Carballo José Rodriguez
Un cammino sempre aperto
2017/6, p. 41
Nella formazione iniziale c’è molta confusione tra le diverse tappe e mancanza di chiarezza negli obiettivi propri di ciascuna di esse. Nella formazione permanente non si distinguono le diverse tappe che sta vivendo la persona consacrata. Si offre una formazione che vale per tutti, con il rischio che non risponda alle esigenze di nessuno.

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La formazione nella VC
Un camminosempre aperto
Nella formazione iniziale c’è molta confusione tra le diverse tappe e mancanza di chiarezza negli obiettivi propri di ciascuna di esse. Nella formazione permanente non si distinguono le diverse tappe che sta vivendo la persona consacrata. Si offre una formazione che vale per tutti, con il rischio che non risponda alle esigenze di nessuno.
Il prossimo sinodo dei vescovi che si terrà nell’autunno del 2108 ha come tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. In relazione con il discernimento vocazionale, in un mondo che cambia, il documento preparatorio, sottolinea quanto sia importante l’accompagnamento personale. Ma, «per accompagnare un’altra persona non basta studiare la teoria del discernimento; occorre fare sulla propria pelle l’esperienza di interpretare i movimenti del cuore per riconoscervi l’azione dello Spirito, la cui voce sa parlare alla singolarità di ciascuno. L’accompagnamento personale richiede di affinare continuamente la propria sensibilità alla voce dello Spirito e conduce a scoprire nelle peculiarità personali una risorsa e una ricchezza.
Si tratta di favorire la relazione tra la persona e il Signore, collaborando a rimuovere ciò che la ostacola. Sta qui la differenza tra l’accompagnamento al discernimento e il sostegno psicologico, che pure, se aperto alla trascendenza, si rivela spesso di importanza fondamentale. Lo psicologo sostiene una persona nelle difficoltà e la aiuta a prendere consapevolezza delle sue fragilità e potenzialità; la guida spirituale rinvia la persona al Signore e prepara il terreno all’incontro con Lui (cfr. Gv 3,29-30)».
Il discorso del discernimento vocazionale richiama quello strettamente collegato della formazione. Ci sembra opportuno pertanto riprendere qui l’intervento che mons. J. Carballo, Prefetto della CIVCSVA, ha tenuto al termine dell’Anno della vita consacrata, nella primavera dello scorso anno, all’Incontro internazionale conclusivo, sul tema della formazione iniziale e permanente nella vita consacrata.
La formazione è un argomento che ritorna di continuo nelle riunioni e nei convegni, per esempio anche nell’ultima assemblea dell’USMI (18 – 21 aprile 2017). Si sa quanto una formazione seria e profonda sia importante in ordine alla perseveranza e avvertita la necessità di formatori e accompagnatori ben preparati, anche per arginare il flusso di abbandoni forse mai così alto come in questi ultimi anni. La formazione è un argomento da non dare mai per scontato. Come dice giustamente mons. Carballo in questo “Speciale” è “un cammino sempre aperto” che dura tutta la vita.
In questi ultimi anni si è molto parlato e scritto sulla formazione nella vita consacrata. Si sono moltiplicate iniziative, sia per quanto si riferisce alla formazione permanente sia a quella iniziale. Certamente esiste molto interesse per il tema, poiché siamo ben consapevoli che da essa dipende il nostro presente e il nostro futuro. Forse la maggiore novità in tutto il cammino percorso è in relazione con il concetto stesso di formazione. Non si tratta infatti solo di una acquisizione di conoscenze, per quanto importanti, ma soprattutto della identificazione con Cristo, di “una progressiva assimilazione dei sentimenti di Cristo verso il Padre”, fino a poter dire con Paolo: “Per me, vivere è Cristo” (Fil 1,21). Nel processo formativo non si tratta tanto di conoscere cose, quanto “di conoscere l'amore di Cristo che supera ogni conoscenza” (Ef 3,19). Tutto ciò fa sì che il processo formativo duri tutta la vita.
In questa nuova definizione di formazione si trova la chiave per una giusta comprensione della formazione come un tutto. Infatti non si tratta della formazione permanente e iniziale, ma della formazione permanente/iniziale in cui l’obiettivo è lo stesso: assimilare i sentimenti di Cristo.
1. Momento attuale della formazione
Sono state fatte molte cose buone soprattutto nella formazione iniziale, e anche in quella permanente, per ottenere una formazione che sia integrale, vale a dire che comprenda tutte le dimensioni della persona: la dimensione umana, cristiana e carismatica. Si tratta di un processo globale della persona per realizzare l’integrazione armoniosa dei diversi aspetti; si tratta di attuare l’unità della vita in Cristo mediante lo Spirito, la fusione delle diverse dimensioni che configurano la persona. È necessario che la vocazione faccia sintesi di tutte queste dimensioni e tra di esse ci sia una vera “sinfonia”. È qualcosa di fondamentale se vogliamo che la persona che risulta da tutto il processo formativo sia unificata e non frammentata.
Un passo importante in ciò che si riferisce alla formazione è di mettere in stretta relazione la formazione iniziale con quella permanente. Non sono infatti due compartimenti separabili, “la formazione iniziale deve concatenarsi con quella permanente, creando nel soggetto la disponibilità a lasciarsi formare ogni giorno della sua vita”. Non si può pensare la formazione iniziale senza quella permanente.
Senza dubbio sono stati compiuti grandi sforzi anche in tutto ciò che riguarda la formazione permanente come “un’esigenza intrinseca della consacrazione religiosa” che ha la sua “cattedra” privilegiata nella vita quotidiana ed è chiamata a sfociare nella vita. La formazione permanente non è ciò che viene dopo quella iniziale, ma, per quanto paradossale possa sembrare, è qualcosa che la precede e la rende possibile. È l’idea-madre della formazione che la custodisce e le conferisce identità. In questo modo la formazione permanente si converte in teologia, in un modo di pensare e definire la stessa consacrazione a Dio. In questo senso è un lento e continuo processo di formazione in noi dell’uomo nuovo, o di un cuore umano capace di assumere i sentimenti divini, di pulsare all’unisono con il cuore di Dio.
Ugualmente sono stati compiuti dei passi importanti per comprendere che la formazione è opera della Trinità, nel senso che il Padre è colui che plasma nei nostri cuori i sentimenti del Figlio, mediante lo Spirito Santo.
È stato chiarito molto anche il “ministero” del formatore o accompagnatore, come uno dei collaboratori dell’azione di Dio Trinità, come la persona che trasmette la bellezza della sequela di Cristo in un determinato carisma ed è capace di accompagnare, anche dal punto di vista professionale, i candidati alla vita consacrata affinché acquisiscano i sentimenti di Cristo (cf. Fil 2,5), o coloro che sono già professi in un determinato carisma.
Si è preso coscienza – anche se abbastanza di recente – dell’importanza della fraternità nella formazione e nell’accompagnamento dei fratelli e sorelle e dei candidati alla vita consacrata. È una cosa importante se vogliamo evitare il pericolo di possibili “plagi” che potrebbero esserci se della formazione si incaricasse solo il formatore o la formatrice. Accompagnare oggi le nuove generazioni e gli stessi fratelli/sorelle in formazione permanente è una missione di tutti.
Tutto ciò è una strada senza ritorno, i cui risultati stanno producendo frutti abbondanti. Ma non mancano lacune in tutto questo cammino. Tra le altre si possono segnalare: il fatto che il modello teologico–antropologico di riferimento non è ancora sufficientemente chiaro. Forse è chiaro il punto di arrivo, ma non altrettanto quello di partenza: l’idea dell’uomo e del cammino evolutivo. C’è da lavorare ancora molto in questo senso.
Non è chiaro come la chiamata alla vita consacrata abbia a che vedere nella vita di ciascuna persona con la grazia e la natura, le debolezze e le possibilità, il conscio e l’inconscio. Cercare di lavorare solo con una parte della realtà, sia positiva che negativa, vuol dire negare la stessa realtà umana in cui si danno appuntamento il peccato e la grazia.
Nella formazione iniziale c’è molta confusione tra le diverse tappe e mancanza di chiarezza negli obiettivi propri di ciascuna di esse. Ciò rende impossibile una vera valutazione di ciascuna tappa. Nemmeno sono chiari i mezzi per raggiungere gli obiettivi di ciascuna tappa. Il rischio è che ci siano molte ripetizioni o che si lascino fuori dall’ambito formativo aspetti importanti.
Nella formazione permanente non si distinguono le diverse tappe che sta vivendo la persona consacrata. Si offre una formazione che vale per tutti, con il rischio che non risponda alle esigenze di nessuno. Le esigenze sono molto diverse in chi ha fatto da poco la professione perpetua da quelle di chi è nel meriggio della vita o al suo tramonto.
Sia nella formazione iniziale che in quella permanente c’è ambiguità negli obiettivi e grande povertà nelle indicazioni metodologiche. In questo cointesto è bene ricordare che nella formazione oggi il problema non sta tanto nella teoria, ma nel metodo per fare in modo che la teoria si traduca nella vita.
Nella formazione si avverte anche la mancanza di mediazioni formative adeguate. Abbiamo buoni programmi, buone idee sulla formazione. Ciò che manca sono le persone e le strutture formative adeguate che ci aiutino a tradurre questi programmi e queste idee nella vita di tutti i giorni. Questa lacuna si verifica in modo particolare nella formazione permanente.
Oggi si frequentano corsi teologici, biblici, antropologici, filosofici... Tutto ciò è cosa buona e necessaria in questi momenti in cui noi consacrati siamo chiamati a rendere ragione delle nostre opzioni vocazionali, in una società che non condivide i nostri valori o non li considera come tali. Ma è bene domandarsi: quanto di questo materiale si trasforma in mediazione formativa? Perciò, nonostante tutto il cammino percorso in ciò che riguarda queste mediazioni pedagogiche, rimangono alcune sfide che chiedono una risposta adeguata.
Da quanto è stato detto, la formazione continua a porre alcune sfide che ci interpellano grandemente e fa sì che il cammino continui e abbiamo a rimanere desti senza “dormire sugli allori” per passare dal bene al meglio, e “crescere di virtù in virtù, di grazia in grazia, e di luce in luce” anche nel campo della formazione.
2. Alcune sfide relative alle mediazioni pedagogiche
La formazione è una rete di mediazioni pedagogiche in cui occorre mettere in risalto, tra la altre cose, il soggetto in formazione, il formatore, la fraternità formatrice e l’ambiente.
Il soggetto in formazione
In questa rete appare, in primo luogo, il soggetto in formazione. La prima grande sfida davanti alla quale si trovano tutti coloro che sono in un processo di formazione permanente o iniziale è di accettare il proprio protagonismo nella formazione. È colui che è chiamato che deve dare una risposta attenta, nuova e responsabile. Non si tratta di una specie di concessione al politicamente corretto, ma di una realtà antropologica. Se il soggetto in formazione non assume il suo protagonismo nel suo cammino di crescita come persona, come cristiano e come parte di un determinato carisma, tutte le altre mediazioni sono destinate a fallire. Ci troveremmo davanti al cosiddetto “effetto tunnel” della formazione. Trattandosi di un processo di internalizzazione, il soggetto in formazione non può rimanere passivo in tutto il cammino che sta percorrendo insieme agli altri e sotto l’azione del primo formatore: Dio Trinità. Deve assumersi la propria responsabilità, che non è piccola, nella sua crescita come persona e come discepolo di Gesù.
Ma in tutto questo processo non basta la docilitas, bisogna passare da questa alla docibilitas. In questo senso, al soggetto in formazione è chiesto di imparare a imparare, di rimanere in uno stato permanente di formazione. Ciò comporta alcuni passi che non si possono delegare:
- Fare la verità sull’io attuale. Questo esercizio duro e faticoso coincide con l’arte pedagogica dell’educare (ex-ducere); trar fuori la verità dal soggetto. E ciò a sua volta comporta: conoscere la propria realtà personale, con le sue debolezze e i suoi punti di forza, le sue aree di libertà e di non libertà, come pure conoscere la sua area di inconsistenza centrale che lo porta a esperimentare maggior fatica nel controllarsi, specialmente nel rapporto con gli altri.
- Libertà dell’io ideale che, tra altri aspetti, comporta sentirsi attirati dalla bellezza di Cristo e dal profondo desiderio di essere come lui, di avere i suoi stessi sentimenti, meta ultima di ogni formazione alla vita consacrata. Questo processo coincide con il dinamismo pedagogico di formare che consiste nel proporre una “forma” che costituisca la nuova identità. Nel nostro caso, la nuova identità non è altra se non quella di Cristo. Si tratta di formarsi alla libertà vera e profonda.
- Apertura all’io relazionale, o, in altri termini, accettare di lasciarsi accompagnare da Dio e dal fratello chiamato a essere mediatore tra due libertà: quella di Dio che chiama e quella del soggetto che risponde. Il soggetto in formazione deve abbattere ogni barriera che ciascuno costruisce attorno a sé per “proteggersi” da qualsiasi interferenza. La formazione, in definitiva, è un fenomeno relazionale.
- Apertura alla realtà per imparare continuamente dalla vita e da ogni persona che s’incontra nel proprio cammino. La realtà è maestra di vita. Senza calpestare la realtà non si potrà mai parlare di un processo formativo.
- Passare dai comportamenti agli atteggiamenti e da questi ai sentimenti in modo che la formazione tocchi il cuore, perché è dal cuore che vengono i propositi malvagi ( cf. Mt 15,19). Il processo formativo deve passare da ciò che si vede a ciò che non si vede, e dal cuore fare opzioni di fondo e di peso.
Tutto questo processo comporta di liberarsi dalla paura di lasciarsi “fare” da Dio e a lasciarsi accompagnare dagli altri. Se uno non si libera dalla paura, facilmente il suo io sarà un io perduto, un io distratto, un io ingessato e sulla difensiva.
Il soggetto in formazione deve sempre ricordare il detto di Gesù: “la verità vi farà liberi” (Gv 8,32), a cominciare dalla verità su se stessi. Senza libertà il soggetto non sarà mai capace di ragionare da se stesso, di giudicare da se stesso, di essere uomo e donna liberi in un mondo in cui la libertà è una conquista ardua e costante e un dono ben radicato.
I formatori
Già è stato detto che la Trinità è il vero formatore. Restando fermo questo principio, bisogna aggiungere che Dio Trinità si serve di mediazioni umane nella sua azione di plasmare nel soggetto in formazione i sentimenti di Cristo. La prima tra queste è il formatore. Se egli è la prima mediazione umana è opportuno che ci domandiamo quali sono le sue funzioni.
Amedeo Cencini, in una delle sue opere a cui mi riferisco in diverse occasioni di questo intervento, sintetizza la funzione del formatore in tre parole/azioni: educare, formare e accompagnare.
Educare: tirar fuori la verità del soggetto in formazione, la verità della persona. Educare significa, in definitiva, aiutare l’altro a conoscersi e ad accettare l’altro, aiutarlo a passare dalla sincerità alla verità.
Questo esercizio comporta, da parte del formatore, un amore tenero e forte nello stesso tempo, come quello che ha avuto Dio verso il suo popolo, comportandosi come un padre con il suo figli (cf. Dt 1,31; 6,21; 9,26), aiutandolo a risolvere le sue difficoltà.
Comporta anche che il formatore conosca se stesso e sappia discernere nell’altro la presenza di conflitti e immaturità.
Comporta che non si fermi in superficie, ma penetri a fondo nel cuore della persona in formazione, giungendo a scoprire le inconsistenze.
Formare secondo la forma di Cristo in modo che nel soggetto in formazione avvenga il passaggio dall’ “uomo vecchio” all’ “uomo nuovo” e si costruisca una nuova identità.
In questo momento è necessario chiedere il massimo della dedizione. Infatti non basta raggiungere la verità su se stesso, bisogna compiere un salto di qualità: accogliere la bontà, la bellezza e la verità di Cristo.
Formare è il momento in cui il soggetto in formazione deve sentire Cristo come vera via, verità e vita, l’unico che può infondere nel suo cuore i suoi sentimenti.
La formazione deve essere esigente, che non vuol dire rigorista. Esigente perché la formazione è un cammino di libertà: libertà per lasciarsi sedurre dalla bellezza del Signore. È questo non per nulla facile. Esigente perché la formazione è anche esperienza di totalità, come l’amore: dare tutto, darsi tutto.
In tutto questo processo, il ruolo del formatore è molto importante perché deve con durre il soggetto in formazione a comprendere che è creta e che è il Signore che gli dà forma (cf. Is 64,7). Il suo atteggiamento non può essere altro che quello del paziente agricoltore che semina e aspetta che sia il Signore a dare forma, “come ai suoi occhi pare giusto” (Ger 18,4).
A questo punto è opportuno e necessario ricordare che il formatore potrà dare questo aiuto solamente se è esperto nelle vie del Signore. È bene che il formatore conosca molte tecniche, ma è più importante che sia un uomo centrato in Cristo.
Accompagnare. Il formatore deve essere come un fratello maggiore che, a partire dalla sua esperienza nel discepolato, aiuta il soggetto in formazione a giungere a essere discepolo.
Come Gesù con i due discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,13-35), il formatore può accompagnare se condivide con il soggetto in formazione il suo stesso cammino vocazionale (cum-passio), se cammina con il soggetto in formazione, lo ascolta, lo provoca, lo conduce all’incontro con Gesù e lo mette in condizione tale che decida lui stesso la risposta da dare.
È chiaro che il ruolo del formatore è un ruolo delicato, importante e per niente facile. Di qui l’emergenza di preparare formatori adeguati per questi momenti “delicati” e “duri”. Per questo il formatore deve essere presente nella vita del discepolo, condividere la sua stessa vita, ed essere competente per compiere un accompagnamento che permetta a colui che è accompagnato di crescere come essere umano, cristiano e nel proprio carisma.
Ma tutto questo senza dimenticare che il formatore che desidera realmente esserlo deve lui stesso sentirsi in formazione e lasciarsi accompagnare.
A livello di fraternità
Per quanto importante sia il ruolo del formatore, egli non può gestire la formazione da solo. Potrebbe creare delle dipendenze o cadere nella tentazione di formare a “sua immagine e somiglianza”. Oggi, sempre più, si vede l’importanza della fraternità/comunità formatrice.
Se la vita fraterna in comunità è un elemento essenziale della vita consacrata, si può formare ad essa solamente in fraternità e lasciandosi accompagnare dalla fraternità. La fraternità è il luogo privilegiato della formazione, l’humus della formazione iniziale e permanente.
È nella fraternità dove si esperimenta viva la presenza del fondatore o fondatrice, poiché è la depositaria del carisma di un Istituto. È nella fraternità dove si accoglie il dono dei fratelli così come sono. È nella fraternità dove si vive la gioia della fedeltà e si celebra il perdono. È nella fraternità ove uno può ricavare il meglio di se stesso: la generosità, la collaborazione, la dedizione... come anche il peggio che uno porta dentro: l’egoismo, il narcisismo, la sfiducia, le gelosie, l’invidia...
Ma la fraternità non è formativa automaticamente. Ci sono alcune esigenze che non possono darsi per scontate. Tra la altre che:
- ci sia chiarezza dei diversi ruoli e complementarietà e armonia tra loro;
- tra le sue componenti ci siano relazioni interpersonali sane, adulte, veritiere;
- tra i suoi membri regni un clima umano e umanizzante, un ambiente dove si coltivano i valori umani fondamentali;
- la fraternità abbia un progetto di vita evangelico in cui tutti i fratelli/sorelle si sentano coinvolti, in modo che tutti si sentano costruttori e non semplicemente consumatori;
- ci siano spazi di preghiera personale e comunitaria, di dialogo fraterno, di correzione fraterna, di condivisione di ciò che uno fa, pensa e sente, spazi per la festa;
- da essa si allontani l’istinto di dominio, di controllo, di rigorismo, di “politica”;
- in definitiva, sia una “famiglia unita in Cristo”, in cui l’altro sia considerato un dono del Signore, il rispetto reciproco nutra le relazioni fraterne, l’autorità sia esercitata come servizio e l’obbedienza sia “caritativa”.
L’ambiente
In forte relazione con la fraternità è l’ambiente. Questo può essere formativo o deformante. Sarà formativo nella misura che:
- ci sia coerenza tra la proposta e la vita. Non ci sia un doppio magistero. E se c’è peccato, si sappia riconoscere e venga perdonato;
- sia bello. Se seguire Cristo nella vita consacrata è bello, perché il Signore è bellezza, l’ambiente deve riflettere questa bellezza, trasmettere la passione per essa, e invitare a unirsi ad essa. Tutto deve parlare di essa e tutto dovrebbe servire a celebrarla;
- sia capace di provocare, o se si preferisce, sia un ambiente in certo senso profetico. Il contrario è un ambiente che invita alla routine, alla mediocrità;
- sia adulto, dove in tutti abita il senso di responsabilità, ciascuno secondo i propri doni e le missioni assegnate.
Quando sono debole, è allora che sono forte
Qualcuno potrebbe ritenere che stiamo pensando a un quadro formativo di e per uomini e donne perfetti e che tutto questo sia puro idealismo. Niente di questo. I soggetti in formazione non sono perfetti, altrimenti non sarebbero in formazione. I formatori non sono persone che hanno già raggiunto la meta, altrimenti non sarebbero in cammino. Le fraternità non sono ideali, perché il peccato è presente in tutte loro. L’ambiente non è sempre il migliore, perché si può sempre migliorare. Come già abbiamo indicato nel titolo di questo intervento, la formazione è un cammino sempre aperto.
“Quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12,10). È possibile vivere la debolezza in modo maturo e trovare in essa la forza. Ciò comporta, anzitutto, riconciliarsi con la propria debolezza, sapendo che fa parte della propria identità. È necessario ospitare, con molta umiltà, la propria debolezza, non per giustificare la mediocrità, ma per proiettarsi in avanti a partire da essa. Questo vuol dire edificare sulla roccia.
A questo mira la formazione permanente e iniziale: a una progressiva assimilazione dei sentimenti di Cristo verso il Padre e, proprio per questo, la formazione è un processo che non termina se non con la visita della “sorella morte corporale”, passaggio necessario per la piena identificazione con Cristo.
Per concludere
Uscire da se stessi per educare, formarsi per formare, mettersi in cammino per accompagnare. È tutta una sfida a cui non daremo mai una risposta definitiva, ma che non possiamo disconoscere o ignorare. Qui, come in molte altre cose, l’importante è terminare, giungere alla meta. L’importante è camminare. Il successo ci attende nell’aldilà. È il Dio Trinità che ce lo darà come grazia. A noi spetta mettere a profitto i talenti. La nostra sorte è di camminare. Camminiamo quindi. Sempre avanti.
José Rodriguez Carballo
Arc. Segretario CIVCSVA