La Mela Maria Cecilia
Il dono dell'ascolto
2019/4, p. 32
Oggi più che mai, sperimentiamo che le comunità monastiche sono chiamate ad esercitare l’apostolato dell’ascolto. Siamo consapevoli che questa urgenza riguarda anche noi. Nei nostri parlatori assistiamo quotidianamente al miracolo di animi che si rasserenano e che si placano.

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Testimoni
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Apostolato in monastero
IL DONO
DELL’ASCOLTO
Oggi più che mai, sperimentiamo che le comunità monastiche sono chiamate ad esercitare l’apostolato dell’ascolto. Siamo consapevoli che questa urgenza riguarda anche noi. Nei nostri parlatori assistiamo quotidianamente al miracolo di animi che si rasserenano e che si placano.
Ci sono tre paroline “magiche” che spesso modi di fare frettolosi e superficiali relegano ai margini della vita comunitaria ma che sono invece chiavi preziose che aprono i cuori e sottolineano il valore dello stare insieme nella direzione del rispetto, della riconoscenza, della delicatezza d’amore. Papa Francesco più volte le ha richiamate nei suoi discorsi e messe in risalto anche in alcuni suoi scritti: «Vorrei ripeterlo: permesso, grazie, scusa» (Amoris laetitia n. 133). Sono parole preziose che suscitano a loro volta altre sfumature, suggeriscono direzioni d’azione, invitano ad uscire da grossolanità egoiste e inopportune.
Un’altra parola che, sulla scia anche del magistero e dello stile del Pontefice attuale, andrebbe riproposta all’attenzione di molti è “ascolta”. Essa è in un certo senso il campo fecondo dove germogliano i semini del dire permesso, grazie, scusa e tante altre parole che nascono dall’ascolto e dal riconoscimento dell’altro e delle sue esigenze. Tante divisioni in famiglia e altrove nascono proprio dalla mancanza di ascolto e, quindi, di dialogo, di reciprocità, di sintonia. Accorato l’appello/preghiera di David Maria Turoldo, il servita poeta, quanto mai attuale:
«Padre, non sappiamo più ascoltare;
Padre, nessuno più ascolta nessuno:
nessuno sa fare più silenzio!
Abbiamo perso
il senso della contemplazione,
perciò siamo così soli e vuoti,
così rumorosi e insensati;
e inevitabilmente idolatri!».
Preghiera, ascolto
e silenzio
La Regola di san Benedetto inizia con l’esortazione «Ascolta» (Prologo, 1); è l’eco dello shemà ebraico, dell’invito a fare della nostra vita di fede una continua memoria, un ascolto perenne della Parola di Dio per accogliere, quotidianamente, il divino volere che ci apre alla carità. L’ascolto diviene vitale nel cammino spirituale perché apre alla dimensione dell’Assoluto che parla nel silenzio del cuore. Imitando Gesù Cristo siamo pertanto abilitati a quella missione di comunione che si fa accoglienza sensibile e delicata degli altri. Come anche sottolineato da Benedetto XVI all’udienza generale del 9 aprile 2008, «il monaco deve essere un uomo che sa ascoltare e sa imparare da quanto ascolta […]. La preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (RB Prol., 45) che deve tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi insegnamenti” (RB Prol., 35)».
La Bibbia è piena di meravigliose storie personali che nascono dall’ascolto e si intrecciano con le vicende familiari, sociali e religiose in cui fioriscono. Ad esempio quella di Samuele: «“Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta”. Samuele è pronto ad ascoltare e obbedire alla parola del Signore. Ecco il compito di Samuele: l’ascolto. Dall’ascolto nasce il suo compito di profeta. Troppo spesso confondiamo “obbedienza” con “sottomissione”; ma l’obbedienza consiste effettivamente nell’ascoltare l’altro che si rivolge a me e nel rispondergli liberamente».
E, ancora, la Creatura per eccellenza non per nulla invocata anche come Vergine del silenzio e dell’ascolto: «Maria sa ascoltare Dio. Attenzione: non è un semplice “udire”, un udire superficiale, ma è l’ “ascolto” fatto di disponibilità verso Dio. Non è il modo distratto con cui noi ci mettiamo di fronte al Signore o agli altri: udiamo le parole, ma non ascoltiamo veramente. Maria è attenta a Dio, ascolta Dio. Questo vale anche nella nostra vita: ascolto di Dio che ci parla e ascolto anche della realtà quotidiana, attenzione alle persone, ai fatti perché il Signore è alla porta della nostra vita e bussa in molti modi, pone segni nel nostro cammino; a noi la capacità di vederli […]. Maria si pone in ascolto di Dio, riflette e cerca di comprendere la realtà e decide di affidarsi totalmente a Dio, decide di visitare, pur essendo incinta, l’anziana parente».
Preghiera, ascolto e silenzio innescano la dinamica del mettersi in cammino, dell’uscire da sé per andare incontro agli altri. Al n. 172 dell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate di papa Francesco leggiamo: «Il discernimento orante richiede di partire da una disposizione ad ascoltare: il Signore, gli altri, la realtà stessa che sempre ci interpella in nuovi modi. Solamente chi è disposto ad ascoltare ha la libertà di rinunciare al proprio punto di vista parziale e insufficiente, alle proprie abitudini, ai propri schemi». E così inizia l’irrinunciabile viaggio per raggiungere la regione montuosa che è il fratello, la sorella che mi vivono accanto, aprendoci al mondo intero, alle sue esigenze, aspirazioni, problematiche, attese… Anche in monastero si è sollecitati, anzi forse ancora di più, a partire interiormente in fretta e incontrare il nostro prossimo bisognoso di un ascolto attento, rispettoso, solidale. Prima di tutto nella comunione orante. «La contemplazione, lungi dall’allontanare le contemplative dall’umanità, in particolare dall’umanità che soffre, le renderà esperte nell’ascolto, “che è più che sentire”, e nella “spiritualità della ospitalità”, accogliendo nel loro cuore e portando nella loro preghiera “quanto riguarda l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio”».
Sono tanti
che bussano alla porta
Anche nel nostro monastero sono tanti quelli che bussano alla porta (o telefonano o scrivono) e chiedono di poter incontrare qualcuna di noi per poter parlare, per essere ascoltati. Ci dicono: “Fuori nessuno ci ascolta, nessuno ha tempo”, e così si può sperimentare la solitudine anche nel tumulto della folla, ci si può sentire smarriti anche in mezzo alla gente.
In molti pensano che la vita contemplativa sia inutile, che fanno bene le suore che escono dai conventi, che si dedicano alle problematiche della società, assistono gli anziani, stanno con i giovani, si impegnano a favore dei poveri, degli handicappati… Ed è vero: guai se non ci fosse nella Chiesa e nella società la dedizione attiva dei religiosi e delle religiose. Ma è anche pur vero che l’albero prende alimento dalla terra tramite le radici nascoste che non emergono in superficie: allo stesso modo opera efficacemente la preghiera silenziosa delle claustrali. «Il Silenzio abitato dalla presenza dell’Amore permette alla contemplativa di diventare “figlia dell’ascolto”».
Come ha ben detto san Paolo VI, «è il silenzio che forma il deserto nell’anima che è in ascolto di Dio». Papa Montini, tanto vicino per affinità elettiva al mondo monastico, ha anche asserito che «la preghiera delle claustrali non fa che alimentare il filo di congiunzione del colloquio con Dio. Per questo occorre essere fedeli alla scelta, nella certezza di essere utili alla Chiesa in una misura altissima». La clausura è uno spazio dell’anima, non un perimetro che delinea dei confini. È una questione di cuore. La clausura affina la capacità di cogliere le sfumature, di arrivare all’essenziale, di abbracciare il mondo intero. L’affinità all’ascolto si acquista a partire prima di tutto prestando attenzione al nostro cuore, alle circostanze ordinarie della vita, alle persone che ci vivono accanto: ascoltare le consorelle, intuirne i bisogni, prevenirle e sostenerle è già esercitarsi in quest’arte così delicata e necessaria. L’ascolto diventa una declinazione dell’amore aprendoci ad esso.
Oggi più che mai, sperimentiamo che le comunità monastiche sono chiamate ad esercitare l’apostolato dell’ascolto. Con questo non asseriamo di averne la prerogativa o di esserne professioniste, basti pensare ai confessori e ai direttori spirituali. Siamo consapevoli, tuttavia, che questa urgenza riguarda anche noi. Nei nostri parlatori assistiamo quotidianamente al miracolo di animi che si rasserenano, che si placano, che accettano finalmente la propria croce. Persone che celano dietro un volto all’apparenza tranquillo voragini inimmaginabili, storie di inaudita sofferenza, problemi enormi, paure inconfessabili. Non possiamo dar loro altro che il nostro essere sorelle e amiche, ascoltiamo, sorridiamo, sfioriamo la loro mano tesa, preghiamo insieme.
Finito il colloquio, ecco che l’altro varca nuovamente la porta del monastero per far ritorno alla difficile quotidianità; non si è risolto nulla: la mancanza di lavoro, la grave malattia, la divisione in famiglia, le cicatrici di violenze subite rimangono, eppure quanta pace ormai in quel cuore, quanta luce in quella esistenza! È la missione dell’ascolto, dell’accoglienza. Facciamo nostri e portiamo nell’orazione gli echi di gioia e di sofferenza dell’umanità, come il nardo profumato che, versato ai piedi di Gesù, si espande per tutta la casa (Gv 12,3). Non isolate dal mondo, ma raccolte in preghiera per essere nel mondo. La clausura diviene l’oasi spirituale alla quale attingere quello spazio prezioso di intimità con Dio per poi condividere, con chi ci incontra, la serenità e la carica interiore che vengono dalla preghiera. È Dio che parla al cuore di ogni persona; noi siamo soltanto strumenti, ripetitori della sua Parola di vita, suggeritrici di speranza, animatrici di coraggio, creature limitate ma aperte all’azione dello Spirito Santo per essere trasformate in canali della sua grazia.
Lo hanno espresso bene i nostri confratelli: «Il cenobio lo si potrebbe indicare come la vigna del Signore ove i monaci sono inviati per attuare un’opera sublime, il capolavoro della loro esistenza. E tra i compiti prioritari assunti recentemente quello di ascoltare le persone: lo si può considerare un ministero ecclesiale oggi utilissimo per le persone in preda alla solitudine, all’affanno, all’angoscia, alla disperazione.
Il cenobio
e l’ascolto
E così il cenobio assume una valenza molto significativa – quella dell’ascolto – e diventa meta preferita per tanta gente, convinta di trovare sempre un monaco in grado di ascoltare e capace di trasmettere una parola di vita […]. E questo ascolto, fatto all’interno del cenobio, non può non condurre la persona a Cristo, maestro e Signore».
Quando il Signore chiama ad una vita di speciale consacrazione conduce progressivamente al dono totale di sé e all’unione con Lui. E nell’essere tutte per Dio siamo chiamate ad essere tutte per gli altri, per quelli che Lui ci affida. Ecco perché ogni persona che ci incontra si sente custodita, amata, rispettata come dono prezioso, oggetto di un affetto spirituale totalizzante, rassicurante. Se ne parte poi da noi più serena perché è stata aiutata a ritrovare la propria bellezza interiore, il proprio ruolo autentico. Questo è vedere l’altro con gli occhi di Dio. È l’invito di papa Benedetto all’Angelus del 4 novembre 2012: «Impariamo a guardare l’altro non solamente con i nostri occhi, ma con lo sguardo di Dio, che è lo sguardo di Gesù Cristo. Uno sguardo che parte dal cuore e non si ferma alla superficie, ma va al di là delle apparenze e riesce a cogliere le attese profonde dell’altro: attese di essere ascoltato, di un’attenzione gratuita; in una parola: di amore».
Questo vale per i sacerdoti, i consacrati, ma anche per tutti i cristiani. La disponibilità all’ascolto riguarda ogni essere dotato di sensibilità e altruismo. Proprio mentre sviluppavo queste riflessioni, casualmente mi è capitato di leggere qualcosa sulla medicina narrativa che «si prende cura dell’ammalato nell’integralità del suo essere cercando di recargli sollievo nel fisico e conforto nello spirito. Essa si fonda sull’ascolto, rivendica il diritto del malato ad essere ascoltato e non disdegna l’aiuto che la religione può offrire attraverso l’assistenza, la vicinanza».
Mi piace inoltre richiamare la figura di Etty Hillesum, giovane ebrea morta ad Auschwitz nel 1943 che, nel suo breve ma intenso percorso di maturazione caratterizzato progressivamente da un ininterrotto ascolto di se stessa, di Dio e degli altri – come ebbe a sottolineare più volte nel suo diario – visse il dramma della deportazione come affinamento della sua capacità empatica e amorevole nei confronti dell’umanità (tedeschi compresi). Già negli anni precedenti il suo cuore era divenuto progressivamente ricettacolo di tante esperienze, di incontri, di attenzione: «Quanto sono grandi le necessità delle tue creature, mio Dio. Ti ringrazio perché lasci che tante persone vengano a me con le loro pene: parlano tranquille e d’un tratto viene fuori tutta la loro pena, e si scopre una povera creatura disperata che non sa come vivere. E a questo punto cominciano i problemi. Non basta predicarti, mio Dio, non basta disseppellirti dai cuori altrui. Bisogna aprirti la via, mio Dio». Questa via passa anche attraverso l’ascolto. Si tratta «di ascoltare innanzitutto la “presenza” dell’altro, prima ancora delle sue parole, e cercare di percepire qual è il suo bisogno […]. Ascoltare non è mai un atteggiamento passivo: l’ascolto è attenzione e volontà di una presenza che accoglie. Ascoltare è far tacere se stessi per dare peso, fiducia alla parola dell’altro. L’altro non lo si ascolta mai invano, ma occorre lasciarsi incontrare da lui: ascoltare è ospitare l’altro dentro di noi». Basta tendere l’orecchio del cuore, così come mette in risalto san Benedetto e, quindi, come già il re Salomone, dobbiamo sentire sempre l’urgenza di chiedere al Signore «un cuore pieno di discernimento» (1 Re 3,9), un cuore docile, un cuore che ascolta.
suor Maria Cecilia La Mela OSBap