Gellini Anna Maria
Credere e non credere
2018/9, p. 46
Gli autori Gabriele Palasciano e Michael Paul Gallagher, avevano molte cose che li differenziavano e li separavano: la cittadinanza, l’età, la formazione universitaria, lo stato di vita. Ma il giovane studente di teologia Gabriele, laico e italiano, avvertì che il grande professore di teologia Michael Paul, gesuita e irlandese, aveva un cuore di padre e di fratello, una mente acuta e attenta, un orecchio “simpatico” per chi vedeva il mondo diversamente, un «naso» preciso per annusare le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di chiunque gli veniva incontro.

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NOVITà LIBRARIA
Credere
e non credere
Gli autori Gabriele Palasciano e Michael Paul Gallagher, avevano molte cose che li differenziavano e li separavano: la cittadinanza, l'età, la formazione universitaria, lo stato di vita. Ma il giovane studente di teologia Gabriele, laico e italiano, avvertì che il grande professore di teologia Michael Paul, gesuita e irlandese, aveva un cuore di padre e di fratello, una mente acuta e attenta, un orecchio “simpatico” per chi vedeva il mondo diversamente, un «naso» preciso per annusare le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di chiunque gli veniva incontro. Nell'arco dei pochi mesi che Gabriele trascorse come studente alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, nacque tra loro una forte amicizia. Così forte da consentire al gesuita di aiutare discretamente il suo studente a crescere nel credere. Da qui nasce anche il titolo del libro.
Varietà di forme,
contenuti e orientamenti
Il libro offre un percorso di riflessione in otto tappe, che corrispondono ad altrettanti capitoli. Dopo una definizione del fenomeno della non credenza, colto nelle sue caratteristiche essenziali (capitolo primo), si passa all'analisi delle novità di approccio all'ateismo delle considerazioni conciliari (capitolo secondo). Alla riflessione sul rapporto tra fede cristiana e cultura contemporanea (capitolo terzo) si lega quella sulla secolarizzazione, in particolare circa la pertinenza di Dio nella società secolarizzata (capitolo quarto). Nel quinto capitolo, la concentrazione si sposta sul pensiero di due tra i maggiori teologi del nostro tempo che hanno avuto a cuore il problema dell'ateismo, Karl Rahner e Joseph Ratzinger. Dopo uno sguardo alla teologia negativa quale purificazione di alcune concezioni ed espressioni riguardanti Dio (capitolo sesto), si approda a un esame del cosiddetto Nuovo ateismo - tendenza attualmente molto diffusa e volgarizzata dai media e da scritti in larga parte redatti da intellettuali di orientamento positivista o naturalista scientifico (capitolo settimo). Concludono l'insieme alcune riflessioni di carattere pastorale: si tratta di prospettive «pratiche» per la Chiesa nel suo confronto con l'ateismo (capitolo ottavo).
Credere,
per quale motivo?
«Forse la domanda è mal posta. Forse la poniamo nell'ignoranza di tanti motivi impliciti che ci spingono inconsapevolmente a credere o meno. Il retroterra culturale e l'immaginario delle persone sono delle forze con le quali dobbiamo confrontarci attentamente, non dandole già per scontate. Forse, prima della questione del credere in Dio, dobbiamo porci la domanda del credere in noi stessi. Ovvero: posso credere in me stesso, nelle mie possibilità, nella mia capacità di rialzarmi nonostante un fallimento? Posso credere negli altri, nella loro benevolenza nei miei confronti, e poi nella loro capacità di progredire?»
In generale, nelle nostre società postmoderne, il credere è ferito. Dopo la «morte di Dio» è venuta, insidiosa, la «morte dell'uomo». Senza che ce ne accorgessimo, è morto l'umanesimo moderno con la sua alta concezione delle possibilità dell'uomo di fare il bene, da solo e con altri. «Il disastro sociale e politico della freddezza che impera fra di noi, della mancanza di fratellanza e di fiducia, se non dell'odio dell'altro a motivo della sua differenza, è un segno del crollo generale del credere. Come lo sono anche gli estremismi, i fanatismi, i fondamentalismi: un credere veramente pacato non ha bisogno di radicalizzarsi perché è già radicato in profondità».
Simpatia
per i «non credenti»
Il gesuita irlandese Gallagher aveva incontrato l'ateismo durante un soggiorno in Francia all'età di vent'anni, poco prima di farsi novizio. Si era accorto che gli atei
non erano cattivi come gli avevano insegnato in un'Irlanda ancora molto chiusa e conformisticamente cattolica. Così, nacque una simpatia per i «non credenti», con i quali decise di dialogare lungo tutta la sua vita. Da intellettuale, Gallagher dialogò così non solo con i grandi «maestri del sospetto», ma anche con i grandi mistici cristiani.
La Chiesa deve andare sempre incontro agli altri, coltivare il dialogo dell'incontro come risposta all'ateismo culturale. L'espressione «dialogo dell'incontro» significa predisporsi al confronto, aprire le porte, uscire dal recinto e dalla sacrestia, andare verso le periferie esistenziali: è un progetto pastorale centrato su Gesù Cristo e sull'incontro con lui. La qualità stessa del vivere credente va fondata su tale incontro. L'incontro con il Vangelo è un incontro con una persona. Tutto ha a che fare con la qualità della ricezione umana della Parola di Dio. Il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar ha recuperato una dimensione maggiormente trascurata e dimenticata per secoli nella teologia: lo stupore di fronte alla bellezza. La fede non può essere ridotta alla teologia e alla verità, altrimenti rischia di rimanere qualcosa di freddo e di astratto. Se si parla della fede sempre in termini di moralità, si riduce la gioia del Vangelo e si passa dall'indicativo all'imperativo. Nella prospettiva del teologo svizzero, per arrivare alla fede si comincia non dalla bontà di Dio, ma dalla bellezza e quindi si può parlare, prima di tutto, della bellezza del credere.
Anna Maria Gellini