Strazzari Francesco
Silenzio e Parola
2017/3, p. 39
Il silenzio non è che un mezzo al servizio dell’ascolto e della Parola. L’uso della parola non è qualcosa di spontaneo né facile da conquistare. Domanda una buona conoscenza di sé e una padronanza delle sue reazioni istintive. Esige soprattutto di sviluppare in sé una vita interiore abitata dalla presenza del Signore. Il silenzio non è una consegna, una disciplina che venga imposta. Il silenzio è qualcuno che si guarda, lo si vive, qualcuno che si respira e la cui presenza, giustamente, suscita di continuo lo stupore e il rispetto.

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VOCE DELLO SPIRITO
silenzio e parola
Il silenzio non è che un mezzo al servizio dell'ascolto e della Parola.
L'uso della parola non è qualcosa di spontaneo né facile da conquistare. Domanda una buona conoscenza di sé e una padronanza delle sue reazioni istintive. Esige soprattutto di sviluppare in sé una vita interiore abitata dalla presenza del Signore.
Il silenzio non è una consegna, una disciplina che venga imposta. Il silenzio è qualcuno che si guarda, lo si vive, qualcuno che si respira e la cui presenza, giustamente, suscita di continuo lo stupore e il rispetto.
Il silenzio non è «tacere», ma qualcosa di più profondo, di diverso.
Non è quindi sufficiente imparare a tacere. Occorre farsi "ascolto" per accogliere la Parola che impregna tutta la realtà e non cessa di agire e farsi attenti alle suggestioni dello Spirito Santo. Ecco la vera ragione del silenzio! È quello che faceva dire al beato Guerric d'Igny, cistercense del XII secolo: "Ora, se un silenzio profondo invade la tua anima, la Parola onnipotente verrà nel segreto e cadrà su di te".
Il silenzio è uno dei principali valori della vita monastica. Assicura la solitudine del monaco nella comunità. Favorisce il ricordo di Dio e la comunione fraterna; apre alle ispirazioni dello Spirito Santo, porta alla vigilanza del cuore e alla preghiera solitaria davanti a Dio. È la ragione per cui, in ogni tempo, ma soprattutto nelle ore della notte, i fratelli si applicano al silenzio, guardiano della parola e nello stesso tempo dei pensieri.
Silenzio e parola non dovrebbero mai opporsi. Sono entrambi mezzi da mettere al servizio di una comunicazione autentica e corretta tra fratelli e nella relazione di intimità con Dio. D'altronde, come notava già molto giustamente una delle grandi figure del monachesimo primitivo: "Vi sono coloro che sembrano far silenzio, ma il loro cuore condanna gli altri. Queste persone parlano continuamente. Chi, viceversa, parla dal mattino alla sera e conserva il silenzio perché non dice niente che non sia di utilità spirituale" (Abba Poemen).
Il silenzio favorisce l'unione con Dio. Unione che il monaco cerca di vivere attraverso tutte le attività della sua giornata grazie al "ricordo di Dio", cioè con un'attenzione vigilante alla sua presenza. Stimola ugualmente la comunione fraterna creando nel monastero un'atmosfera di raccoglimento e di calma che permette di accogliere e ascoltare meglio l'altro.
Quanto alla parola, essa crea e nutre le relazioni fraterne: incoraggiamento, aiuto reciproco, riconciliazione, sostegno, condivisione profonda, che sono il criterio della comunione con Dio: "Se uno dice 'Io amo Dio' e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1 Gv 4,20).
La giusta misura tra silenzio e parola è quindi la carità.
Ogni fratello è così impegnato personalmente in una disciplina di vita che promuove il silenzio interiore e la comunione fraterna. Responsabile del silenzio degli altri deve battersi contro l'affaccendarsi, la precipitazione, la curiosità, le chiacchiere, la ricerca di distrazioni. Ma deve altrettanto, con il dinamismo e il senso del servizio, essere fattore di unità e di pace in seno alla comunità.
Un silenzio che favorisce una vita comunitaria forte e integrale è, secondo la bella espressione di Baudouin, abate di Ford, cistercense del XII secolo: "Amore della comunione e comunione nell'amore".
Francesco Strazzari
da La giornata di un monaco
EDB, Bologna 2016