Prezzi Lorenzo
Soffiano venti di guerra
2019/2, p. 1
Nel consueto incontro con il corpo diplomatico (7 gennaio) il Papa ammonisce a non sottovalutare i conflitti e la crescita di tendenze isolazionistiche, nazionalistiche e populistiche. Nel ‘900 furono i segnali di guerra.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Papa Francesco ai diplomatici
SOFFIANO
VENTI DI GUERRA
Nel consueto incontro con il corpo diplomatico (7 gennaio) il Papa ammonisce a non sottovalutare i conflitti e la crescita di tendenze isolazionistiche, nazionalistiche e populistiche. Nel ‘900 furono i segnali di guerra.
Spirano preoccupanti venti di guerra. Nella sorvegliata forma del discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede (7 gennaio) papa Francesco ha azionato l’allarme. L’appuntamento annuale con i diplomatici (sono 183 gli Stati che hanno rapporto con il Vaticano) è sempre una sintesi interessante dei punti critici a livello mondiale. I religiosi che hanno confratelli e consorelle in varie parti del mondo conoscono, in parte e in anticipo, questa mappatura: dal Venezuela alla pressione migratoria in Europa e nel Nord America, dal Congo ai fondamentalismi in Nigeria e Somalia, dalle guerre in Siria e Ucraina al tema dei diritti umani in diversi paesi dell’Asia ecc.
Se l’anno scorso il tema principale era costituito dalla memoria dei 70 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, quest’anno il fulcro è costruito attorno alla diplomazia multilaterale. Può sembrare un argomento tecnico, ma è uno strumento per misurare la temperatura dei venti di guerra. Quando si spegne la diplomazia inizia lo scontro.
La forza del diritto
non delle armi
All’indomani della prima guerra mondiale si era capito che le relazioni fra gli Stati non potevano essere solo bilaterali, ma che andava costruita una rete di conoscenze, di economie e di flussi in grado di legare il maggior numero di popoli alimentando un insieme di diritti in capo ad una organizzazione che allora si chiamò Società delle Nazioni. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1945, prese il nome di ONU (organizzazione delle Nazioni Unite). Fra il 1919 e il 1939 si manifestarono propensioni populistiche e nazionalistiche, si privilegiarono istanze di contrapposizione e di interessi divergenti che portarono all’esplosione della nuova e devastante guerra (30 milioni di morti). «Il riapparire oggi di tali pulsioni sta progressivamente indebolendo il sistema multilaterale, con l’esito di una generale mancanza di fiducia, di una crisi di credibilità della politica internazionale e di una progressiva marginalizzazione dei membri più vulnerabili della famiglia delle nazioni».
La Santa Sede che non ha un interesse proprio da difendere, «non intende ingerire nella vita degli Stati, bensì ambisce ad essere un ascoltatore attento e sensibile alle problematiche che interessano l’umanità, con il sincero e umile desiderio di porsi al servizio del bene di ogni essere umano». Fin dall’inizio, con la celebre lettera di Benedetto XV ai «capi dei popoli belligeranti» (1917) il papato si rifiutò di benedire le contrapposte armate e l’«inutile strage» da esse prodotta per privilegiare la forza morale del diritto sulla forza materiale delle armi. Pagando un grave isolamento. I francesi lo indicarono come le pape boche, il papa “crucco”, i tedeschi lo disprezzarono come il Franzosenpapst, il papa parigino, mentre gli interventisti italiani lo sbertucciavano come Maledetto XV.
Se papa Francesco torna sulla diplomazia multilaterale e sulla forza del diritto non è certo un gesto privo di significato. Anche perché in questo secolo si è prodotto un grande lavoro di riflessione sul tema della «guerra giusta», relativizzando progressivamente un «diritto alla guerra» (ius ad bellum) rispetto al «diritto nella guerra» (ius in bello), al «diritto dopo la guerra» (ius post-bellum) e al «diritto contro la guerra» (ius contra bellum) (cf. l’intervento del Segretario di Stato, card. Pietro Parolin, all’Università gregoriana l’11 marzo 2015).
La guerra
a pezzi
Fin dall’agosto 2014 durante il viaggio di ritorno dalla Corea del Sud e in settembre in occasione dei 100 anni dalla prima guerra mondiale, papa Francesco ha denunciato una «terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli». Ha ripreso l’immagine della «guerra a pezzi» parlando degli scontri a causa dell’acqua fra gli Stati (febbraio 2017) e nel discorso ai diplomatici sia nel 2015 come nel 2018. Una coscienza del pericolo non priva della consapevolezza dei limiti di un sistema multilaterale che non ha saputo reagire a deviazioni evidenti. Come: – «una certa incapacità del sistema multilaterale di offrire soluzioni efficaci»; – cedimento a «politiche nazionali, sempre più frequentemente determinate dalla ricerca di un consenso immediato e settario piuttosto che da perseguimento paziente del bene comune»; – «accresciuta preponderanza nelle organizzazioni internazionali di poteri e gruppi di interesse che impongono le proprie visioni e idee innescando nuove forme di colonizzazione ideologica»; – una «globalizzazione sviluppatasi per certi versi troppo rapidamente e disordinatamente».
La diplomazia multilaterale è efficace se non umilia l’avversario e ci si confronta in un clima di parità, se si riconosce «la buona volontà e la buona fede degli interlocutori», se si ha «la disponibilità a un confronto leale e sincero e la volontà di accettare gli inevitabili compromessi».
Riprendendo il discorso di Paolo VI alle Nazioni Unite (4 ottobre 1965) nell’incontro coi diplomatici, Francesco indica le quattro finalità e caratteristiche della diplomazia multilaterale: il primato della giustizia e del diritto; la difesa dei più poveri; essere ponti tra i popoli e costruttori della pace; ripensare il destino comune.
Il multilateralismo
Il primato della giustizia e del diritto richiede una politica buona, lungimirante, rispettosa della trascendenza della persona e dei diritti fondamentali dell’uomo. «Nella nostra epoca preoccupa il riemergere delle tendenze a far prevalere e a perseguire i singoli interessi nazionali senza ricorrere a quegli strumenti che il diritto internazionale prevede per risolvere le controversie e assicurare il rispetto della giustizia». «Alla politica è richiesto di essere lungimirante, di non limitarsi a cercare soluzioni di corto respiro».
La difesa dei più deboli vuol dire denunciare le guerre come quella in Siria e nel Medio Oriente, sostenere le iniziative umanitarie come quella in Ucraina, apprezzare gli Stati che accolgono i profughi come la Giordania e il Libano, coltivare l’amicizia tra le fedi. «Tra quanti sono stati toccati dall’instabilità che da anni coinvolge il Medio Oriente vi sono specialmente i cristiani, che abitano quelle terre dai tempi degli apostoli e che nei secoli hanno contribuito a edificarle e forgiarle. È oltremodo importante che i cristiani abbiano un posto nel futuro della regione, e dunque incoraggio quanti hanno cercato rifugio in altri luoghi di fare il possibile per ritornare alle loro case e comunque a mantenere e a rinsaldare i legami con le comunità di origine».
Tocca alle autorità politiche garantire la necessaria sicurezza e a impedire scelte che alimentino l’inimicizia fra cristiani e musulmani. Tra i deboli sono richiamati in particolare i rifugiati e i migranti, con un cenno di plauso alla Colombia e alla sua accoglienza di quanti fuggono dal Venezuela. «Sono consapevole che le ondate migratorie di questi anni hanno causato diffidenza e preoccupazione tra la popolazione di molti paesi, specialmente in Europa e nel Nord America, e ciò ha spinto diversi governi a limitare fortemente i flussi in entrata, anche se in transito. Tuttavia ritengo che a una questione così universale non si possano dare soluzioni parziali. Le recenti emergenze hanno mostrato che è necessaria una risposta comune, concertata da tutti i paesi, senza preclusioni e nel rispetto di ogni legittima istanza, sia degli stati, sia dei migranti e dei rifugiati». Coerente è il sostegno ai Global Compacts sui rifugiati e le migrazioni. Fra le popolazioni vulnerabili il papa ricorda i fanciulli (confermando l’impegno della Chiesa contro gli abusi del clero), le donne e i lavoratori.
La diplomazia multilaterale enfatizza il compito degli Stati di costruire la pace. Così come sta succedendo in Etiopia-Eritrea, in Sud Sudan e nella Repubblica democratica del Congo (se i risultati elettorali saranno rispettati). Segnali positivi anche dalla penisola coreana, mentre il papa esprime auspici per il Venezuela e il dialogo israelo-palestinese. «Nel complesso occorre pure rilevare che l’Africa, al di là di diverse drammatiche vicende, rivela un potenziale dinamismo positivo, radicato nella sua antica cultura e tradizionale accoglienza».
I discorsi
e le costanti
Dobbiamo pensare in maniera nuova la convivenza umana, «ripensare cioè alla nostra comune origine, alla nostra storia, al nostro destino comune». È già ripresa la corsa al riarmo e sul versante delle armi nucleari le si vuole sempre più sofisticate e distruttive. «È da condannare con fermezza la minaccia del loro uso – mi viene da dire l’immoralità del loro uso – nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano».
Leggendo trasversalmente i sei discorsi pronunciati dal 2014 ad oggi si riconoscono i temi che più insistentemente ritornano: la pace e la concordia, il fenomeno epocale delle migrazioni, l’irrisolto conflitto ebraico-palestinese, la violenza fondamentalistica, la cura della casa comune, cioè la terra.
Rimane da sottolineare l’attenzione verso l’Europa di cui si avverte acutamente la crisi e i possibili pericoli. Diceva papa Francesco nel 2017: «L’Europa intera sta attraversando un momento decisivo della sua storia, nel quale è chiamata a ritrovare la propria identità. Ciò esige di riscoprire le proprie radici per poter plasmare il proprio futuro. Di fronte alle spinte disgregatrici, è quanto mai urgente aggiornare “l’idea di Europa” per dare alla luce un nuovo umanesimo basato sulle capacità di integrare, di dialogare e di generare, che hanno reso grande di cosiddetto “vecchio continente”. Il processo di unificazione europea, iniziato dopo il secondo conflitto mondiale, è stato e continua ad essere un’occasione unica di stabilità, di pace e solidarietà tra i popoli». Un anno prima, nel 2016, diceva: «L’attuale ondata migratoria sembra minare le basi di quello “spirito umanistico” che l’Europa da sempre ama e difende. Tuttavia non ci si può permettere di perdere i valori e i principi di umanità, di rispetto per la dignità di ogni persona, di sussidiarietà e di solidarietà reciproca, quantunque essi possano costituire, in alcuni momenti della storia, un fardello difficile da portare». Quest’anno, ricordando la caduta del muro di Berlino il 9 novembre 1989, annota: «Nel contesto attuale, in cui prevalgono nuove spinte centrifughe e la tentazione di erigere nuove cortine, non si perda in Europa la consapevolezza dei benefici – primo fra tutti la pace – apportati dal cammino di amicizia e avvicinamento tra i popoli intrapreso nel secondo dopoguerra».
Lorenzo Prezzi