Dall'Osto Antonio
La Chiesa ortodossa e la "missione"
2018/4, p. 9
Che cos’è la “missione” per la Chiesa ortodossa? Il tema è stato al centro del “santo e grande Concilio” di Creta del giugno 2016, in cui è stato approvato un importante documento. La “missione”, è detto, dovrà esprimersi in tre ambiti: la cultura, il dialogo e la trasfigurazione del mondo.

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Le scelte nel “santo e grande Concilio di Creta”
LA CHIESA ORTODOSSA
E LA “MISSIONE”
Che cos’è la “missione” per la Chiesa ortodossa? Il tema è stato al centro del “santo e grande Concilio” di Creta del giugno 2016, in cui è stato approvato un importante documento. La “missione”, è detto, dovrà esprimersi in tre ambiti: la cultura, il dialogo e la trasfigurazione del mondo.
«Ho sempre pensato e continuo a credere che il documento intitolato “La missione della Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo” costituisca una delle più importanti decisioni prese nel corso del Santo e Grande Concilio della Chiesa ortodossa, riunito a Creta nel giugno 2016». Lo scrive nella rivista Spiritus (n.227) Nicolas Kasarian, sacerdote e teologo ortodosso, docente a Parigi presso l’Istituto San Sergio e l’Istituto cattolico.
Il documento del concilio di Creta sottolinea p. Nicolas, «è appassionante e traduce in larga misura la scelta missionaria dell’ortodossia. Infatti, per l’ortodossia la missione si identifica con la Chiesa stessa. La missiologia costituisce una dimensione inseparabile dell’ecclesiologia; è un prolungamento del mistero di Cristo nel tempo e nello spazio, un segno che anticipa il Regno di Dio sulla terra».
Il luogo dove nella teologia ortodossa si manifesta con forza questa “epifania ecclesiale” è soprattutto la divina liturgia, come primizia del secolo a venire. Scrive infatti nell’Introduzione il documento approvato: «Questa attesa è già vissuta e pregustata in maniera eccellente nella Chiesa ogni volta che celebra la divina Eucaristia e si riuniscono “in assemblea” (1 Cor 11,17) i dispersi figli di Dio, in un corpo senza distinzioni di razza, sesso, età, origine sociale o qualsiasi altra forma di distinzione, dove non c’é giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più maschio e femmina”, in un mondo di riconciliazione, di pace e di amore» (Missione, Introduzione).
La ripresa storica della missione nel processo conciliare ortodosso è relativamente recente. Bisogna infatti risalire agli inizi del sec. XX quando l’allora patriarca Jaochim III (1834-1912) considerava la missione come un aspretto fondamentale delle sue preoccupazioni ecumeniche. Nel 1903 parlava infatti del problema dell’unità dei cristiani come di una dimensione inalienabile della missione della Chiesa. Per questo l’enciclica di Costantinopoli a tutte le Chiese del mondo, emanata nel 1920 insisteva particolarmente sulla dimensione ecumenica della missione della Chiesa. Vi si leggeva: «Una volta così ristabilita la fiducia vicendevole, bisogna che una generosa iniziativa combatta il sentimento che si è progressivamente impossessato dei gruppi religiosi, li induce a guardarsi come stranieri e li condanna all’isolamento. Si tratterà di risvegliare e di rafforzare questo amore oggi spento e di rendere alle Chiese la coscienza dello stretto legame che le unisce e le ha chiamate, in Gesù Cristo a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e a essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo» (Ef 3,6).
Dopo la parentesi della seconda guerra mondiale, il discorso di un progetto conciliare panortodosso fu ripreso in parallelo con i fermenti che animavano il Vaticano II (1962-65). Quando negli anni ’60 fu definita la lista dei temi da trattare nel Concilio, figurava già quello dei rapporti dell’ortodossia con il mondo contemporaneo.
Questo punto ritornò di nuovo nel corso della prima conferenza preconciliare pan ortodossa di Chambésy nel 1976, quando il tema diventò un soggetto a se stante, separato dalla questione ecumenica. Una prima rielaborazione del documento fu effettuata nel 1986, durante la terza conferenza preconciliare panortodossa di Chambésy, in cui il testo fu intitolato: “Il contributo della Chiesa ortodossa alla promozione della pace, della giustizia, della libertà, della fraternità e dell’amore tra i popoli, e l’eliminazione della discriminazione razziale e di ogni altra forma di discriminazione”.
Il testo fu nuovamente rielaborato nel 2015 nel corso della quinta conferenza preconciliare, perché bisognoso di essere attualizzato. Il documento assunse allora il nuovo titolo: “La missione della Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo”. E fu ufficialmente inserito nella lista dei documenti studiati dal Santo e Grande Concilio nel corso della Sinassi dei primati del gennaio 2016. Il testo, infine, fu adottato dai Padri conciliari durante la prima sessione dei lavori del Concilio, nel giugno dello stesso anno.
Che cos’è la missione?
Il documento sulla missione è un testo denso, ma non si propone di rispondere direttamente al comando di Gesù contenuto nel vangelo di Matteo 28,19-20: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo». Ripensa piuttosto in senso più ampio il posto della Chiesa nella nostra società contemporanea.
Per l’ortodossia, la missione, secondo Nicolas, è un’emanazione del sacro che si irradia nell’esteriorità, è soprattutto una presenza animata da un ethos liturgico tra l’integrazione dei battezzati e la diffusione e della Buona Novella. «Io penso, scrive, a tre canali attraverso i quali essa può svilupparsi: la cultura, il dialogo e la trasfigurazione».
La missione come cultura
La prospettiva ortodossa della missione affronta la diversità sotto il punto di vista della “cristianizzazione” delle culture nel senso inteso dal teologo ortodosso Georges Florenski, in contrasto con le tesi di Adolf Von Harnack che insisteva sulla “ellenizzazione del cristianesimo”. L’unione tra il cristianesimo e le culture storiche si radica nel dogma stesso dell’incarnazione. L’unione divino-umana in Cristo, come è stata definita dai concili ecumenici di Efeso (431) e Calcedonia (451) agisce inizialmente come un potente vettore di irradiazione nel crogiolo semitico, poi si espande nel mondo greco-romano e cresce fino a trascendere le frontiere politiche dell’impero bizantino per diffondersi quindi più ampiamente nel mondo slavo alla fine del primo millennio.
Questo movimento di acculturazione spirituale intende opporsi alle strategie più aggressive di tipo proselitista. Il testo conciliare del resto ne ha fatto esplicito riferimento quando dichiara: «Questo apostolato deve compiersi non in modo aggressivo o sotto diverse forme di proselitismo, ma nell’amore, nell’umiltà e nel rispetto dell’identità di ciascun essere umano e la specificità cultuale di ciascun popolo. Tutte le chiese ortodosse devono contribuire a questo sforzo missionario» (Missione, Introduzione).
L’impegno missionario è spesso confrontato con l’espansione del cristianesimo attraverso l’impero romano d’Oriente in direzione dei popoli slavi nel IX secolo. La traduzione dei libri liturgici e la codificazione linguistica che ne sono seguite rimangono un marchio essenziale di una diffusione del cristianesimo attraverso i canali culturali. Questo passo è stato compiuto con coraggio dai missionari russi che si recarono in Alaska nel XIX secolo. Tradurre i testi liturgici. Tradurre le opere teologiche. Tradurre nella fedeltà alla tradizione del cristianesimo orientale, nella realtà dei popoli, l’universalità del Nuovo Testamento e la cattolicità della Chiesa.
Per l’arcivescovo Anastasios dell’Albania non si tratta tanto di una strategia di espansione quanto di un’esperienza inclusiva della Pentecoste.
«Ogni nazione è chiamata a usare un tono particolare che le è proprio e di esprimerlo in un impegno di apprendimento del Vangelo. È dovere delle Chiese locali contribuire ai valori positivi propri di ciascuna nazione e di approfondirli nel rispetto delle specificità nazionali e tribali».
Questo principio di acculturazione è del tutto operante anche nel contesto di ciò che, un po’ sommariamente, si chiama la diaspora (dispersione ortodossa al di fuori del suo contesto geografico tradizionale). In questo caso preciso non si tratta tanto di un desiderio di conversione, contrario allo spirito ecumenico che anima da oltre un secolo il riavvicinamento delle Chiese, ma di uno spazio di dialogo che traduce instancabilmente le realtà ortodosse in un contesto occidentale.
La missione come dialogo
La missione non può pertanto accontentarsi di essere uno strumento a servizio della conversione. Per la Chiesa ortodossa, la missione, nel senso della sua presenza, è un mezzo a servizio del dialogo, fino a permettere di superare i tropismi etnici che la distinguono dalla cultura non ortodossa in cui le comunità della diaspora si sviluppano. C’è qui una delle tesi particolarmente forti di p. Alexandre Schmemann, teologo ortodosso quando parla della “missione dell’ortodossia”. Egli costata: «Tutto nella Chiesa ortodossa indica un modo di vita. La Chiesa è legata a tutti gli aspetti della vita. Ma non abbiamo questo legame quando uscendo dalle nostre chiese la domenica mattina, ritorniamo in una cultura che non è stata prodotta, né plasmata e ispirata dalla Chiesa ortodossa e che, di conseguenza, è in certo senso estranea all’ortodossia».
Ma al di là di questi aspetti propriamente culturali, la missione della Chiesa consiste nell’entrare in dialogo con il mondo rivestita della sua identità ortodossa pur rimanendo pienamente inserita nella società e nella cultura che la circonda e dove i riferimenti simbolici non derivano direttamente dai fermenti culturali ortodossi tradizionali.
Ora, senza un dialogo che permetta di assumere l’alterità confessionale, la missione della Chiesa ortodossa non avrebbe alcun senso. Senza dialogo, il significato della missione va perduto e la Chiesa ortodossa con il tempo si fossilizzerebbe, prima di scomparire. Al contrario, è il confronto con l’alterità culturale che ha permesso all’ortodossia del XX secolo di reinventarsi, di ravvivare la sua identità patristica, di approfondire la sua ecclesiologia eucaristica e di ridefinire il suo impegno sociale.
La missione come trasfigurazione del mondo
La missione della Chiesa è una diaconia, un servizio all’umanità. «La santa Chiesa di Cristo, nel suo corpo cattolico, comprendente al suo interno numerosi popoli della terra, propone il principio della solidarietà umana e incoraggia una collaborazione più decisa dei popoli e degli Stati per la soluzione pacifica dei conflitti» (Missione, par F.6). Le posizioni dell’ortodossia nel documento conciliare, malgrado certi limiti relativi alla presentazione all’articolazione, riprendono l’intuizione del p. Alexandre Schmemann che si può così riassumere: “pregare e riconciliare”.
Pregare per il mondo vuol dire servire il mondo nel senso della missione essenziale della Chiesa. Il significato che assume quindi la preghiera consiste nel mantenere il contatto tra Dio e la Chiesa stabilita localmente. È la ragione per cui la Chiesa ortodossa, nel quadro della sua missione, costruisce in un primo tempo delle chiese, dei luoghi di preghiera in cui il mistero dell’incarnazione prosegue nello spazio e nel tempo con la celebrazione della divina eucaristia.
«La Chiesa di Cristo è chiamata a elaborare e a esprimere la sua testimonianza profetica fondandosi sull’esperienza della fede, richiamando in questo modo la sua vera missione nel mondo, “proclamando” il Regno di Dio e coltivando la coscienza dell’unità dei suoi fedeli. Un vasto campo di azione le si apre davanti, dato che essa presenta così al mondo frammentato la comunione e l’unità eucaristica, in quanto elemento essenziale della sua dottrina ecclesiologica» (Missione, par. F).
Riconciliare: «La pace di Cristo è la forza mistica che ha la sua sorgente nella riconciliazione dell’uomo con il Padre suo celeste, «grazie alla provvidenza di Gesù che opera tutto in tutti, crea una pace ineffabile prestabilita fin dall’inizio dei secoli, ci riconcilia con se stesso, e per mezzo suo con il Padre» (Missione, par. 2). La riconciliazione come orizzonte della missione della Chiesa nel mondo rappresenta un aspetto centrale del testo conciliare sia sul piano antropologico – riconciliare l’umanità con la sua libertà – sia su quello più socio-politico della guerra all’ambiente, passando attraverso il rapporto con la scienza. Riconciliare il mondo e la Chiesa vuol dire anche ripensare il posto della Chiesa nella società coma spazio in cui la fede possa essere vissuta, sia nella sua esperienza liturgica, sia in quanto realtà culturale e intellettuale, nella prospettiva che sono i più lontani, in primo luogo i giovani.
«La sollecitudine pastorale specifica della Chiesa per l’educazione in Cristo della gioventù è permanente e ininterrotta. È evidente che la responsabilità pastorale della Chiesa si estende anche all’istituzione dell’ordine divino della famiglia; la famiglia è sempre e necessariamente fondata sul santo sacramento del matrimonio cristiano, in quanto unione di un uomo e una donna, nel senso che rappresenta l’unione di Cristo e della sua Chiesa (Ef 5,32)». (Missione F. 14).
Missione: lo spirito profetico della Chiesa
Ma la dimensione missionaria della Chiesa non si limita al documento sulla missione. L’enciclica e il Messaggio del Concilio ricordano in particolare: «L’apostolato e l’annuncio del Vangelo – o l’azione missionaria – stanno al cuore dell’identità della Chiesa: salvaguardare il comando del Signore e conformarsi ad esso: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19). […] la partecipazione alla divina eucaristia è una fonte di ardore apostolico per evangelizzare il mondo” (Enciclica, par. 6).
Il Messaggio del Concilio deve tanto più attirare la nostra attenzione in quanto è stato redatto in una prospettiva tesa ad accrescere l’impatto missionario non solo sulle comunità ortodosse, ma anche al di là di esse, sul mondo in senso più generale. Non c’è del resto da meravigliarsi se la preparazione del Messaggio è stata affidata in larga misura all’arcivescovo Anastasios, primate della chiesa ortodossa dell’Albania, noto per aver percorso in lungo e in largo l’Africa prima di essere inviato, negli anni ’90, in questo piccolo Paese dei Balcani che usciva appena dai torpori del comunismo. Mi ricordo di averlo sentito incoraggiare i Padri conciliari a dar prova di profetismo, a liberarsi dalle loro catene e infine a parlare al mondo. La missione, a suo parere, una voce profetica, ispirata, dinamica, chiara… Così si legge nel Messaggio: «In quanto Pentecoste, la Chiesa è una voce profetica che non può essere ridotta al silenzio, una presenza e una testimonianza del Regno del Dio di amore […]. La parola della Chiesa rimane discreta e profetica e favorisce un intervento umano appropriato» (Messaggio, par. 1).
La voce profetica della Chiesa, ecco ciò che noi chiamiamo la sua missione.
Antonio Dall’Osto