna del sec. XVI – a cui apparteneva – segregava, divideva e contrapponeva: nobili contro i plebei, cristiani contro gli ebrei convertiti, colonizzatori contro gli indiani, uomini contro le donne… E, in seno alla cristianità, la Riforma di Lutero e dei suoi seguaci che avevano provocato una rottura della comunione. Il braccio secolare cercava di risolverla con il sangue e il fuoco. Tuttavia, la violenza, utilizzata in nome della fede, per Teresa era qualcosa di assurdo.
Per il fatto di essere donna non poteva nemmeno far ricorso ai “saperi” teologici come i predicatori e i letterati. In questa situazione, Teresa comprende che il suo maggiore contributo alla Chiesa, alla società, consisterà nel vivere come amica di Dio. Tuttavia non lo farà da sola ma formando delle comunità di sorelle come segno che un mondo diverso è possibile: “Le sorelle devono essere amiche di tutte e aiutarsi a vicenda” (C 4,7).
La comunità creerà uno spazio in cui le donne potranno vivere insieme strettamente, dove Dio sarà il centro e dove la gioia diviene contagiosa: “Se non se ne è fatta l’esperienza, non si può comprendere la gioia che si prova in queste fondazioni quando ci si ritrova in clausura….Come i pesci che tratti dal fiume con un colpo di rete non possono vivere se non rimessi nell’acqua, così pare alle anime abituate alle acque vive dello Sposo. Sottratte a quel loro elemento e ravvolte nelle reti delle cose del mondo, par veramente che più non vivono, fino quando non siano rese al loro stato” (F 31,46).
Ma la convivenza giorno per giorno non è qualcosa di facile. Per questo, avverte il pericolo che c’è in una comunità piccola – in cui la relazione è tanto stretta – quando ci sono gruppi contrapposti, o c’è un rapporto poco maturo tra le religiose: “Oh santo e perfetto amore quello di una religiosa che, pur di giovare, alle altre preferisce i loro interessi ai suoi, va progredendo di giorno in giorno in virtù e osserva, con ogni perfezione la sua Regola. È un amore che non ha nulla a che fare con quelle parole di tenerezza che in questa casa non si usano, né si devono mai usare come “vita mia”, “cuore mio”, “mio tesoro” o altre simili che si dicono distintamente a questa o a quell’altra persona in particolare. Queste dolci parole riservatele al vostro Sposo con il quale dovete stare a lungo e da sole” (C 7,8).
In tema di rapporti interpersonali, Teresa afferma, tuttavia che qualsiasi cosa è migliore dell’inimicizia tra le suore : “preferisco che si amino e si amino teneramente con piacere piuttosto che ci sia un punto di discordia. Che il Signore non lo permetta” (CE 11,11). Se si perde l’amore – dirà con severità – pensate in tal caso e tenete per certo di aver cacciato di casa il vostro Sposo” (C 7,10).
Un ruolo attivo nella comunità
La comunità non cresce se coloro che la compongono hanno un atteggiamento passivo. Perciò papa Francesco avverte: “La vita monastica comporta la vita comunitaria in un continuo processo di crescita, che conduca a vivere un’autentica comunione fraterna, una koinonia. Ciò richiede che tutti i suoi membri si sentano costruttori della comunità e non soltanto fruitori dei benefici che possono ricevere da essa. Una comunità esiste in quanto nasce e si edifica con l’apporto di tutti, ciascuno secondo i propri doni, coltivando una forte spiritualità di comunione, che conduca a sentire e vivere la mutua appartenenza. Solo in tal modo la vita comunitaria diventerà un aiuto reciproco nella realizzazione della vocazione propria di ciascuno” (VDq 25).
Nella sua esperienza all’Incarnazione di Ávila, Teresa di Gesù cercò, fin dal principio che le sue comunità avessero un numero ridotto di membri perché ciò favoriva e rafforzava i rapporti tra le sorelle, e rendeva maggiormente necessaria la partecipazione di tutte. Esprime questa corresponsabilità in modo semplice: “Incoraggiatevi a vicenda, aiutatevi le une le altre” (C 12,3).
Non si riferisce solo all’aiuto pratico per sbrigare i compiti necessari per la manutenzione del monastero. Si riferisce soprattutto alla certezza che il reciproco coinvolgimento fa parte dell’apostolato che ogni suora può compiere in comunità.
“Alle volte il demonio ci ispira grandi desideri per ottenere che, trascurando di servire nostro Signore nelle cose possibili che abbiamo tra mano, ci riteniamo contente di aver desiderato le impossibili… La vostra opera diverrà molto più grande, non essendo certo da poco ottenere con la vostra umiltà e mortificazione, con i vostri servizi in favore delle sorelle, con la vostra carità verso di esse e con il vostro amore per il Signore diveniate un fuoco che tutte le incendi e le stimoliate continuamente con le vostre virtù. Il Signore non guarda tanto alla grandezza delle opere ma all’amore con cui si compiono” (7M 4,14-15).
La pietra di paragone della relazione con Dio sarà il genere di relazioni che si stabiliscono con gli altri. Di qui l’avvertenza di Teresa:
“È necessario non mettere il nostro fondamento solo nel pregare e contemplare; perché se non praticate le virtù e non le esercitate, rimarrete sempre delle nane”(7M 4,10).
Fuggire l’autoreferenzialità
È costante nei discorsi di papa Francesco – sia quando si rivolge ai cristiani in generale, o a determinati gruppi della Chiesa, compresa la stessa gerarchia, – l’invito a fuggire l’autoreferenzialità che ha chiamato anche narcisismo o, in termini più informali, “la malattia dello specchio”. Un male da cui nemmeno la vita contemplativa è esente papa Francesco lo avverte sottolineando come Teresa di Gesù ne fosse consapevole e ne presentasse il rimedio:
“Fu molto attenta ad ammonire le sue religiose circa il pericolo dell’autoreferenzialità nella vita fraterna, che consiste «tutta o quasi tutta nel rinunciare a noi stessi e ai nostri agi» (ibid., 12, 2) e a porre ciò che siamo al servizio degli altri. Per evitare tale rischio, la Santa di Ávila raccomanda alle sue sorelle, innanzitutto, la virtù dell’umiltà, che non è trascuratezza esteriore né timidezza interiore dell’anima, bensì conoscere ciascuno le proprie possibilità e ciò che Dio può fare in noi (cfr Relazioni, 28). Il contrario è ciò che lei chiama «falso punto d’onore» (Vita, 31, 23), fonte di pettegolezzi, di gelosie e di critiche, che nuocciono seriamente alla relazione con gli altri. L’umiltà teresiana è fatta di accettazione di sé, di coscienza della propria dignità, di audacia missionaria, di riconoscenza e di abbandono in Dio”.
Per Teresa, come è stato detto prima, l’umiltà è “camminare in verità”. Per questo afferma che l’onore (“grandissima menzogna”) (V 20,26) è collegato con il falso e l’artificiale. Al suo tempo – e nel nostro – l’onore irretisce le persone e le introduce in un sistema di valori antievangelici in cui ognuno vale non in funzione di ciò che è, delle sue virtù, ma in funzione del suo denaro o lignaggio. In questo modo, l’onore distrugge le relazioni fraterne, mettendo gli uni al di sopra degli altri.
Un chiaro invito a evitare l’autoreferenzialità lo troviamo nella stessa Costituzione VDq dove il papa afferma: “la vita di preghiera e la vita contemplativa non possono essere vissute come ripiegamento su voi stesse, ma devono allargare il cuore per abbracciare l’umanità intera, particolarmente quella che soffre” (VDq 16).
Una vita contemplativa “in uscita”– missionaria, come deve essere la Chiesa – eviterà di cadere in questo pericolo di guardarsi e preoccuparsi eccessivamente della propria realtà, sia personale come comunitaria. Il libro delle Fondazioni si apre con questa costatazione:
Invidiavo molto coloro che per amor di Dio potevano darsi all’apostolato, fosse pure a prezzo di mille morti; e mi accade ancora, leggendo la vita dei santi, di sentire maggiore devozione, invidia e tenerezza per le conversioni da essi fatte, che non per i tormenti a cui sono andati soggetti, poiché questa è l’inclinazione che il Signore mi ha dato. Mi pare che egli apprezzi di più un’anima sola che con le nostre industrie e orazioni per sua misericordia noi gli guadagniamo, che non qualunque altro servizio che gli possiamo rendere” (F 1,7).
Per questo l’invito di Teresa alle sue sorelle è sempre di pregare per “ottenere anime” a Dio.
Solitudine abitata e vita fraterna
La vita contemplativa deve favorire l’equilibrio tra l’esperienza della solitudine e quella della comunione. Queste due dimensioni sembrano raccolte nel documento di papa Francesco quando afferma: “Avete consegnato la vostra vita, fissando il vostro sguardo nel Signore, ritirandovi nella cella del vostro cuore (cfr Mt 6,5), nella solitudine abitata del chiostro e nella vita fraterna in comunità” (VDq 9).
Teresa cercava, se fosse possibile, che i suoi conventi avessero un grande orto per lo svago comunitario, ed eremi dove le sorelle potessero ritirarsi, di tanto in tanto, combinando i tempi di solitudine e quelli di incontro con l’altro: “Lo stile di vita che intendiamo condurre non è tanto da monache, ma da eremite” (C 1,6).
La propria cella, le cappelle, utilizzate occasionalmente sono elementi che aiutano a coltivare la solitudine. Sottolinea J. Jesús Murillo: “Perché e a quale scopo questa insistenza nella ricerca della solitudine? C’è una ragione: per interiorizzare, per entrare dentro di sé, per la formazione di persone oranti, insomma per vivere in un clima di preghiera incessante, che in questi monasteri è il perno attorno a cui gira tutta la vita. Più chiaramente lo spiega la dottora mistica: “Per dare spazio al Signore e a sua Maestà di agire come in cosa sua”. Ci sono molti passi in cui sottolinea la relazione tra solitudine e preghiera: abituarsi alla solitudine è una grande cosa per la preghiera”. “Coloro che cominciano a pregare hanno bisogno di abituarsi […] a stare in solitudine”.
Certo, questa solitudine non ha niente a che fare con quella che lei stessa esperimentò, attorniata da tante monache all’Incarnazione, cioè una vita che le fece sospirare l’aiuto fraterno: “Gran male per un’anima è trovarsi sola […] perciò consiglio a quanti si dedicano alla preghiera specialmente in principio, di procurare amicizia e conversazione con persone che praticano il medesimo esercizio” (V 7,20).
È stata proprio questa solitudine negativa che la condusse a scoprire il valore di una comunità di amiche che si aiutassero tra loro a vivere nella verità. Di qui, la necessità che il gruppo fosse piccolo e bene unito, con molta interazione tra le sorelle, e in un clima di libertà e di rispetto vicendevole.
L’unità non è uniformità
Papa Francesco parte, come avrebbe potuto non essere, dall’ecclesiologia di comunione del concilio Vaticano II, che si basa sui valori dell’unità e della diversità: “La santa Chiesa è, per divina istituzione, organizzata e diretta con mirabile varietà” (LG 32).
Nella Costituzione, il papa si rivolge espressamente alle contemplative affinché apprezzino la diversità che esiste nella comunità: “Ricordate che unità e comunione non significano uniformità” (VDq 26). Siamo fortunatamente davanti ad un approccio molto diverso da quello che la Chiesa gerarchica ha avuto in altre epoche verso la vita consacrata.
Teresa è stata sempre consapevole della diversità delle sorelle che formavano la comunità e considerò un pericolo il pensiero unico e la colonizzazione spirituale da parte della priora: “Vostra Reverenza pensa che tutte debbano avere il suo spirito e s’inganna molto” (Lettera alla madre Tomasina Bautista,Valladolid, 27 agosto 1582). Proprio alle sorelle che stanno a capo della comunità chiede flessibilità nel trattare ciascuna secondo le sue necessità.
Faccia attenzione a non condurre tutte con lo stesso metro. E questa sorella a cui il nostro padre diede l’abito, la consideri come malata e non le venga dato niente che richieda molta perfezione; basta, come si dice, che faccia bene come può e non offenda Dio” (Lettera alla M. Ana di Sant’Alberto, Toledo, 2 luglio 1577).
La grande ricchezza che suppone questa diversità porta la Madre ad essere sicura che Dio è colui che guida ciascuna: “Non creda la priora di poter conoscere le anime in poco tempo. Lasci questo al Signore che solo lo può, e cerchi di aiutare le monache a seguire il cammino per il quale Dio le conduce, sempre inteso che non manchino all’obbedienza e ai punti più essenziali delle Costituzioni” (FI 18,9).
Il papa in molti interventi ha affermato che non bisogna confondere l’unità (nella comunità, nella Chiesa, nel mondo…) con l’uniformità e l’omologazione. Con espressioni come “lo Spirito Santo non costruisce uniformità” o “l’uniformità non è cattolica, non è cristiana” ha detto chiaramente che la vera unità non annulla le differenze, ma le integra: “È curioso! Colui stesso che fa l’unità, è lo stesso che fa la diversità: lo Spirito santo. Egli fa le due cose: unità nella diversità. L’unità non è uniformità, non consiste nel fare obbligatoriamente tutto insieme, né pensare allo stesso modo, né, meno ancora, perdere l’identità. L’unità nella diversità è esattamente il contrario, è riconoscere e accettare con gioia i diversi doni che lo Spirito Santo dà a ciascuno, e metterli al servizio di tutti nella Chiesa”. (Discorso ai membri delle associazioni carismatiche di Alleanza, 31.10.2014).
Perciò, al cerchio, il papa preferisce la figura geometrica del poliedro:
“Una persona che conserva la sua personale peculiarità e non nasconde la sua identità, quando si integra cordialmente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il proprio sviluppo. Non è né la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili. Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. (EG 235-36).
È così definita “una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia” (ib 220).
La prossimità nelle relazioni
Teresa interpella le sue sorelle presentando ad esse l’affetto come una conseguenza necessaria della convivenza:
“Dov’è gente così barbara che non si amerebbe trattando e vivendo sempre insieme, senza poter parlare, ricrearsi o senza relazione con altri?” (C 4,10).
Presenta alcuni tratti di questo affetto con espressioni come “mostrare tenerezza nella volontà e anche averla”, “essere sensibili alle pene e alle infermità delle sorelle”, “ saper compatire le sorelle quando sono in angustia”, “ “durante la ricreazione diportatevi allegramente” (cf C 7,5-7).
La Madre presenta questa prossimità e affabilità come qualcosa di correlativo alla crescita spirituale.
“Alle religiose importa molto questo: più siete sante, più dovete mostrarvi affabili con le sorelle […]. Sforziamoci di essere molto affabili e accondiscendenti e di contentare le persone con cui trattiamo, specialmente le nostre consorelle” (C 41,7).
Anche la Costituzione del papa sottolinea questo aspetto della vicinanza del tratto, tanto essenziale nella vita comunitaria in cui le diverse età dei suoi membri si armonizzano, creando una relazione dinamica tra memoria e futuro:
“Come ho detto recentemente nel mio incontro con i consacrati convenuti a Roma per la conclusione dell’Anno della Vita Consacrata, sia vostra premura la prossimità verso le sorelle che il Signore vi ha regalato come dono prezioso. D’altra parte, come ricordava san Benedetto, è fondamentale nella vita comunitaria «venerare gli anziani e amare i giovani». In questa tensione da armonizzare tra memoria e futuro promesso si radica anche la fecondità della vita fraterna in comunità” (VDq 27).
Teresa di Gesù, donna di salute inferma, è molto sensibile a questo aspetto della vita che spesso condizionava anche il cammino comunitario (erano frequenti i contagi). Chiede alle sorelle che assistano con generosità le malate…
Quando vedo delle anime tutte intente a rendersi conto dell’orazione che hanno e così concentrate quando sono in essa da far pensare che rifuggano dal più piccolo movimento e dal divertire il pensiero per paura di perdere quel po’ di gusto e di devozione che sentono, mi persuado che ancora non conoscono come si arrivi all’unione. Pensano che sia tutto nel far così: No, sorella mia! Il Signore vuole opere. Vuole ad esempio, che non si curi di perdere quella devozione per consolare un’ammalata a cui vedi di poter essere di sollievo, facendo tua la sua sofferenza, digiunando tu, se occorre, per dare a lei da mangiare” (5M 3,11).
Perciò dà questa regola d’oro alle sue figlie:
Se costringerete la vostra volontà ad accondiscendere in tutto a quella delle sorelle, anche a scapito dei vostri diritti, e dimenticherete i vostri interessi per non attendere che ai loro e, presentandosene l’occasione prenderete su di voi ogni fatica per esentarne le altre, Egli vi darà più di quanto sappiate desiderare” (5M 3,12).
L’unione con Dio, il cui volto si cerca incessantemente nella vita contemplativa, è possibile solo con la dedizione e il servizio di coloro che Egli ci ha posto accanto.
Contro il demonio meridiano
Uno dei pericoli solitamente associato alla vita monastica è quello dell’ “accidia” o “demonio meridiano”. Il papa lo ricorda con queste parole: “Tra le tentazioni più insidiose per un contemplativo, ricordiamo quella chiamata dai padri del deserto “demonio meridiano”: è la tentazione che sfocia nell’apatia, nella routine, nella demotivazione, nell’accidia paralizzante” (VDq 11).
Fu il monaco Evagrio Pontico, nel sec. IV a descrivere con maggior ampiezza e precisione le caratteristiche e gli effetti di questo modo di pensare negativo che riguardava il monaco per il suo processo interiore, ma anche per le difficoltà delle relazioni fraterne.
Così descriveva Evagrio nel suo Trattato Pratico alcuni degli effetti di questa tentazione: “… gli suscita avversione verso il luogo dove vive, verso la sua stessa vita e il lavoro manuale; gli inculca l’idea che la carità è scomparsa tra i suoi fratelli e non c’è chi lo consoli. Se a ciò si aggiunge che qualcuno, in questi giorni, contristò il monaco, il demonio si serve di questo per aumentare la sua avversione”.
Teresa di Gesù era molto cosciente di questo pericolo. Anche se l’accidia e la malinconia, tanto menzionata dalla Madre, non si identificano, hanno però dei punti in comune. Teresa conosceva le ripercussioni che avevano l’umore, lo stato d’animo sulla vita comunitaria. Così scriveva a Jerónimo Gracián: “ Creda che temo più una monaca scontenta di molti demoni”.
Per questa ragione stabilì la possibilità che una monaca potesse aprire il suo animo ad un’altra e si aiutassero a vivere in fedeltà.
“La Madre dà questa licenza di parlare quando, per giungere all’amore che hanno verso lo Sposo, una sorella volesse parlare con un’altra di esso, o consolarsi se ha qualche necessità o tentazione” (Cost. 7).
La Madre ebbe cura anche che le sue monache si aiutassero a distrarsi e a recuperare il buon umore attraverso la ricreazione per la quale stabilì due ore, lo stesso tempo che per la preghiera mentale.
La ricreazione è un luogo in cui le sorelle possono comportarsi con grande libertà. È tempo di divertimento, di allegria, di comunicazione.
Ana di San Bartolomé, infermiera e segretaria di Teresa, scrive così sul valore che attribuiva alla ricreazione: “Certe volte alcune religiose chiedevano di non andare in ricreazione, con il pretesto di un maggior raccoglimento e desideravano appartarsi dalla comunità. Ma la nostra santa Madre insistette molto di non farlo e le rimproverò dicendo che era tutto amor proprio e inganno del diavolo e che con il pretesto dello spirito si sarebbero fatte singolari e avrebbero ferito l’amore verso le loro sorelle. E che per questo c’erano due ore per trattarsi e comunicarsi con amore le une le altre per recuperare uno spirito nuovo.
La priora favorisca un clima di libertà e responsabilità
La priora ha un ruolo essenziale nella comunità. Il papa, nella Costituzione, chiede loro che “siano guidate da un vero spirito di fraternità e di servizio, per favorire un clima gioioso di libertà e di responsabilità così da promuovere il discernimento personale e comunitario e la comunicazione nella verità di quanto si fa, si pensa e si sente” (art. 7 par. 1).
Teresa comprese l’importanza delle priore nel compito di favorire l’unità tra le sorelle e la crescita interiore di ciascuna. Questa cresce attraverso una pratica che lasciò prescritta nelle Costituzioni, con la quale la priora diventava un’autentica accompagnatrice per aiutare ciascuna nel suo cammino spirituale […]
Necessità del lavoro senza attivismo
Nella Spagna del sec. XVI, il lavoro manuale aveva una connotazione molto negativa. Era qualcosa di disdicevole e tutti coloro che cercavano il prestigio sociale lo evitavano per non rimanerne contaminati. Teresa di Gesù, quando progetta il suo primo monastero, decide che non abbia rendite, stabilendo un sistema di vita povero basato non tanto sull’elemosina ma sul lavoro. Le monache si guadagneranno il pane “con il lavoro delle proprie mani” (Cost.9).
“ Ciascuna cerchi di lavorare affinché mangino le altre. Si tenga molto conto di ciò che comanda la Regola: chi vuole mangiare deve lavorare come faceva san Paolo” (Cost. 24)
Il papa Francesco nella Costituzione esorta le contemplative a coinvolgersi nel lavoro. Il fatto di possedere una rendita non deve esimere dal dovere del lavoro che è un modo di partecipare all’opera creatrice di Dio e inoltre costituisce una solidarietà con tante persone che lavorano duramente: “Vi fa essere solidali con i poveri che non possono vivere senza lavorare e che spesso, pur lavorando, hanno bisogno del provvidenziale aiuto dei fratelli” (VDq 2). Francesco ricorda alle monache che “per le comunità dedite alla contemplazione, il frutto del lavoro non abbia soltanto lo scopo di assicurare un sostentamento dignitoso ma anche, quando possibile, di sovvenire alle necessità dei poveri e dei monasteri bisognosi” (art 11,2).
Un’altra avvertenza del papa è di non lasciarsi prendere dall’attivismo: “il lavoro sia compiuto con devozione e fedeltà, senza lasciarsi condizionare dalla mentalità efficientistica e dall’attivismo della cultura contemporanea” (VDq 32).
Sul tema del lavoro, l’Istruzione Cor Orans ha un richiamo dello stesso genere: “Il lavoro in quanto tale può essere un modo di mettere a frutto i propri talenti e dunque un aiuto per l’espressione della bellezza della persona; diventa pericoloso quando sia assolutizzato e catturi l’attenzione a detrimento dello spirito” (CO 247).
L’ideale è di riuscire a fare in modo che il lavoro si integri nell’orario conventuale senza che abbia ad assorbire eccessivamente le energie delle sorelle: “ed educhi a trovare un rapporto equilibrato tra la tensione verso l’Assoluto e l’impegno nelle responsabilità quotidiane, tra la quiete della contemplazione e l’alacrità nel servizio” (VDq 32).
Teresa di Gesù cercò sempre questo necessario equilibrio in tutto, tenendo conto delle difficoltà che comportavano certi lavori… Nel Cammino di Perfezione, commentando il “Padre Nostro”, aveva chiesto alle sue sorelle che il lavoro, la preoccupazione per il sostentamento non occupassero la loro mente in modo tale da impedire la tranquillità necessaria alla vita interiore, invitando alla fiducia nella Provvidenza:
“Quanto all’altro pane, se vi siete abbandonate alla volontà di Dio non ve ne dovete preoccupare almeno durante l’orazione, nella quale avete da trattare di cose assai più importanti. Vi sono altri tempi per lavorare e guadagnarvi da vivere, ma anche allora non dev’essere con troppa preoccupazione, ma mentre il corpo lavora, l’anima si mantenga nel riposo” (C 34,4).
Papa Francesco scrive nella Costituzione: “Nella vita contemplativa, particolarmente in quella integralmente contemplativa, considero importante prestare attenzione al silenzio abitato dalla Presenza, come spazio necessario di ascolto e di ruminatio della Parola e presupposto per uno sguardo di fede che colga la presenza di Dio nella storia personale, in quella dei fratelli e delle sorelle che il Signore vi dona e nelle vicende del mondo contemporaneo” (VDq 33).
Ascolto del grido dei fratelli
La vita contemplativa ha significato se è vissuta evangelicamente, vale a dire, se non implica una dimenticanza dell’altro, del povero, del fratello bisognoso. Il papa lo ricorda con queste parole: “Unite a Dio, ascoltate il grido dei vostri fratelli e sorelle (cfr Es 3,7; Gc 5,4) che sono vittime della «cultura dello scarto», o che semplicemente hanno bisogno della luce del Vangelo” (VDq 36).
La clausura non indusse Teresa di Gesù né i suoi fratelli a disimpegnarsi dai problemi del mondo. I parlatori dei suoi monasteri furono sempre un luogo in cui giungevano “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce” le persone di ogni epoca. (GS 1).
La Costituzione sottolinea: “Pregate e intercedete per tanti fratelli e sorelle che sono carcerati, migranti, rifugiati e perseguitati, per tante famiglie ferite, per le persone senza lavoro, per i poveri, per i malati, per le vittime delle dipendenze, per citare alcune situazioni che sono ogni giorno più urgenti”.
Leggendo l’epistolario teresiano possiamo renderci conto di come la Madre era del tutto al corrente degli avvenimenti politici e sociali del suo tempo. E cercava di coscientizzare le sue sorelle chiedendo, per esempio, a Maria di San Giuseppe di pregare per il problema della successione in Portogallo che poteva sfociare in una guerra. Anche a Maria Bautista chiede preghiere per D. Juan de Austria che va in incognito per le terre delle Fiandre.
Come possiamo osservare, tutto ciò che la preoccupava aveva una ripercussione nella preghiera in cui presentava al Signore le necessità della storia.
Teresa di Gesù seppe servirsi dei mezzi di comunicazione a sua portata per stare al corrente della realtà che la circondava. Per quanto riguarda la corrispondenza, nella misura del possibile, si servì dei mezzi più sicuri e veloci, anche se ciò richiedeva una spesa maggiore. Si preoccupò di ubicare i suoi monasteri in luoghi ben collegati, come qualcosa di essenziale per evitare l’isolamento.
Nei nostri tempi è fuori di dubbio che sarebbe stata entusiasta del campo digitale tenendo presente che nel suo cercò sempre l’efficacia nelle comunicazioni.
Nella Costituzione il papa scrive: “Questi mezzi possono essere strumenti utili per la formazione e la comunicazione, ma vi esorto a un prudente discernimento affinché siano al servizio della formazione alla vita contemplativa e delle comunicazioni necessarie” (VDq 34). Da parte sua, l’Istruzione Cor orans invita a selezionare l’informazione, dando importanza alla qualità più che alla quantità, in un mondo saturo di notizie: “Le monache curano la doverosa informazione sulla Chiesa e sul mondo, non con la molteplicità delle notizie, ma sapendo coglierne l'essenziale alla luce di Dio, per portarle nella preghiera in sintonia con il cuore di Cristo” (CO 171).
Questo invito alla prudenza non è qualcosa che riguarda unicamente le monache contemplative. I messaggi di papa Francesco contengono numerosi riferimenti, rivolti ad ogni genere di persone, sul pericolo di rimanere invischiati da alcuni mezzi che banalizzano l’informazione e provocano dipendenza. Così troviamo, per esempio, nella sua recente Esortazione Gaudete et exsultate sulla chiamata alla santità nel mondo attuale: “Anche il consumo di informazione superficiale e le forme di comunicazione rapida e virtuale possono essere un fattore di stordimento che si porta via tutto il nostro tempo e ci allontana dalla carne sofferente dei fratelli” (GE 108)..
La vita fraterna favorisce la formazione
La Costituzione di papa Francesco ha offerto un progetto fondamentale alla formazione delle sorelle. Difatti, il documento non inizia trattando il tema della preghiera (prevedibile in un testo rivolto alle contemplative) ma riserva il primo posto alla formazione, che è molto in linea con la nota sentenza teresiana “Che Dio ci guardi dalle devozioni sciocche” (V 13,16).
È la comunità che deve favorire e veicolare questo itinerario formativo, inscritto nel progetto comunitario:
“La formazione, specialmente quella permanente, «esigenza intrinseca alla consacrazione religiosa», ha il suo humus nella comunità e nella vita quotidiana. Per questo motivo ricordino le sorelle che il luogo ordinario dove avviene il cammino formativo è il monastero e che la vita fraterna in comunità, in tutte le sue manifestazioni, deve favorire tale cammino” (VDq 14)… “Questo mira a formare il cuore, la mente e la vita facilitando l’integrazione delle dimensioni umana, culturale, spirituale e pastorale” (id. 13).
Teresa di Gesù, insiste infine, sulla necessità di guardare alla qualità più che alla quantità delle vocazioni. Anche la Costituzione di papa Francesco ammonisce: “Dato l’attuale contesto socio-culturale e religioso, i monasteri prestino grande attenzione al discernimento vocazionale e spirituale, senza lasciarsi prendere dalla tentazione del numero e della efficienza”.
Con un intuito che ha preceduto di secoli i tempi, Teresa scriveva: “Non è nostro vantaggio avere molti monasteri, ma che siano sante coloro che vi abitano”. E sulla vita fraterna avvertiva che se una candidata non aveva attitudini per la vita comunitaria, anche se avesse avuto molte qualità, non era da accettare.
María José Pérez González, OCD
Carmelo di Puçol - Valencia