Boni Elena
Le migrazioni del cuore
2018/2, p. 46
Alla fine, il saggio di Zanchi si configura soprattutto come la storia di un’immagine: l’immagine del Sacro Cuore di Gesù, che dalla devozione religiosa è divenuto veicolo di contenuti teologico-politici, simbolo di correnti di pensiero e di aspirazioni di vita, infine espressione di sentimenti e aspirazioni persistenti nelle nuove forme della cultura popolare, sia pure secolarizzata.

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NOVITà LIBRARIA
LE MIGRAZIONI DEL CUORE
L’autore di questo breve e interessante saggio è un sacerdote bergamasco. Licenziato in Teologia fondamentale e sistematica, direttore dei musei diocesani, si occupa di temi al confine fra l’estetica e la teologia. La ricerca nasce da una richiesta dei padri dehoniani, sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, per una settimana di formazione dedicata all’immagine del Sacro Cuore di Gesù. Lo studio che inizialmente doveva riguardare l’arte sacra contemporanea, si è evoluto verso strade impreviste fino alle nuove espressioni estetiche in cui si configura la cultura popolare contemporanea. Alla fine, il saggio di Zanchi si configura soprattutto come la storia di un’immagine: l’immagine del Sacro Cuore di Gesù, che dalla devozione religiosa è divenuto veicolo di contenuti teologico-politici, simbolo di correnti di pensiero e di aspirazioni di vita, infine espressione di sentimenti e aspirazioni persistenti nelle nuove forme della cultura popolare, sia pure secolarizzata.
Il Sacro Cuore dalla devozione all’arte
Il culto del Sacro Cuore trae origine dalle visioni di una giovane suora francese della Visitazione, Margherita M. Alacoque, che nel 1673 confidò alla madre superiora di essere stata in estasi di fronte al Cuore di Gesù, «presentato come in un trono di fiamme, più sfolgorante di un sole e trasparente come un cristallo, con la piaga adorabile, circondato da una corona di spine e sormontato da una croce». Da queste visioni iniziali, trascritte e disegnate dalle consorelle, la devozione verso la sacra immagine si diffuse vastamente grazie soprattutto ai gesuiti. Il culto fu ufficialmente riconosciuto da papa Clemente XIII e nel 1765 i gesuiti commissionarono un quadro che diverrà famosissimo: si tratta della pala di P.G. Batoni nella chiesa del Gesù a Roma, che raffigura un Cristo a mezzo busto, dallo sguardo languido rivolto verso lo spettatore, che sorregge nelle mani protese un cuore anatomico circondato di luce, con la corona di spine e sormontato da una croce. Questo sarà, per i secoli successivi, il prototipo di tutte le raffigurazioni devozionali del Sacro Cuore di Gesù: dalle pale ai quadri da camera, dai santini alle immaginette riprodotte sui libri di preghiera, dalle grandi statue alle piccole statuette da comodino.
I valori dell’immagine
Accolta con vigilante perplessità dalle gerarchie, l’immagine del Sacro Cuore di Gesù ebbe fortuna per due motivi principali. In primo luogo, essa esprimeva il bisogno di una religiosità più intimistica, più concentrata sul soggetto e sulle sue emozioni, dopo i rigori razionali della teologia medievale e l’affermarsi della cultura umanistica che aveva riportato l’attenzione dal mondo come imago Dei all’uomo. In secondo luogo, il Sacro Cuore divenne in poco tempo l'emblema di un sentire cattolico alquanto ferito dall'avanzare della cultura illuministica e sempre più distante dall'intellettualismo teologico. Le numerosissime immagini devozionali diventano icone di una religiosità affettiva e popolare che sottende un messaggio preciso: come Gesù ha dato il suo cuore per gli uomini, così i cristiani sono chiamati a dare tutta la loro vita per lui. Non è un caso che i grandi santi della carità ottocenteschi abbiano spesso scelto di consacrare proprio al Sacro Cuore di Gesù le loro opere o i loro ordini religiosi; e al Sacro Cuore è intitolata anche l’Università cattolica, fondata in opposizione alla cultura atea e puramente razionalista dei primi decenni del Novecento.
Tradizione e persistenza di un’immagine
Gli studi di Zanchi si spingono a ricercare la storia dell’immagine del Sacro Cuore dopo il Concilio Vaticano II, giungendo a una conclusione chiara e per molti versi illuminante. Dal punto di vista strettamente devozionale, in ambito cattolico questa immagine ha resistito ai vari tentativi di modernizzazione, pur compiuti da notevoli esponenti dell’arte sacra contemporanea. Invece alcuni dei valori universali che essa esprimeva: il bisogno di affettività in contrapposizione alla sola ragione, il senso del sacro legato alla ricerca di senso interiore dell’uomo, insomma le «ragioni del cuore» di pascaliana memoria, sono passati nella società laica e secolarizzata, tanto che il cuore è rimasto nell’arte contemporanea popolare come simbolo di umanità, sentimento, ricerca di significato vero. L’autore conclude portando, infatti, vasti esempi di persistenza del cuore (ma in alcuni casi, anche del “sacro cuore”) nella moda, nella pubblicità, nel fumetto, nei graffiti e nella street art.
Conclusioni
Il breve saggio non è di semplicissima lettura, ma è corredato di tavole a colori e note che possono agevolarne la comprensione. Senza dare giudizi, l’autore analizza in parallelo i fenomeni relativi al declino e alla persistenza dell’immagine, traendone conclusioni interessanti sui valori che questa immagine (divenuta davvero una icona) ha espresso nei secoli. De-sacralizzato, de-contestualizzato, riprodotto nei modi, nei luoghi e dalle persone più impensate, il (Sacro) Cuore continua nell’immaginario popolare a difendere le ragioni del cuore in un mondo che senza cuore perde anche la ragione. Un esempio importante per chi si impegna nell’opera di inculturazione della fede per l’uomo di oggi.
Boni Elena