Jaldemir Vitório
Formarsi è trasfigurarsi
2018/2, p. 38
La seguente riflessione si propone di mostrare come il processo della formazione nella VC, se ben condotto, introduce il religioso in una dinamica di trasfigurazione, il cui ideale è: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Senza trasfigurazione infatti non ci sarà nessuna formazione!

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Testimoni
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Ispirazione evangelica della vita consacrata
FORMARSI
È TRASFIGURARSI
La seguente riflessione si propone di mostrare come il processo della formazione nella VC, se ben condotto, introduce il religioso in una dinamica di trasfigurazione, il cui ideale è: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Senza trasfigurazione infatti non ci sarà nessuna formazione!
Formarsi costituisce un’enorme sfida per ogni essere umano. Dio ricolma di talenti i suoi figli e le sue figlie e affida nelle loro mani il compito di svilupparli e farli fruttificare. Una cosa è certa: anche la persona più favorita di doni, se non investe, con tenacia, nella propria formazione, non supererà mai il livello della mediocrità. La vocazione cristiana ci chiede di crescere, mettendo i doni ricevuti a servizio del prossimo. Quanto più diventerà serva, con creatività e generosità, tanto più la persona crescerà. Questo è il cammino cristiano della trasfigurazione, sul cui sfondo c’è l’amore che si radicalizza, sempre più, rendendoci simili a Dio amore (1Gv 4,16). Sono molte le vie possibili da percorrere nella continua avventura per trasfigurarsi nel processo della formazione.
Questa realtà ha molto a che vedere con la vita religiosa consacrata (VRC). Chi possiede veramente questa vocazione si impegna, corpo e anima, nella dinamica della formazione iniziale e permanente, scoprendo un orizzonte ricco di possibilità di crescita e diventa una mediazione preziosa della misericordia di Dio per l’umanità. I religiosi senza carisma non hanno interesse per la formazione, non riconoscendone l’importanza, fin dai primi passi del loro cammino.
Un fenomeno che persiste nella VRC, ma inaccettabile, è il fatto di religiosi che attraversano il processo di formazione iniziale senza alcun risultato pratico nella costruzione dell’identità di consacrati, continuando così il cammino per lunghi anni. Come si spiega che un religioso, dopo decenni di vita consacrata, abbia lo stesso grado di maturità che si può comprendere in un aspirante o postulante in procinto di entrare in noviziato? Lo si percepisce nel carattere complicato, per non dire insopportabile, della persona, nella sua incapacità ad assumere con maturità una missione, perché non si adatta a nulla di ciò che gli viene affidato, nell’inerzia, nella mancanza di fantasia, nella bassa autostima, nell’esigenza del bene e del meglio, nelle continue lamentele, nell’incolpare gli altri, accusati di essere la causa dei suoi problemi. L’elenco dei sintomi di immaturità dei religiosi veterani è infinito.
Lo scopo di questo testo è di mostrare come il processo della formazione nella VRC quando è ben condotto e vissuto, introduce il religioso in una dinamica di trasfigurazione, il cui ideale da raggiungere, nelle parole del Vangelo, è “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48); “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Senza trasfigurazione non ci sarà formazione! La trasfigurazione, da parte sua, si percepisce nella vita comunitaria, nell’inserimento missionario, nell’impegno per crescere nella dimensione della gratitudine, nella ricerca di essere di più per servire e donarsi di più.
La trasfigurazione permanente, nella dinamica della formazione nella VRC è un mistero di grazia divina e di libertà umana. Il semplice sforzo di disporre tutti gli ingredienti che rendono possibile una formazione adeguata, in grado di trasfigurare il formando può, a lungo andare, rivelarsi inefficace, se non c’è l’impegno personale del religioso. In ultima analisi, sta nelle mani del formando e del veterano trasfigurarsi nel lungo processo di formazione nella VRC che si conclude solo con la morte. Senza una decisiva azione della libertà, mossa dal buono Spirito di Dio, la formazione sarà destinata al fallimento, con il rischio di avere una trasfigurazione a rovescio.
Il fallimento della formazione: alcuni sintomi di un fenomeno preoccupante
Un modo ingenuo di considerare il “successo” o l’ “insuccesso” della formazione nella VRC consiste nel partire dalle statistiche. Il successo sarebbe identificato con il numero delle perseveranze, l’insuccesso con il numero delle defezioni. Una miopia del genere si ostina nell’ignorare che molti moriranno nella VRC senza avere avuto il minimo carisma per questo progetto di vita. Al contrario, molti abbandonano la VRC pur avendo il carisma per questa vocazione, semplicemente perché non sopportano le strutture infantilizzanti e non intravedono a breve e medio termine, la possibilità che le cose cambino. Molti ex religiosi, liberati dagli schemi retrogradi e immutabili passano a investire il loro carisma vivendo una vocazione come discepoli missionari in molti fronti dell’attività missionaria. In altre parole, è stato necessario abbandonare la congregazione per obbedire alla voce dello Spirito
Il sintomo più evidente del fallimento del processo formativo della VRC sta nella bassa qualità umana, spirituale, ecclesiale, missionaria, culturale, e perfino morale di una “comunità religiosa”. Molte sono lontane dall’essere comunità, e meno ancora, religiose.
L’aspetto comunitario e religioso è lontano da esse. Sono solito dire che “la bassa qualità della vita comunitaria è il veleno preparato per la VRC che la ucciderà”. Questa affermazione è scioccante per alcune orecchie e ferisce i religiosi sensibili, sembrando loro troppo forte.
Ma, è possibile pensare a un futuro promettente per una congregazione e parlare di una formazione ben riuscita quando ha prodotto o coltivato neurotici, ipocondriaci, personalità complicate, persone con i vizi più diversi, compreso il parlar male della vita degli altri, gente senza nessun senso di compassione, cameratismo e misericordia, individui chiusi nel loro piccolo mondo, che quasi nuovi Caino non si vergognano di dire: “Sono forse io il custode del mio fratello?”: (Gn 4,9), insensibili alla sofferenza altrui e non disponibili a prendersi cura del prossimo?
Una comunità sana, luogo di misericordia, di attenzione reciproca e di riconciliazione, a mio avviso, è il miglior termometro per giudicare la buona riuscita della formazione iniziale e permanente e per prevedere la continuità di una congregazione. La comunità è il primo luogo dove si esperimenta la trasfigurazione e i fratelli, come Pietro (Lc 9,33), sono i primi a dire: “è bello vivere con te”; “come mi sento contento, per averti come compagno di comunità”; “la tua presenza è per me uno stimolo per continuare a camminare con maggior coraggio e generosità”. Tutto questo è possibile solo quando i candidati alla VRC, i formandi e i religiosi veterani si impegnano, corpo e anima, nel processo formativo, come esperienza di continua e illimitata trasfigurazione.
Un fenomeno molto attuale – e preoccupante – che tiene in allarme le équipe di formazione, è costituito dalle defezioni inspiegabili di religiosi che erano dediti alla missione e sembravano realizzati, e all’improvviso se ne vanno lasciando perplessi i confratelli, per non aver lavorato sul senso di appartenenza al corpo apostolico della Congregazione. Certamente il fatto è suscettibile dell’analisi socioculturale che identifica nella cosiddetta modernità liquida l’incapacità ad assumere impegni definitivi o a resistere a situazioni avverse, che richiedono l’ascesi.
L’analisi teologico-spirituale troverà altri elementi nella ingenuità dei formatori nel processo di selezione e di accompagnamento dei formandi e nell’incapacità dei formandi ad abbracciare con radicalità il progetto cristiano e ad andare avanti, poiché come ha dichiarato Gesù di Nazaret: “«Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,62). O perché il processo formativo non li ha aiutati a camminare “tenendo fisso lo sguardo su Gesù” (Eb 12,2). La formazione non è stata in grado di far capire che la VRC è una via eccellente per scoprire il tesoro del Regno e in cui riporre il cuore (Mt 6,21). Da qui la fragilità di una vocazione senza respiro (Lc 14,28-32).
La mancanza di creatività comunitaria e pastorale, percepibile nella tendenza a ripetere schemi, a perdere la speranza di fronte alla provocazione della realtà, a praticare una “pastorale di conservazione”, a disinteressarsi dell’aggiornamento teologico, spirituale, professionale e, in senso più ampio, umano, a non essere aperti alle nuove missioni, considerate come una minaccia per l’inerzia degli individui, la dipendenza puerile dall’opinione degli altri, sono tutti sintomi della frustrazione del processo formativo. Religiosi sistemati e senza impegno sono stati formati male o, semplicemente, non sono mai stati formati, poiché formarsi vuol dire passare attraverso continui cambiamenti di “forma”, in un processo ascendente illimitato, in una incessante trasfigurazione. I continui alti e bassi, i vai e vieni, e i sintomi di crisi saranno sempre presenti. Ma in una dinamica di crescita.
La malleabilità del carattere, l’apertura al cambiamento e la disponibilità a compiere nuovi passi, senza mettere ostacoli, si rivelano già dall’aspirantato e devono essere apprezzati dai formatori. Purtroppo i modelli rigidi di formazione, tendenti a inquadrare i formandi e a mantenerli nell’immaturità sono deleteri nel processo di trasfigurazione, caratteristico della VRC. Tuttavia, si può dare il caso del formando bloccato per natura e tendente a sistemarsi. Toccherà ai formatori scoprire il problema e aiutarlo, con tutti i mezzi, a liberarsene. Nel caso che non risponda positivamente agli stimoli della direzione spirituale, degli orientamenti dei formatori ed eventualmente della psicoterapia, sarà un chiaro segno di mancanza di vocazione al carisma della VRC: dovrà essere dimesso. Se i formatori imprudenti lo lasceranno andare avanti, con molta probabilità, sarà un futuro religioso senza iniziativa e tendente ad adattarsi agli schemi pietrificati che gli danno sicurezza. Le congregazioni con una grande percentuale di religiosi di questo genere sono destinate a scomparire o a diventare irrilevanti e senza interesse per un giovane o una giovane con il carisma della VRC alla ricerca di una congregazione.
Un altro sintomo del fallimento della formazione si manifesta nell’incapacità di discernere la cultura moderna e nel saper cogliere ciò che è contrario al progetto di Gesù e alla sapienza del Vangelo. Dopo molti anni di cammino nella VRC, ci sono dei religiosi che non si rendono conto dell’incompatibilità tra il consumismo e l’ideale cristiano della condivisione, tra l’individualismo narcisistico e il comandamento dell’amore vicendevole e la vita comunitaria, tra la ricerca edonistica del piacere e la chiamata a servire il prossimo, attraverso l’opzione preferenziale dei poveri e degli emarginati, tra il fascino e la seduzione degli strumenti tecnologici e la smania di acquistare tutto ciò che costituisce l’ultimo grido della high tec e la libertà del cuore dalle creature, tra la soddisfazione di essere connessi con le reti sociali, in comunità virtuali, e la necessità di creare comunità reali, di vere interrelazioni. La mancanza di discernimento rende i religiosi dei burattini nelle mani invisibili delle agenzie di marketing e di pubblicità, mettendo da parte sia l’ideale evangelico sia il programma di vita e la missione della congregazione.
Il processo di formazione della VRC è vincente quando forma cuori generosi e oblativi, disposti ad amare e a servire, in contrasto con certi valori della cultura contemporanea. Si tratta di lasciarsi trasfigurare dall’amore e dal servizio, sulle orme del Maestro Gesù.
I “nodi” del processo formativo della VRC e le loro conseguenze
L’autore primo e fondamentale di ogni formazione è Dio, il quale agisce nel cuore di ciascuna persona. Chi si chiude a Dio, blocca la dinamica della formazione e tende all’egoismo, ostacolo per una formazione autentica. Nella VRC la formazione in ultima analisi riguarda la storia di Dio in ciascun religioso. I formatori devono sentirsi dei collaboratori dell’opera di Dio, in modo che l’azione della grazia produca nel cuore dei formandi profondi effetti di trasfigurazione nella linea della misericordia e della disposizione a servire. La cosiddetta formazione permanente non è altro che la continuazione della dinamica della formazione iniziale, ma senza le strutture di sostegno dell’inizio. Il religioso si trova davanti alla responsabilità di prendere in mano il proprio processo formativo, cercando di compiere nuovi passi nel cammino verso Dio, mediato dal servizio ai fratelli.
Ma se osserviamo con attenzione le tendenze dei processi di formazione della VRC, presenti in molte congregazioni scopriremo degli elementi problematici, i cui effetti dannosi sono prevedibili.
I processi formativi, in generale, sono appannati in diversi fattori: la congregazione si è allontanata dal Vangelo ed è diventata un’impresa; l’impegno missionario è stato sostituito dall’ossessione burocratica imposta dalle regole dello Stato; la diminuzione e l’invecchiamento del corpo apostolico pongono in primo luogo il problema della sopravvivenza; i conflitti personali, nell’ambito della comunità di formazione e della congregazione, accorciano gli orizzonti dei religiosi, facendo loro sprecare preziose energie in questioni senza significato; infine, se i religiosi prendono le distanze dal carisma e dalla spiritualità congregazionale, rimangono in balia di superiori e superiore senza nessuna attitudine per l’esercizio della leadership.
La mancanza di membri obbliga le congregazioni a improvvisare dei formatori con una deleteria rotazione, il cui effetto principale è di vedere dei formandi che continuano ad andare avanti senza aver compiuto i passi nelle tappe che attraversano. Capita di frequente che i superiori e i formatori non conoscano i formandi, con grande probabilità di andare incontro a sgradevoli sorprese in futuro. In molti casi, la gestione del processo formativo è affidata a giovani formandi, certamente persone molto buone, ma prive dell’esperienza necessaria per capire i processi personali a volte estremamente complessi dei compagni da formare. Allora, la figura del formatore diventa inutile per l’incapacità a comprendere ciò che avviene nel cuore di colui che è affidato alla sua responsabilità.
Ogni persona che bussa alla porta della Congregazione, chiedendo di essere ammessa, è un mistero. Può darsi che abbia un’idea generica di cosa vuol dire essere religioso, ma senza un orizzonte sufficiente per valutare le esigenze della VRC e la propria capacità di abbracciarle. Da qui la necessità di avere dei formatori capaci di aiutarla nel cammino verso Dio, nella condizione di mistagoghi.
Questo scenario di fragilità umana e cristiana è tanto più complicato quando l’individuo, una volta inserito nel processo formativo della congregazione è sottoposto a un regresso infantilizzante, della durata di anni, impedendogli di sbocciare e, di conseguenza, di trasfigurarsi. Alcuni formandi con una certa stoffa umana e spirituale, vedendosi irretiti in schemi che impediscono loro di crescere, tendono a creare conflitti, oppure semplicemente a lasciare la congregazione. Ora i formandi senza una spina dorsale umana e spirituale, come i profittatori, continuano ad andare avanti fin quando possono o sono staccati dal processo formativo e vengono mandati via dalla casa di formazione. Ma ci sono anche coloro che vanno avanti e rimangono suscitando conflitti o sono una presenza insignificante nella vita comunitaria e missionaria della congregazione.
Un altro “nodo” del processo formativo, che blocca la trasfigurazione, attraverso la quale si deve passare, riguarda l’attrattiva per i valori della cultura contemporanea, in quello che hanno di anticristiano, e l’incapacità di tenersi liberi nei loro confronti. Qui la trasfigurazione diventa un imperativo! Certi elementi che i giovani religiosi portano con sé sono stati ricevuti fin dall’infanzia e assimilati senza nessun genere di messa in questione, alla luce del progetto cristiano. Perciò la preoccupazione di essere alla moda, di frequentare ambienti alla moda, di possedere oggetti di moda sono avvertiti come normali. Sono incapaci di pensare un modo di procedere alternativo. Ma una mentalità del genere si costata anche tra i veterani, il cui processo formativo non è stato capace di creare dei cuori liberi. L’esempio dei più anziani serve di conferma ai più giovani nelle loro scelte contrarie ai valori della consacrazione.
Da qui deriva una forma di narcisismo, occulto o esplicito, in cui il religioso fin dai primi passi nella VRC è alla ricerca di se stesso e dei suoi interessi, senza che gli importi nulla dell’opzione che ha fatto. Questo è lo scenario di molte uscite di religiosi, appena concluso qualche corso universitario. Con il diploma in mano, abbandonano la congregazione con un lavoro già avviato e con la vita orientata in una direzione molto diversa da quella su cui fino a poco prima sembravano incamminati. In molti casi si tratta di uno sfruttamento spudorato della congregazione per raggiungere obiettivi inconfessati, a spese del processo formativo in vista della missione. Solo superiori e formatori molto esperti saranno capaci di scoprire il comportamento malintenzionato del formando o del professo e di affrontarlo apertamente.
Presupposti della formazione che trasfigura
Alla base della formazione che trasfigura ci sono alcuni elementi da cui non si può prescindere, a iniziare da un’attenta selezione e dal doveroso accompagnamento, in modo particolare nella fase della formazione iniziale.
Trovarsi in una determinata fase non significa che effettivamente il processo formativo stia compiendosi. Sono frequenti i casi di formandi che passano da una tappa all’altra e giungono alla professione perpetua senza essere stati toccati nelle loro compagini più profonde. Individualisti erano, individualisti rimangono! Sistemati erano, sistemati rimangono. Impreparati per la missione erano, impreparati rimangono. Questi sono gli handicap dei formandi. Perciò, si devono porre dei seri interrogativi ai formatori, alle équipe di formazione, come pure, ai superiori responsabili ultimi della formazione. Gli scarsi risultati del processo formativo, incapace di operare cambiamenti profondi, mettono in scacco la serietà della Congregazione e dei suoi responsabili della formazione.
Evidentemente, avendo a che fare con delle libertà, pur con la preoccupazione di fare nel miglior dei modi e con la massima serietà, bisognerà tenere conto dell’imponderabile delle sorprese dovute ad atteggiamenti impropri dei formandi e dei formatori. Ma questo non può servire da alibi per gestire la formazione, specialmente quella iniziale, senza la dovuta serietà. Bisognerà affidarla a persone esperte e disposte ad abbracciare questa missione, a volte ingrata, da cui dipende il futuro della qualità comunitaria e missionaria delle congregazioni. Solo l’impegno dei formatori e dei formandi può suscitare la speranza di vedere dei religiosi trasfigurati nel corso del processo di formazione.
Il processo formativo che trasfigura richiede di convertirsi alla persona di Gesù di Nazaret. Il cammino consiste nel contemplarlo a partire dai racconti del Vangelo, per potere imparare da lui come vivere completamente centrati nella volontà del Padre e nel servizio del prossimo. Due affermazioni lapidarie del Vangelo illustrano l’orizzonte della vita di Gesù: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34) e “Il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10). Un canto religioso ben noto esprime in forma poetica la maturità che il discepolo deve raggiungere: “Amare come Gesù ha amato, sognare come Gesù ha sognato, pensare come Gesù pensava, vivere come Gesù è vissuto, sentire ciò che Gesù sentiva, sorridere come Gesù sorrideva”. Una giaculatoria ispirata a Matteo (11,29) focalizza l’essenziale nella trasfigurazione della persona di fede: “Gesù mite e umile di cuore, rendi il mio cuore simile al tuo!”.
Nel libro degli Esercizi spirituali, sant’Ignazio di Loyola propone di chiedere con insistenza la grazia della “conoscenza interiore del Signore che per me si è fatto uomo affinché io lo ami di più e lo segua”. La conoscenza interiore, diversamente da quella razionalista e astratta corrisponde a una conoscenza che abbraccia e trasforma l’esistenza della persona conformandola a quella di Gesù.
La formazione nella VRC può essere considerata come un processo di assimilazione esistenziale di Gesù, che trasforma la dimensione più intima del formando. Ogni tappa della formazione corrisponde a un passo ulteriore nella radicalizzazione di un processo che si consumerà escatologicamente nella comunione definitiva con il Padre celeste. Si può parlare di una cristificazione progressiva, ben formulata da Paolo nella lettera ai filippesi; “Per me vivere è Cristo” (1,21). L’affermazione paolina può essere spiegata in diverse maniere: Vivere e agire come Cristo! Vivere e incarnare il progetto di vita di Cristo! Vivere è essere trasparenza di Cristo! Questo è l’obiettivo da raggiungere durante la formazione iniziale e da radicalizzarsi nella formazione permanente. In questo modo il religioso, durante il suo cammino ha la possibilità di trasfigurarsi, in modo da poter dire, nell’ambito comunitario e della missione: “Come è bello vivere con te!”; ”come è bello lavorare con te”. Se questo non avviene, con molta probabilità il religioso si è sbagliato nel processo della formazione percorrendo scorciatoie che l’hanno fatto deviare dal cammino verso Cristo.
Perché avvenga la trasfigurazione nel cammino della formazione, bisognerà che la missione stia sempre nell’orizzonte. Sarà la stella polare per tutte le decisioni e opzioni da compiere, nel campo della spiritualità, degli impegni pastorali, della formazione intellettuale, professionale ecc. Tutto ciò che è utile e prepara alla missione sarà oggetto di scelta del religioso, che ha cura della formazione; al contrario tutto ciò che distoglie l’attenzione dalla missione sarà lasciato da parte.
Questo atteggiamento missionario evita che la formazione si trasformi in una specie di corsa ad ostacoli, in cui il formando si trova sempre alle prese con una barriera da superare. La barriera dell’aspirantato è di entrare nel postulantato. La barriera del postulantato è di entrare in noviziato. La barriera del noviziato è di emettere i voti e giungere allo juniorato. La barriera dello juniorato è di giungere alla rinnovazione dei voti, fino ad arrivare a quelli perpetui. E poi non essendoci più barriere da superare, si mette un punto finale nella formazione e, non poche volte comincia un processo regressivo o di stagnazione, tale da rendere vana ogni possibilità di trasfigurazione. Questa è la situazione lamentevole dei religiosi infelici e fomentatori di infelicità poiché non camminano e impediscono agli altri di camminare.
Avere gli occhi fissi sulla missione, in ultima analisi, vuol dire tenere gli occhi fissi su Gesù missionario e sentirsi suoi compagni di missione, per continuarla in mezzo ai contrattempi e alle sfide, senza scoraggiarsi. Anzi quanto più la missione comporterà delle sfide, tanto più il religioso apostolico sarà creativo, coraggioso e motivato a lanciarsi nei compiti che lo riguardano.
Se la missione scompare dall’orizzonte, il religioso perde il significato della vita, e tende a lasciar correre la barca, con grande probabilità di essere infedele alla vocazione che lo condusse alla VRC, al punto da abbandonare il cammino o fuorviarsi in uno stile di vita indegno di un discepolo del Regno. Probabilmente questa sbandata deriva dalla incapacità di lasciarsi trasfigurare dall’azione della grazia nel suo cuore, da quella che il Vangelo chiama “bestemmia contro lo Spirito Santo” (Mt 12,31-32). Credo si possa affermare che nella VRC apostolica la dinamica della trasfigurazione dipende da come il religioso si confronta con il tema della missione. In definitiva, la trasfigurazione, durante la formazione iniziale e permanente ha in vista il servizio del Regno, sulle orme di Gesù di Nazaret. I religiosi si trasfigurano nell’essere i migliori servitori del popolo di Dio.
Un grave impedimento per trasfigurarsi nel processo di formazione riguarda la libertà. Senza l’emancipazione della libertà la formazione è impossibile, e, di conseguenza, la trasfigurazione del religioso rimane bloccata. Liberare la libertà vuol dire mettere ordine negli affetti e nelle passioni, evitando così di agire mossi dall’invidia, gelosia, dallo spirito di competizione, da preconcetti e, perfino dall’odio e dalle sue conseguenze imprevedibili. Nella lettera ai Galati (5,19-21) l’apostolo Paolo elenca le cosiddette “opere della carne”, frutto della libertà schiava delle passioni. In contrapposizione, elenca i “frutti dello Spirito” (Gal 5,22-23), espressioni della libertà orientata a Dio e verso il prossimo. Si può parlare di vera libertà solo quando l’obiettivo dell’azione è la misericordia verso il fratello e la sorella che sono nel bisogno. L’egoismo è la morte della libertà.
Applicando ciò alla formazione che trasfigura, quanto più liberata è la libertà nel senso di Galati 5,1 – “Cristo ci ha liberati per la libertà!” – tanto più il religioso in tutte le fasi del suo cammino di formazione, iniziale e permanente, sarà in condizioni di trasfigurarsi, a partire dal più profondo di sé, in modo da essere sempre più misericordioso verso il suo simile, più capace di perdonare e di vivere riconciliato, di essere solidale con l’altro, in cui contempla il volto di Cristo (Mt 25,40), e crescerà nell’attenzione verso il suo simile e anche verso la nostra “casa comune”, la Terra in cui abitiamo. Questo dinamismo di trasfigurazione illimitata si riconoscerà dai gesti concreti, secondo cui sono irrilevanti la misericordia e la solidarietà praticate nel mondo virtuale, senza il contatto a tu per tu richiesto dal vangelo,
Insomma un segno inequivocabile della trasfigurazione, nel processo formativo della VRC, è senz’alcun dubbio l’impegno verso i poveri e i diseredati di questo mondo. Ci sono dei religiosi soddisfatti perché “brillano” come professionisti, come grandi amministratori o per la loro inventiva pastorale. Meno comuni, oggi, sono coloro che “brillano” di una santità fatta di pratiche di pietà e di ascesi. Ma niente di tutto questo ha necessariamente a che fare con la trasfigurazione evangelica, la cui autenticità compie un percorso diverso, ben descritto dalla parabola del Buon Samaritano (Lc 10,25-37). In essa, il Maestro Gesù insegna a imitare l’esempio dell’uomo che in viaggio s’imbatté in un individuo vittima della violenza, e questo incontro impresse un nuovo orientamento alla sua vita. Lo sconosciuto divenne il centro delle sue attenzioni, senza attendersi nessun compenso. “Va’ e fa’ anche tu lo stesso” (Lc 10,37) è il comando che deve risuonare, con insistenza, negli orecchi di chi si trova in un processo di trasfigurazione, nel cammino della VRC.
I passi della formazione che trasfigura nella VRC
Tra le righe del raccolto evangelico della trasfigurazione, si possono discernere i passi che i religiosi devono compiere nel trasformare la formazione in una vera mistagogia di trasfigurazione, sulle orme di Gesù di Nazaret. Il testo di riferimento è Luca (9,28-36).
a) “Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo” – Gesù si trasfigurò davanti al Padre, accompagnato dai discepoli. Presenza imprescindibile! Alla fine sono loro che costatano ciò che avviene nel Maestro e devono imparare da lui. Il contesto sociale della trasfigurazione, nella formazione, è la comunità formatrice (formazione iniziale) o la comunità di missione (formazione permanente). I solitari, gli isolati, gli egoisti e coloro che sono chiusi nel loro piccolo mondo non si trasfigureranno mai. Nel processo di formazione della VRC, soltanto i fratelli di buona volontà e dal cuore aperto saranno capaci di percepire i cambiamenti positivi nel nostro modo di essere e di procedere; ciò sarà impossibile per gli ipercritici, gli invidiosi, i gelosi e coloro che tendono a vedere solo gli aspetti negativi negli altri. Dall’altra parte, i veri fratelli saranno fondamentali per sostenerci e incoraggiarci a proseguire, nonostante le difficoltà. Non si può prescindere dalla dimensione comunitaria della formazione che trasfigura.
b) “Salì sul monte” (...). – Salendo sul monte Gesù va incontro al Padre per stare in comunione con lui. Non si tratta di fuga dal mondo ma di uno sforzo per contemplare il mondo con lo sguardo del Padre, per essere, scendendo dal monte, in condizione di abbracciare, con rinnovato ardore, il compito di proclamare il Regno di Dio. Ispirata a Gesù, la formazione che trasfigura esige dai religiosi di porsi molto al di sopra delle banalità della vita per raggiungere un livello esistenziale di alta qualità umana ed evangelica. Questo permetterà loro di contemplare la realtà con lo sguardo e nella prospettiva di Dio, senza lasciarsi irretire in dispute comunitarie, attriti con i superiori e i formatori, in conflitti con i compagni di cammino, e nemmeno nei pasticci che si creano nell’ambito della missione, del lavoro professionale e della istituzione ecclesiastica. Salire sul monte non sarà mai sinonimo di alienarsi e di mettersi ai margini della realtà. Anzi vorrà dire trovare il luogo adatto per contemplare la realtà e discernerla in vista dell’azione senza il rischio di cadere nelle numerose insidie che si incontrano.
“(...) per pregare” – La trasfigurazione di Gesù avviene nell’intimità con il Padre, nella preghiera. Egli si trasfigura stando unito al Padre; facendo l’esperienza di essere amato e diletto dal Padre; aprendo il cuore al Padre; in dialogo con lui. La preghiera che trasfigura nella formazione consiste nel dialogo intimo con Dio, padre e madre, pieno di misericordia, primo e vero formatore a cui ci affidiamo “come l’argilla nelle mani del vasaio”, secondo la bella metafora di Geremia (18,6). Si tratta di rimanere in comunione con Dio per ascoltarlo, in vista del discernimento necessario per la missione. La risposta è data dalla vita e dall’agire, senza bisogno di belle parole o di chiacchiere vuote, come ha detto Gesù (Mt 6,5-8). La testimonianza di preghiera di Gesù nei Vangeli è determinante per la formazione che trasfigura. Quanto più intensa e autentica è la preghiera, tanto più il religioso si trasfigurerà!
d) ”Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante” – Qualcosa di molto profondo e particolare avviene in Gesù, perché lascia trasparire tutta la ricchezza interiore, espressa nella bellezza del suo aspetto e la luminosità delle sue vesti. Qualcosa del genere avviene nella dinamica della formazione che trasfigura. Dall’intimo più profondo del religioso, scaturirà ciò che di più bello il Padre gli concede, al punto da oscurare le componenti negative della sua personalità, che diventano irrilevanti. Al contrario, quando la formazione non trasfigura, il religioso tende a lasciar trasparire le passioni disordinate, poiché il tesoro ricevuto da Dio rimane sepolto (Mt 25,14-30). La formazione che trasfigura si mostra vera nella qualità sempre crescente della misericordia, della premura per i piccoli e i poveri, dell’impegno a costruire un mondo gradito a Dio, da parte dei religiosi, fin dalla formazione iniziale. Si sbaglia il religioso che resiste al lasciarsi trasfigurare, colui che blocca il processo di trasfigurazione, che si chiude ad esso.
e) “Due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia” – Questi due personaggi dall’antico Testamento sono il simbolo delle Scritture che raccontano lo sforzo divino per trasfigurare l’umanità, immersa nell’infedeltà al progetto di Dio, con gravi conseguenze sociali. Il profeta Osea denunciò la mancanza di conoscenza di Dio, riconoscibile negli omicidi, nei latrocini, nella violenza e nel sangue sparso (Os 4,1-3) La formazione che trasfigura richiede un ascolto attento delle Sacre Scritture tra le cui righe si possono cogliere le vie indicate da Dio per salvare l’umanità priva della trasfigurazione. Mosè ed Elia conversano sull’ “esodo che stava per compiersi per Gesù a Gerusalemme” comprendente la passione, la morte in croce e la risurrezione nella dinamica della trasfigurazione contemplata dai tre discepoli. La trasfigurazione non elimina la passione e la croce nella vita dei discepoli del Regno, ma li aiuta a integrarle e a dare ad esse un significato nuovo. La passione e la croce possono essere un momento di profonda trasfigurazione.
f) “Maestro è bello per noi essere qui” – La contemplazione di Gesù trasfigurato suscita entusiasmo nel cuore dei discepoli, i quali desiderano perpetuare quel momento. Senza pensare a se stessi, propongono di fare tre tende: per Gesù, per Mosè e per Elia, disposti a rimanere all’aperto. L’esclamazione di Pietro può stare perfettamente in bocca di chi convive con religiosi trasfigurati. Come è bello stare con persone misericordiose, ottimiste, allegre, preoccupate di fare il bene, piene di progetti, idealiste, impegnate corpo e anima nella missione! Questi sono chiari segni della trasfigurazione già nella formazione iniziale, e in fase di continuo consolidamento nella formazione permanente. Gli ostacoli della vita comunitaria nella VRC, come anche nella vita missionaria, quasi sempre derivano dalla mancanza di apertura dei religiosi all’opera di trasfigurazione di Dio nei loro cuori. Le conseguenze funeste di questa chiusura all’azione divina in noi sono ampiamente conosciute.
g) “Questi è il Figlio mio, l’eletto” – I religiosi trasfigurati possono attribuire a se stessi la parole Padre rivolte al Figlio. Dio affida loro grandi missioni, come avvenne per Gesù, se passeranno attraverso un processo radicale di conversione e se si lanceranno in una dinamica teologico-spirituale che faccia di loro strumenti docili nelle mani del Padre per la salvezza dell’umanità. La consapevolezza di essere “figli amati di Dio” li indurrà ad agire con dedizione e generosità sempre maggiori poiché è così che il Padre agisce verso l’umanità. La figliolanza divina, nella vita religiosa, si manifesta nel modo di procedere, nella direzione indicata dal Maestro Gesù: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36). Essere figlio trasfigurato e amato vuol dire essere misericordioso come il Padre verso il proprio simile, privilegiando i poveri e i sofferenti e coloro che vivono nelle periferie esistenziali, in attesa di amore, di attenzione e comprensione. Solo i religiosi trasfigurati diventeranno solidali con loro!
Conclusione
La trasfigurazione deve essere l’obiettivo di tutta la formazione nella VRC. Esiste una parola corrispondente: metamorfosi! La trasfigurazione o la metamorfosi avvengono quando sono toccate le strutture più profonde del religioso. Un formazione superficiale, cosmetica, formalista, imposta, che calpesta la liberta, non avrà mai la forza di condurlo a cambiare di immagine-forma. Ci vorrà un pedagogia adeguata per raggiungere l’obiettivo di trasfigurarsi nel processo di formazione iniziale e permanente. Tuttavia, la miglior pedagogia e i migliori formatori non bastano per mettere in movimento il processo di trasfigurazione e di metamorfosi spirituale-esistenziale dei religiosi. È indispensabile l’azione della libertà, dinamizzata dalla grazia. I suoi obiettivi dovranno essere ben definiti, focalizzati nella perfezione del Padre presentata da Gesù come ideale da raggiungere dai discepoli del Regno: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). Chi si fissa su questo obiettivo non avrà motivo di incrociare le braccia, di sentirsi soddisfatto per aver raggiunto determinati livelli, e nemmeno si lascerà prendere dallo scoraggiamento per non aver raggiunto lo scopo prefissato. Una domanda si pone per coloro che sono spiritualmente rigidi e duri di carattere: vale la pena continuare nella VRC senza la disposizione a voler trasfigurarsi in un chiaro affronto al Signore che ci ha chiamato e fa affidamento su di noi quale strumenti idonei nelle sue mani, per continuare la missione di far giungere la salvezza fino ai confini della terra (Mt 28,20)?
P. Jaldemir Vitório, SJ