Chiaro Mario
L'impegno mondiale per il clima
2017/3, p. 34
La Conferenza COP22, più che provvedimenti concreti, ha finito per fissare le procedure e il piano di lavoro per il monitoraggio degli impegni presi da ciascun paese e l’istituzione del Fondo Verde per aiutare i paesi in via di sviluppo nella lotta al riscaldamento globale.

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L’appuntamento di novembre a Marrakech
L’IMPEGNO MONDIALE
PER IL CLIMA
La Conferenza COP22, più che provvedimenti concreti, ha finito per fissare le procedure e il piano di lavoro per il monitoraggio degli impegni presi da ciascun paese e l'istituzione del Fondo Verde per aiutare i paesi in via di sviluppo nella lotta al riscaldamento globale.
A Marrakech (Marocco) si è concluso nel novembre 2016 l’appuntamento annuale dei paesi aderenti alla Convenzione quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici. Quest’appuntamento, denominato COP 22, si è svolto dopo l’entrata in vigore della Conferenza di COP 21 tenutasi a Parigi nel 2015. L’incontro di Marrakech si è svolto anche dopo lo storico Accordo del dicembre scorso, che per la prima volta ha unito tutti i paesi del mondo nello sforzo per combattere il riscaldamento globale, dovuto alle emissioni di gas serra da parte dell'uomo. A Parigi si era deciso di mantenere il riscaldamento terrestre al di sotto dei 2 gradi dai livelli pre-industriali (se possibile entro 1,5 gradi) e di ridurre le emissioni orientando i consumi verso fonti a basso contenuto di carbonio. Tale accordo è stato a oggi ratificato con grandi difficoltà da oltre 100 paesi, compresi Cina e Sati Uniti, proprio le due nazioni che guidano la graduatoria delle emissioni di gas a effetto serra.
La Conferenza COP22, più che provvedimenti concreti, ha finito per fissare le procedure e il piano di lavoro per il monitoraggio degli impegni presi da ciascun paese e l'istituzione del Fondo Verde per aiutare i paesi in via di sviluppo. Il regolamento da approvare entro il 2018 dovrà stabilire in quale modo i paesi monitoreranno i loro impegni per il taglio dei gas serra (Nationally Determined Contributions), secondo gli accordi presi a Parigi nella COP21. Impegni che sono già stati definiti insufficienti per raggiungere l'obiettivo di rimanere con una temperatura globale entro i 2 gradi dall'Agenzia dell'Onu per l'ambiente, l'UNEP. Il testo finale ha anche richiesto agli Stati ricchi di continuare a lavorare per istituire entro il 2020 il Fondo Verde (Green Climate Fund), deciso a Parigi con una previsione di 100 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo nella lotta al riscaldamento globale. Proprio questo Fondo è stato il tema più spinoso del negoziato, e infatti il documento conclusivo rinvia ancora il suo avvio: il motivo è che i paesi donatori vogliono controllare come vengono spesi i loro soldi dai paesi poveri, questi ultimi non vogliono invece interferenze esterne nelle loro politiche.
Un approccio integrale
e integrato
Nonostante la fatica delle politiche nazionali e internazionali, si può dire che lo spirito di questi incontri al vertice sul clima è da ritenere decisivo per la presa di coscienza di una ecologia integrale e nella logica espressa dall’enciclica Laudato si’ (LS) di papa Francesco: «Dalla metà del secolo scorso, superando molte difficoltà, si è andata affermando la tendenza a concepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune. Un mondo interdipendente non significa unicamente capire che le conseguenze dannose degli stili di vita, di produzione e di consumo colpiscono tutti, bensì, principalmente, fare in modo che le soluzioni siano proposte a partire da una prospettiva globale e non solo in difesa degli interessi di alcuni paesi. L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, a un progetto comune. Ma lo stesso ingegno utilizzato per un enorme sviluppo tecnologico, non riesce a trovare forme efficaci di gestione internazionale in ordine a risolvere le gravi difficoltà ambientali e sociali. Per affrontare i problemi di fondo, che non possono essere risolti da azioni di singoli paesi, si rende indispensabile un consenso mondiale che porti, ad esempio, a programmare un’agricoltura sostenibile e diversificata, a sviluppare forme rinnovabili e poco inquinanti di energia, a incentivare una maggiore efficienza energetica, a promuovere una gestione più adeguata delle risorse forestali e marine, a assicurare a tutti l’accesso all’acqua potabile» (LS 164).
«Sappiamo che la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas –, deve essere sostituita progressivamente e senza indugio. In attesa di un ampio sviluppo delle energie rinnovabili, che dovrebbe già essere cominciato, è legittimo optare per l'alternativa meno dannosa o ricorrere a soluzioni transitorie. Tuttavia, nella comunità internazionale non si raggiungono accordi adeguati circa la responsabilità di coloro che devono sopportare i costi maggiori della transizione energetica. Negli ultimi decenni le questioni ambientali hanno dato origine a un ampio dibattito pubblico, che ha fatto crescere nella società civile spazi di notevole impegno e di generosa dedizione. La politica e l’industria rispondono con lentezza, lontane dall’essere all’altezza delle sfide mondiali. In questo senso si può dire che, mentre l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia, c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità» (LS 165).
Nella rivista gesuita “Aggiornamenti sociali” il direttore p. Giacomo Costa (nel suo articolo intitolato COP 22: la partita del clima continua, AS 12/2016) propone proprio di inserire la questione climatica in tale prospettiva più ampia che evidenzi la necessità di un nuovo approccio integrato, di una nuova comprensione del rapporto tra clima e bene comune, di una conversione ecologica a una nuova spiritualità.
Circa l’approccio integrato in grado di evidenziare le interconnessioni attuali nel nostro mondo complesso, p. Costa ricorda l’importanza di battersi per l’Agenda 2030 (approvata a Parigi nel 2015) e per il sistema degli Obiettivi di sviluppo sostenibile: un’architettura complessa che converge attorno al criterio della sostenibilità, intesa nelle sue tre dimensioni, ambientale, sociale ed economica. «Un secondo fronte di integrazione è il coinvolgimento della finanza, perché metta la propria potenza al servizio del bene comune permettendo di cogliere le opportunità della green economy (economia verde) e favorendo il trasferimento di tecnologie sostenibili ai paesi emergenti, nel quadro di quanto previsto dall’Accordo di Parigi. Spendiamo 1.800 miliardi di dollari per gli armamenti (il 2,5% del PIL mondiali), diciotto volte la cifra che si sta faticando a racimolare per affrontare il problema dei cambiamenti climatici». Un’ultima sfida all’integrazione è la transizione energetica, per accelerare ancora la non centralità del carbone nell’economia e l’abbandono delle fonti fossili a vantaggio di quelle rinnovabili. Occorre interessare una pluralità di settori (trasporti, edilizia, industria manifatturiera, agricoltura, gestione dei rifiuti ecc.) accompagnandoli dal risparmio, dall’eliminazione degli sprechi e da un uso efficiente.
La cura della casa
comune
Alla luce della Laudato si’, p. Costa riprende la nuova comprensione del rapporto tra clima, beni comuni e bene comune ricordando che anche il clima è “un bene comune, di tutti e per tutti” al pari di aria e acqua, indispensabili per la vita dignitosa di ciascuno. Anzi il clima è una delle condizioni che permettono alle singole persone e alle comunità di progredire verso il proprio sviluppo integrale. «Se il clima fa parte del bene comune, inevitabilmente ne vanno esplicitate le relazioni con gli altri elementi, quali la giustizia globale e la pace». Così occorre riconoscere che i cambiamenti climatici non colpiscono tutti allo stesso modo nel globo e spesso non toccano le regioni a cui vanno ascritte le maggiori responsabilità: l’innalzamento del livello degli oceani è una minaccia più elevata per gli stati insulari (arcipelaghi del Pacifico e dell’Oceano Indiano); i territori rurali delle regioni tropicali sono più vulnerabili agli eventi estremi; siccità desertificazione e disastri naturali sono all’origine del fenomeno dei migranti ambientali; la diminuzioni delle produzioni agricole causano carestie, che a loro volta sono fonte di conflitti.
Per un approccio basato su confronto e dialogo, sottolinea p. Costa, è degno di nota «il fatto che il clima sta rapidamente diventando uno dei temi dell’agenda delle religioni… stanno emergendo le sue relazioni con le domande di fondo sul senso della vita umana». Così la Conferenza COP 21 di Parigi è stata uno degli stimoli per la pubblicazione della Laudato si’ e della presa di posizione dei leader di altre confessioni religiose e in vista di COP 22 tenutasi a Marrakech, oltre a un Messaggio del papa al Ministro degli Esteri del Marocco c’è stato uno specifico seminario organizzato dal pontificio Consiglio Giustizia e Pace e dalla pontificia Accademia delle Scienze (qui si è registrata la partecipazione anche di una rappresentanza cinese!).
Una spiritualità
e un nuovo stile di vita
Oltre a un nuovo approccio integrato e a una nuova comprensione del rapporto tra clima e bene comune, il ragionamento di p. Costa approda a «una terza dimensione dell’impegno per la vita e per l’ambiente, quello della spiritualità, delle motivazioni, dello stile di vita, che siamo invitati a integrare con le due esaminate in precedenza: quella dell’azione tecnica e politica e quella dell’elaborazione di categorie adeguate». Prendere sul serio gli obiettivi di Parigi e di Marrakech significa in fondo incominciare a fare sul serio delle scelte a tutti livelli. «Un modo concreto per accordare priorità al futuro è dare spazio a coloro che verso di esso sono proiettati, anzi che ne sono le avanguardie, cioè le giovani generazioni, favorendo un dialogo che rinsaldi i legami intergenerazionali». Ricordiamo che le persone tra i 10 e i 25 anni costituiscono il 25% della popolazione mondiale: qui c’è un potenziale che non va disperso o sprecato e occorre offrire opportunità formative che consentano a questi giovani di assumere l’indispensabile nuovo l’approccio integrale.
«Ma il potenziale, conclude p. Costa, deve anche cominciare a sperimentarsi. Questo richiede alle generazioni adulte una triplice disponibilità: innanzitutto fare un passo indietro per lasciare ai giovani uno spazio di azione non predeterminato dall’esterno; poi ad accompagnarli e sostenerli di fronte a insuccessi o carenze, in particolare per quanto riguarda la trasformazione delle buone pratiche individuali e di gruppo in proposte compiutamente politiche, cioè di promozione del bene comune; infine ad accogliere la novità, anche quella faticosa o scomoda perché mette in discussione ciò che è consolidato».
Su queste coordinate concludiamo ricordando le preziose indicazioni di papa Francesco ancora nella Laudato si’: «La coscienza della gravità della crisi culturale ed ecologica deve tradursi in nuove abitudini. Molti sanno che il progresso attuale e il semplice accumulo di oggetti o piaceri non bastano per dare senso e gioia al cuore umano, ma non si sentono capaci di rinunciare a quanto il mercato offre loro. Nei paesi che dovrebbero produrre i maggiori cambiamenti di abitudini di consumo, i giovani hanno una nuova sensibilità ecologica e uno spirito generoso, e alcuni di loro lottano in modo ammirevole per la difesa dell’ambiente, ma sono cresciuti in un contesto di altissimo consumo e di benessere che rende difficile la maturazione di altre abitudini. Per questo ci troviamo davanti a una sfida educativa. L’educazione ambientale è andata allargando i suoi obiettivi. Se all’inizio era molto centrata sull’informazione scientifica e sulla presa di coscienza e prevenzione dei rischi ambientali, ora tende a includere una critica dei “miti” della modernità basati sulla ragione strumentale (individualismo, progresso indefinito, concorrenza, consumismo, mercato senza regole) e anche a recuperare i diversi livelli dell’equilibrio ecologico: quello interiore con se stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio. L’educazione ambientale dovrebbe disporci a fare quel salto verso il Mistero, da cui un’etica ecologica trae il suo senso più profondo. D’altra parte ci sono educatori capaci di reimpostare gli itinerari pedagogici di un’etica ecologica, in modo che aiutino effettivamente a crescere nella solidarietà, nella responsabilità e nella cura basata sulla compassione» (nn. 209-210).
Mario Chiaro