Brena Enzo
Nel nome della speranza
2018/1, p. 23
Dal 28 al 30 ottobre 2016 si è tenuto a Roma il convegno per i Vicari episcopali e delegati per la Vita consacrata, organizzato dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Quale relazione promuovere per aiutarsi a camminare insieme e a fare Chiesa?

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Vita consacrata e Chiesa locale
NEL NOME
DELLA SPERANZA
Dal 28 al 30 ottobre 2016 si è tenuto a Roma il convegno per i Vicari episcopali e delegati per la Vita consacrata, organizzato dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Quale relazione promuovere per aiutarsi a camminare insieme e a fare Chiesa?
Mettere a fuoco la figura del Vicario episcopale per la vita consacrata è stata un’occasione per parlare della relazione tra vescovi e consacrati, di vita consacrata e della sua presenza nella Chiesa universale e particolare, di mutuae relationes. Gli atti di quel convegno, che qui presentiamo in estrema sintesi, sono ora disponibili in un numero della rivista Sequela Christi.
Realismo, speranza
mutue relazioni
Coordinate e contenuti teologici del convegno sono stati gestiti dagli organizzatori tenendo conto dell’intrinseca portata universale del tema, con una particolare attenzione alla relazione della vita consacrata con la Chiesa locale e il suo pastore.
Infatti, «la giusta autonomia e l’esenzione – ricordava papa Francesco nel saluto iniziale – non si possono confondere con l’isolamento e l’indipendenza. Oggi più che mai è necessario vivere la giusta autonomia e l’esenzione in stretta relazione con l’inserimento, in modo tale che la libertà carismatica e la cattolicità della vita consacrata si esprimano anche nel contesto della Chiesa particolare (...) Alla luce del Vaticano II°, oggi parliamo di coessenzialità dei doni gerarchici e dei doni carismatici (cfr. LG 4) che fluiscono dall’unico Spirito di Dio e alimentano la vita della Chiesa e la sua azione missionaria».
A partire da questo dato ecclesiologico, i punti nodali della questione trattata sono stati: ecclesialità della vita consacrata e comunione missionaria nel popolo di Dio; mutua relazione tra Chiesa locale e VC; unità e reciprocità tra dimensione istituzionale e carismatica; servizio alla Chiesa universale ed esigenze della Chiesa locale; organicità e sussidiarietà tra opere dell’Istituto e pastorale diocesana; specificità carismatica e dimensione ecclesiale.
La coessenzialità dei carismi nella Chiesa – della quale la VC è parte essenziale alla stregua del laicato e del ministero ordinato – è stato il filo rosso che ha caratterizzato i contributi dei relatori, a prova del fatto che si sente il bisogno di ribadire teoricamente ciò che l’esperienza rivela problematico.
Come ricordava José Rodriguez Carballo, segretario CIVCSVA, «i consacrati accusano i vescovi di volerli sottomettere e controllare, o semplicemente di volersi impadronire dei loro beni. I vescovi, a loro volta, accusano i consacrati di comportarsi in molte occasioni come se fossero una chiesa parallela»: ricordare che i carismi sono coessenziali, allora, aiuta a chiarire le idee, anche se lascia tutta intera, nelle mani dei vescovi e dei consacrati, la responsabilità di mettere in pratica la comunione ecclesiale, origine di e meta per entrambi.
Lo stesso Carballo, concludendo il convegno, richiamava il pensiero di papa Francesco per la VC sintetizzandolo in un viatico di tre punti: 1) amate la VC così com’è e non come vorreste che fosse; 2) lavorate a favore di mutuae relationes sane e feconde; 3) accompagnate in modo particolare la vita monastica femminile (a cui è stata dedicata un parte del convegno di cui qui non diamo relazione per questioni di spazio).
Non è sufficiente lo sforzo di accomodata renovatio richiesta da Perfectae caritatis, poiché i carismi non sono tanto da conservare quanto da attualizzare in fedeltà al Signore, ai fondatori, all’uomo del nostro tempo e ai segni dei tempi. È necessario abbracciare il futuro con speranza, senza ascoltare i profeti di sventura che vedono solo nero nel domani della VC. E per evitare che la crisi diventi momento di morte, ci vuole un atteggiamento di discernimento evangelico fondato sull’essenziale: consacrazione, vita fraterna in comunità, missione. È sempre a partire da questi elementi, letti alla luce del tempo presente, che bisogna riflettere e prendere decisioni.
VC nella
Chiesa particolare
Che la VC appartenga alla vita della Chiesa è una verità “inconcussa” (inalterabile) – ha sottolineato sr. Nicla Spezzati citando Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – e non potrà mai mancare né morire nella Chiesa, dal momento che lo Spirito santo è protagonista di carismi e profezia. È Lui che conduce e sostiene nel cammino di sequela per la configurazione a Cristo mediante l’ascolto della Parola, la conversione, la vigilanza, la preghiera, la missione.
In quanto dono dello Spirito santo, la VC è per la Chiesa poiché nasce nella Chiesa: «la Chiesa non si aggiunge alla VC ma è la sua terra, la sua stessa condizione di possibilità». E poiché la Chiesa si radica in una terra e in una cultura particolare, anche la VC vive sulla propria pelle gli esiti della storia e delle trasformazioni che essa registra. Le diverse fasi evolutive – crepuscolari o nascenti – che caratterizzano il Nord e il Sud del mondo pongono, nel loro insieme, di fronte alla necessità «di inventare un nuovo modello (o più modelli) di VC capace di dialogo con l’ethos culturale, ma con passione profetica e audacia evangelica».
Ogni Chiesa particolare è testimone di questa fatica, se non proprio di una crisi, e la VC non ha altro luogo per verificare il suo cammino di crescita e la sua fedeltà se non nella Chiesa particolare dove ogni comunità vive. Come ricordava papa Francesco nella Lettera per l’Anno della vita consacrata, il vescovo deve considerare con amore le comunità di vita consacrata per i loro problemi e limiti, superando l’approccio funzionale. Si tratta di formare, consolidare, o ritrovare la coscienza ecclesiale, lo slancio evangelizzatore, il cammino alla santità, vissuti con le peculiarità vocazionali tipiche di ciascuno, in spirito di comunione e sinodalità che sono il cuore della VC.
È forse questo l’aspetto della novità conciliare che patisce le più evidenti resistenze. I vari sinodi sui laici (1987), sul sacerdozio ministeriale (1990), sulla VC (1994) e sui vescovi (2001) hanno espresso approfondimenti teologici e pastorali che hanno fatto apprezzare quel salto qualitativo riassumibile nell’espressione «nella Chiesa nessuna forma di vita e ministero è autosufficiente». Il passaggio dalla teoria alla pratica, tuttavia, è molto più laborioso di quanto si potesse pensare. Si rende necessaria la conversione indicata a tutti da papa Francesco: la Chiesa intera, tutta coinvolta nell’uscita missionaria per annunciare il Vangelo oggi.
La novità proposta dal papa sta nel fatto che ogni cristiano viene invitato a scoprirsi non ripiegandosi su di sé, ma verificando l’autenticità della propria identità nel servizio al bene degli altri.
Il vescovo
presiede nella carità
L’interessante relazione di p. Ghirlanda sj, così ricca dal punto di vista giuridico da risultare difficilmente sintetizzabile, analizza in dettaglio le questioni più frequenti della relazione tra vescovo e VC nella prassi quotidiana della vita diocesana.
Il vescovo è responsabile della cura degli Istituti di VC (di diritto diocesano o pontificio) rispettando – cioè conservando e tutelando – la loro autonomia. Quest’ultima deve armonizzarsi con la dipendenza dal vescovo locale, che assume le forme più diverse a seconda che l’Istituto sia di diritto diocesano, pontificio, o esente. L’esenzione comporta che l’Istituto sia esente dalla giurisdizione del vescovo per quel che riguarda l’ordine interno dell’istituto stesso, anche se a lui deve sottostare per quanto riguarda l’apostolato, perché si mantenga l’unità pastorale della Chiesa particolare.
La funzione di colui che presiede nella carità la Chiesa locale – il vescovo e il suo vicario/delegato – è di facilitare le relazioni tra i tanti protagonisti della vita ecclesiale e un coinvolgimento di tutti, ognuno per la sua parte specifica, nell’unica missione evangelizzatrice. Senza dimenticare che comunione e sinodalità sono parte integrante di tale missione.
A papa Francesco, che ci ricorda come «una Chiesa solo comunione, ma non missionaria, sarebbe una Chiesa egocentrica, malata, chiusa ancora nelle sue paure» (EG 49), fa eco Vita consecrata: «le varie componenti (della Chiesa) possono e devono unire le loro forze, in atteggiamento di collaborazione e di scambio di doni, per partecipare più efficacemente alla missione ecclesiale» (n. 54). Perciò, la missione nella comunione ecclesiale è: discernere insieme, camminare insieme, operare insieme.
La cultura del dialogo costruttivo vissuto alla luce di una coralità di carismi che comunicano reciprocamente con progetti condivisi, in una logica di partecipazione, è lo stimolo ecclesiologico offerto da sr. Nicla Spezzati. La relatrice ha ricordato come, per vivere effettivamente una coralità carismatica, sia necessario che il vescovo non consideri la VC solo in termini funzionali alla pastorale diretta. Se ciò si verificasse, vorrebbe dire che la vita contemplativa, l’Ordo virginum, gli eremiti e gli Istituti secolari rimarrebbero tagliati fuori o relegati ai margini della vita ecclesiale. Come osservava Paolo VI°, i carismi di queste forme di VC per loro stessa natura «si collocano nel dinamismo della Chiesa, assetata dell’assoluto di Dio, chiamata alla santità. Incarnano la Chiesa in quanto desiderosa di abbandonarsi al radicalismo delle beatitudini» (EN 69).
Il vescovo è chiamato ad avere occhi di riguardo per queste forme di VC perché sono ricchezza della Chiesa non tanto per i servizi che possono rendere, quanto per la loro identità, testimonianza e profezia.
Nuove forme
di vita consacrata
Come può e deve muoversi il vescovo, e il suo vicario, di fronte alle nuove forme di VC?
A questo attualissimo interrogativo ha risposto la sostanziosa relazione di p. Lionello Leidi cp.
Sulla base del Magistero, della normativa canonica e della prassi in uso presso la CIVCSVA, Leidi offre criteri teologico-giuridici utili all’opera di discernimento, accompagnamento e riconoscimento dei nuovi doni di VC affidata al vescovo diocesano e, in corresponsabilità, al vicario episcopale.
Al vescovo tocca l’impegnativo compito di discernere i nuovi carismi che lo Spirito santo suscita nella Chiesa e costituire forme stabili di vita evangelica aiutando fondatori/fondatrici a esprimere i loro progetti nel miglior modo possibile e tutelandoli con Statuti adatti. Sempre al vescovo spetta il compito di erigere con formale decreto Istituti di VC, dopo aver consultato la Sede Apostolica – consultazione che papa Francesco ha stabilito essere necessaria ad validitatem –.
Questa incombenza non si esaurisce in una verifica di tipo giuridico, ma tocca nel vivo anche l’aspetto dottrinale. Non riguarda, perciò, solo la Chiesa locale ma la Chiesa nella sua totalità. Leidi fa notare come, nonostante la chiara legislazione vigente, «nella realtà sono stati eretti dai vescovi diocesani non pochi Istituti di VC – soprattutto religiosi, specialmente femminili – senza adeguato discernimento e senza osservare le indicazioni offerte dalla Chiesa». Tali istituti «non presentavano né originalità di carisma, né specificità propria, né reale necessità ecclesiale, né reali possibilità di sviluppo né, in alcuni casi, i tratti essenziali della consacrazione mediante i consigli evangelici» e quindi «non dovevano essere eretti». Quelli riportati in corsivo sono i principali criteri di discernimento ben presentati dal relatore.
Ad essi, Leidi fa seguire la presentazione dei passaggi necessari per l’accompagnamento istituzionale che il vescovo deve offrire a fondatori/trici: essi servono per chiarificare natura, scopo e spirito del nuovo istituto. Tale discernimento è essenziale, poiché non tutti i fenomeni aggregativi con vita comune che si autodefiniscono “nuove forme di VC” lo sono realmente. Perciò sono presentate puntualmente le tappe dell’iter che portano all’approvazione canonica.
Adeguato rilievo viene dato al compito del vescovo di accompagnare gli Istituti in diminuzione ed estinzione, un’urgenza tipica della VC attuale. Perfectae caritatis indicava come decisivi per pensare alla soppressione di un istituto/monastero: piccolo numero di religiosi relativamente agli anni di esistenza, mancanza di candidati da parecchi anni, età avanzata della maggior parte dei membri. Nella consapevolezza che un istituto, così com’è nato, deve fare i conti pure con la sua morte, vengono passate in rassegna da Leidi le varie possibilità di soluzione: aggregazione, federazione, confederazione, fusione, unione, soppressione, tutte opzioni ben argomentate anche empiricamente.
Anche affrontando un tema critico come la fine di un istituto, tuttavia, la speranza è stato il clima prevalente emerso dal convegno. «Chi vede solo con gli occhi dei numeri o delle opere – commentava Carballo – è portato a pensare che la VC stia morendo. Chi invece legge con gli occhi del cuore e della fede nel Dio della storia saprà scoprire segni di vita».
Enzo Brena