Ávarez Maqueda José Manuel
Cura pastorale in ospedale
2017/2, p. 39
La Chiesa nella sua attenzione alle persone ferite del mondo esprime infatti uno dei suoi momenti più forti nella pastorale sanitaria negli ospedali, un campo in cui essa gioca davanti al mondo la sua credibilità evangelizzatrice. La pastorale della salute e in particolare la missione di coloro che operano in questo settore è un compito delicato, serio e impegnativo che richiede particolari disposizioni umane, psicologiche e spirituali, assieme a determinate competenze, oltre a una seria preparazione e una capacità a lavorare in équipe.

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L’operatore pastorale nella sanità
CURA PASTORALEIN OSPEDALE
Identità dell’operatore sanitario. Le competenze essenziali che deve avere e quelle specifiche necessarie per una assistenza pastorale efficace. Non basta solo la buona volontà, ma occorre una buona preparazione umana, spirituale, psicologica e professionale.
Nella lunga intervista rilasciata a p. Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, nell’agosto del 2013, papa Francesco, alla domanda: «Quali sono i suoi desideri sulla Chiesa dei prossimi anni? Quale Chiesa “sogna”?», ha risposto: «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite... E bisogna cominciare dal basso.... E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia».
Uno dei luoghi in cui la Chiesa, nell’esercizio della sua missione cura le ferite, manifesta il suo volto misericordioso e rivela questa sua fisionomia specifica ed esemplare è senza dubbio la pastorale dei malati e dei sofferenti. È il tema a cui dedichiamo questo SPECIALE, in vista dell’11 febbraio, Giornata mondiale del malato. La Chiesa nella sua attenzione alle persone ferite del mondo esprime infatti uno dei suoi momenti più forti nella pastorale sanitaria negli ospedali, un campo in cui essa gioca davanti al mondo la sua credibilità evangelizzatrice. La pastorale della salute e in particolare la missione di coloro che operano in questo settore è un compito delicato, serio e impegnativo che richiede particolari disposizioni umane, psicologiche e spirituali, assieme a determinate competenze, oltre a una seria preparazione e una capacità a lavorare in équipe. Non è sufficiente la buona volontà del singolo.
Ma come tracciare l’identikit dell’operatore pastorale nel campo della salute? Le riflessioni che qui proponiamo sono riprese, in forma alquanto abbreviata e leggermente ritoccata da un articolo della rivista spagnola Labor Hospitalaria dei Fatebenefratelli (n. 316), a firma di José Manuel Ávarez Maqueda, operatore pastorale della diocesi di Badajoz. Le sue riflessioni si basano, oltre che sull’esperienza personale, su documenti quali “Il Rituale dell’Unzione degli infermi”, gli Orientamenti dottrinali e pastorali della Conferenza episcopale spagnola di pastorale, (Cep) e la Lettera del Pontificio Consiglio per la Pastorale degli operatori pastorali e gli orientamenti del Celam per la pastorale della salute in America Latina.
L’incontro pastorale con il malato
L’operatore della pastorale della salute riconosce il suo essere e operare in base a una chiamata a svolgere una missione in un contesto ecclesiale. Assiste e cura i malati perché, in quanto membro della Chiesa, partecipa alla sua missione. Non agisce di propria iniziativa, anche se bisogna tener conto della sua disponibilità e di un minimo di condizioni personali per attuare questa missione.
È chiamato a svolgere la sua missione in un contesto di corresponsabilità. Si tratta infatti di una missione da attuare comunitariamente, nell’unità e diversità dei ministeri nella Chiesa. Ciò è importante perché, altrimenti, non potrà trasparire “il vero essere della Chiesa”.
Deve acquisire e possedere delle competenze che non sono un semplice complemento delle conoscenze che già possiede per svolgere una pastorale specifica. Deve essere preparato al compito di evangelizzare e a rispondere ai problemi e ai bisogni posti dal mondo attuale nel campo sanitario.
Una delle competenze essenziali è la capacità di far fronte a situazioni di grave sofferenza. Vale a dire, l’operatore pastorale deve saper accompagnare con un minimo di equilibrio. Come scrive il Celam: “Deve essere una persona equilibrata, in possesso di una maturità umana e psicologica tale da permettergli di illuminare e orientare situazioni conflittuali e di crisi”.
Un’altra competenza essenziale e necessaria riguarda la capacità di lavorare in équipe, non solo per una maggiore efficacia, ma per svolgere il compito pastorale in un contesto comunitario di Chiesa, così da riflettere e testimoniare la sua appartenenza ecclesiale. L’operatore pastorale, scrive ancora il Celam, “crede e favorisce il lavoro in équipe e la collaborazione interdisciplinare. È capace di lavorare in una pastorale di insieme e facilita l’integrazione con le altre aree specifiche”.
Si tratta della disposizione e della capacità a collaborare in maniera coordinata nel compito da realizzare con un gruppo di persone che cercano di raggiungere degli obiettivi comuni.
Strettamente collegata con la capacità di lavorare in équipe è saper organizzare il lavoro. È l’attitudine a creare le condizioni che consentono di utilizzare le risorse umane o materiali per svolgere il compito pastorale con il massimo di efficacia e di efficienza.
A questo scopo è necessario tenere conto anche della capacità di rispondere al lavoro assunto. In questo senso, riconosceremo l’operatore che si coinvolge personalmente, unendo la disposizione e le capacità personali alla conoscenza del servizio specifico che gli è stato affidato dall’équipe.
Deve sapere inoltre che non si tratta solo di prepararsi ad assumere con competenza un compito professionale, ma di essere in grado di ri-orientare in maniera costante e adeguata questo medesimo compito: “Nel suo lavoro non si lascerà guidare soltanto da criteri di efficacia e di successo. Dovrà purificare costantemente le sue motivazioni e nei momenti difficili, quando si sente scoraggiato e impotente, rafforzerà la sua fiducia nel Signore, l’unico che può salvare” (Celam).
Un operatore pastorale non può accompagnare le persone con dipendenze che gli provocano sofferenza se non ha una sufficiente capacità di autonomia e una minima capacità di iniziativa, ossia, la disposizione a prendere decisioni riguardanti proposte o azioni.
Tutte queste le competenze ne richiedono un’altra essenziale che consiste nel saper intrecciare relazioni interpersonali. Possiamo intenderla come capacità di comunicare con gli altri, in un rapporto adeguato, con attenzione, sapendo che non è possibile una relazione di aiuto se non si impara a stabilire una buona comunicazione, specialmente con le persone più vulnerabili.
Scrive il Celam: “È una persona ricca di umanità, che comunica vicinanza, accoglienza, affetto; capace di ascoltare e di accogliere l’altro con la sua storia personale, la sua individualità e offrirgli ospitalità nel suo cuore”
L’incontro pastorale con il malato
La competenza per l’incontro con il malato richiede dall’operatore pastorale una preparazione adeguata nei seguenti aspetti:
-la stima e il rispetto verso ciascun malato per quanto si riferisce alle sue necessità e convinzioni personali, sul piano umano e religioso;
-la capacità di comunicazione e di ascolto del malato;
-la relazione di aiuto per tutti coloro che ne hanno bisogno e lo chiedono;
-la presentazione opportuna della proposta di incontro con il Signore se il malato si riconosce credente. Incontro di preghiera e/o sacramentale;
-dispone o coordina con il volontariato l’accompagnamento degli infermi che, per gravità (cure palliative) o solitudine ne hanno maggior bisogno.
Il servizio religioso deve mostrarsi competente nell’accoglienza e disponibilità ad accompagnare gli infermi e i loro famigliari in ogni momento, ma anche nei momenti celebrativi di cui c’è occasione stando in ospedale.
In molte circostanze il malato e la sua famiglia chiedono al cappellano o alla persona idonea una preghiera per loro e un ricordo nell’Eucaristia quotidiana.
O anche accompagnare nel funerale e nel lutto, sempre che si possa.
In realtà queste competenze per l’incontro con il malato appartengono più al cappellano o alla persona idonea, poiché sono essi gli operatori che devono mostrare disponibilità a seguire pastoralmente l’infermo.
Ciò non impedisce che, sia il personale sanitario credente, sia il volontario, possano esercitare questa opera di accompagnamento puntuale in coordinamento con gli operatori che stanno seguendo di continuo il malato.
La preghiera con e per il malato
Il malato ha bisogno di rivolgersi a chi lo può sostenere nel suo stato di abbandono. La preghiera diversificata può costituire l’opportunità di incontro con il Signore per ringraziare, chiedere aiuto nella sua debolezza e sentirsi in relazione con il Dio della sua fede.
L’operatore pastorale deve manifestare la sua competenza nell’accompagnamento del malato che avverte la necessità spirituale di invocare il proprio Dio. E se il malato ne avesse bisogno, occorre aiutarlo a pregare con lui e per lui, specialmente nella fase finale della vita affinché si senta aiutato a superare le paure e l’angoscia della morte imminente con la fiducia in colui che sappiamo ci accoglierà in ogni momento, ma specialmente in quello della morte.
La celebrazione sacramentale
La celebrazione dei sacramenti spetta anzitutto al cappellano e, nel caso, al ministro straordinario della Comunione. Questi operatori pastorali devono essere consapevoli dell’importanza che ha, per un infermo credente, partecipare ai sacramenti, come incontri privilegiati con il Signore.
Perciò devono mostrare anzitutto un atteggiamento di rispetto e di discernimento per saper cogliere “le motivazioni dei malati e dei loro famigliari o parenti nel chiedere, o non chiedere o rifiutare un sacramento” (Cep). Anzitutto l’operatore, nell’offrire i sacramenti “deve rispettare i livelli di fede cristiana dei malati e le tappe del loro cammino di fede per agire gradualmente con discrezione, evitando tutto ciò che può provocare dolore, risentimento o allontanamento” (ib).
Non deve perciò prevalere in primo luogo la stima per il sacramento che ha l’operatore che lo offre, ma essere offerto preferibilmente su richiesta del malato. “È l’infermo che deve sollecitare o accettare il sacramento con piena fede e celebrarlo con le migliori condizioni, in maniera attiva e consapevole. È lui, il suo livello di fede, il suo stato di salute e di forze.... che devono segnare il ritmo della celebrazione” (ib). Per un malato credente, il valore dei sacramenti, intesi come incontri salvifici, è fuori di dubbio, e si tratta di avere le disposizioni per cogliere questa presenza del Signore come preziosa per lui in quel momento.
Perciò, è raccomandabile proporre l’incontro sacramentale, tenendo conto del momento più adatto per il malato, sia per il sacramento della riconciliazione, sia per la comunione o l’unzione degli infermi.
Perciò, per offrire in maniera opportuna il sacramento, come incontro con il Signore, bisogna prima prendere contatto con il malato, sintonizzarsi con la situazione che sta vivendo, motivare il valore dell’incontro con il Signore in quel momento unico della sua vita e, infine, attendere che sia lo stesso credente ad esprimere il bisogno che il Signore venga nella sua vita e di poterlo incontrare.
“Per questo bisognerà rivedere una pastorale esclusivamente “sacramentalista”, ridotta all’impegno di far accettare i sacramenti” (Rituale dell’unzione degli infermi (59).
Tutto questo richiede che l’operatore sanitario, il cappellano, sia in grado di compiere un processo, tanto importante quanto necessario, di accompagnamento del malato, per far sorgere in forza della fede il bisogno dell’incontro con il Signore.
Non sembra perciò pastoralmente opportuno offrire i sacramenti ai malati, in maniera diretta, senza il dialogo e un previo accompagnamento. È opportuno quindi sottolineare che il ruolo che spetta all’operatore pastorale riguardo ai sacramenti consiste soprattutto nel fare in modo che “la celebrazione sacramentale costituisca, abitualmente, il culmine di una relazione significativa con il malato e il risultato di un processo di fede realizzato a questo scopo” (Cep 6).
L’attenzione ai malati più gravi
L’accompagnamento del malato nel cammino finale della vita ha un carattere prioritario nel servizio di assistenza religiosa e pastorale. Ma aiutare a morire è un compito pastorale che richiede preparazione, coraggio ed esercizio per saper cogliere i bisogni spirituali del malato e rispondervi nella misura del possibile.
Bisogna stargli vicino fisicamente e avere il coraggio di compiere insieme a lui questo percorso finale, che non si sa quanto durerà.
Non tutti gli operatori sono preparati ad accompagnare questo cammino finale, e se uno non è preparato, non sarà neanche in grado di prestare questo servizio.
Gli agenti pastorali che operano come cappellani devono perciò possedere una formazione adeguata, simile a quella necessaria per collaborare pastoralmente con le équipe delle cure palliative.
L’operatore deve imparare a trattare le ferite psichiche, e accompagnare inoltre a trovare il significato della vita, senza il quale essa risulta esasperante. Se il malato è credente è necessario verificare il suo bisogno di incontrare il Dio della sua fede, alimentando la fiducia in Lui e aiutandolo a superare le paure che il suo stato gli provocano. «È discreto, non impone la sua presenza; sta attento a cogliere ciò che l’altro vuole e di cui ha bisogno; rispetta i suoi silenzi e le sue confidenze. Riconosce la sua povertà, i suoi limiti e sa di non poter rispondere a tanti problemi, ma ha un cuore capace di ospitare ogni sofferenza e di trasmettere consolazione, serenità e pace” (Celam).
D’altra parte, la relazione di aiuto permetterà anche di accompagnare nel bisogno di accettare e di essere accettato, di perdonare ed essere perdonato, perché nella storia di ciascuna persona ci sono situazioni riguardanti il passato che meritano di essere incorporate in maniera riconciliata.
Ma questo processo che ogni malato attraversa prima di morire, richiede che l’operatore si identifichi con il suo ruolo di accompagnatore perché il malato ha bisogno di tutti gli agenti che possano stare la suo fianco, con i loro servizi specifici in quanto sanitari, cappellani, volontari ecc.
Attenzione alle famiglie dei malati
La famiglia del malato partecipa alla sofferenza dell’infermo e cerca di accompagnarlo continuamente. Perciò, la prima competenza che il servizio religioso deve avere verso le famiglie dei malati è la capacità di accoglierle ed essere loro vicino per “offrire ad esse l’attenzione pastorale di cui hanno bisogno in ciascun momento” (Cep)
Aver cura del personale sanitario
Anche per assistere pastoralmente il personale sanitario dell’ospedale sono necessarie delle competenze specifiche. Il servizio religioso deve mostrarsi disponibile anche per i momenti celebrativi del personale sanitario e delle persone che integrano i diversi servizi dell’ospedale. “Stare accanto al personale sanitario soprattutto nei momenti di difficoltà e di dolore, mostrare interesse per la loro vita e offrire un aiuto disinteressato, costituisce oggi un modo semplice ed evangelico di assisterli pastoralmente” (Cep). Sia per motivi di gioia, sia di sofferenza. È pastoralmente molto positiva la presenza di qualche membro del servizio religioso nelle feste di congedo degli infermieri e infermiere che si trasferiscono o perché termina il loro contratto o per esigenze dei servizi centrali.
O celebrare la messa in memoria di un sanitario che è morto. Oppure partecipare alle celebrazioni gioiose di nascite, matrimoni del personale sanitario e alle feste di famiglia. In modo speciale è necessario l’accompagnamento delle famiglie prima e dopo la morte del malato. Si tratta di infondere serenità e speranza. E soprattutto essere disponibili per ciò che occorre, specialmente sotto l’aspetto spirituale e religioso.
La consulenza etica
“Negli ospedali si pongono ogni giorno problemi etici che riguardano i malati, i loro famigliari, i professionisti sanitari e i vari reparti e servizi. Problemi molteplici, vari e alcuni complessi e difficili. Riguardano l’inizio e la fine della vita, la cura della medesima, l’esercizio della professione o l’organizzazione delle strutture sanitarie” (Cep). Come può il cappellano contribuire, in quanto operatore pastorale, ad affrontare le situazioni di conflitto etico nell’ospedale? Fa parte della sua missione “contribuire” a chiarire le situazioni etiche in conflitto, “collaborare” alle formazione etica dei professionisti sanitari e “offrire ” a chi la richiede in ospedale.(Cep).
– Si tratta senza dubbio di un compito molto delicato e occorre una speciale competenza nella preparazione richiesta oggi per conoscere e affrontare le difficoltà di carattere etico che possono sorgere.
– Questo vale sia per offrire un vero rapporto di aiuto efficace, sia per esercitare un compito di orientamento sulla base dei valori evangelici proposti dall’etica cristiana. “Come può un operatore pastorale consigliare eticamente persone e categorie che in una cultura pluralista aderiscono a sistemi di valori tanto diversi? Come può aiutarli quando egli non condivide lo stesso sistema di valori?” (Cep).
– Anzitutto, l’operatore pastorale deve possedere una formazione bioetica sufficiente;
– la sua preparazione deve permettergli di cercare punti di convergenza tra culture e valutazioni diverse;
– si tratta di essere fedeli alla propria posizione etica, rispettando quella degli altri. E da qui intavolare dialoghi di incontro in modo che “alla luce della Parola e del comportamento di Gesù l’operatore può percepire chiaramente quali sono le esigenze etiche fondamentali su cui basare il suo compito di illuminare, educare e consigliare eticamente” (Cep).
Collaborare all’umanizzazione dell’assistenza sanitaria
“Gli ospedali hanno cessato di essere umanitari per i malati e per il personale che lavora in essi” (Cep). Questo veniva scritto già 25 anni fa e oggi continua ad essere vero in molti nostri ospedali. Per questa ragione è grandemente necessaria un’opera di umanizzazione da parte di tutti gli agenti sanitari. L’operatore pastorale, a maggior ragione, è chiamato a prestare un servizio di umanizzazione, necessario e impegnato. In quali aspetti?
“Considerare il malato una persona che soffre nel corpo e nello spirito e che deve essere accudita nella sua totalità, vale a dire, in tutte le sue dimensioni e necessità.
Chi è malato ha bisogno di essere amato e riconosciuto, ascoltato e compreso, accompagnato e non abbandonato, aiutato e mai umiliato; di sentirsi utile, essere rispettato e protetto; ha bisogno di trovare un significato a ciò che gli avviene” (Cep).
È uno dei campi della pastorale nell’ospedale in cui sono necessari in modo speciale maggiore convinzione e coraggio per mostrare e sviluppare un’opera evangelica. Non si può fare da soli, ma attraverso un lavoro di équipe, cercando anche di accompagnare i professionisti sanitari “affinché le istituzioni siano a servizio dei malati” e non il contrario. Perciò, l’operatore pastorale deve “collaborare all’umanizzazione, svolgendo con umanità e competenza la sue funzioni” (Cep). E naturalmente, deve soprattutto collaborare all’umanizzazione “stando più vicino a coloro che maggiormente soffrono gli effetti della disumanizzazione: i malati più bisognosi e abbandonati dell’ospedale (moribondi, soli e lasciati a se stessi, anziani, disabili, famigliari, ecc), condividendo i loro limiti e la loro impotenza, offrendo loro un gesto pieno di amore e di misericordia, creando e promovendo vincoli di solidarietà affettiva ed effettiva attorno ad essi” (Cep).
Inoltre, è necessaria la dimensione profetica dell’operatore pastorale in una duplice direzione:
a) svolgendo un’opera di informazione e di consulenza “facendo conoscere i diritti e i doveri alla persona malata, rispettandoli, lavorando perché siano rispettati in ospedale, difendendoli, incoraggiando e sostenendo i malati e i famigliari perché facciano valere i loro diritti e doveri” (Cep);
b) e, dall’altra parte, aiutando il malato a sentirsi “responsabile e protagonista della sua salute, della sua cura e della sua vita e soggetto di diritti e doveri; fare attenzione alla famiglia e affidamento sulla sua collaborazione nella cura del malato” (Cep).
Idoneità dell’operatore pastorale della salute
Una persona è idonea quando riunisce in sé le condizioni necessarie per svolgere un compito in maniera competente. Non si tratta quindi solo della capacità di operare in modo funzionale.
Un operatore della pastorale della salute manifesta la sua idoneità quando è consapevole di partecipare alla missione della Chiesa, compiendo il ministero che gli è stato affidato e agendo in maniera competente in corresponsabilità con tutta la Chiesa.
Solo così possiamo comprendere e identificare bene l’operatore della pastorale della salute. Ciascuno, secondo il ministero che gli viene affidato nella Chiesa, deve assumere le condizioni che favoriscono un servizio migliore ed essere coerente con esse.
a) Il vescovo, padre e pastore
Il vescovo è il principale operatore e responsabile della pastorale della salute nella sua diocesi. Assumendo “l’obbligo di promuovere e dirigere la pastorale di tutta la diocesi, deve manifestare un’attenzione speciale verso i più poveri e abbandonati” (Rituale dell’unzione degli infermi, 57).
I malati gravi e nella fase terminale sono i più poveri tra i poveri. Perdono il bene della vita che per il loro stato non torneranno più a recuperare. Il vescovo manifesterà la sua idoneità nella missione nel:
– visitare i malati in ospedale personalmente e non solo delegando ad altri questo dovere;
– inviare nei centri ospedalieri le persone che ritiene più idonee a prestare l’assistenza religiosa;
– sostenerle e incoraggiandole nell’adempimento della missione che ha loro affidato e aver cura della loro formazione;
– promuovere la pastorale sanitaria nella diocesi, creando gli organismi necessari a questo scopo (Cep).
b) Il cappellano presbitero
Normalmente l’operatore pastorale più inserito nella vita dell’ospedale è il cappellano. In quanto presbitero e pastore ha una missione ampia e impegnativa. Egli manifesterà la sua idoneità nell’esercizio della sua missione:
come pastore, inviato dal vescovo, deve assistere a aver cura dei malati, mostrando in maniera tangibile la misericordia del Signore;
– accogliendo, comprendendo e accompagnando soprattutto i più deboli per la loro gravità, solitudine, ecc. “Deve assistere con tutta la sollecitudine i malati e agonizzanti, visitandoli e confortandoli nel Signore” (PO 6);
– essendo nell’ospedale uno strumento di riconciliazione fraterna, cercando di conciliare nelle situazioni di conflitto;
– capace di essere strumento di comunione reale nella costruzione dell’équipe pastorale e agendo sempre come tramite di unità.
Come responsabile della celebrazione dei sacramenti, facendo in modo che l’incontro del Signore con il malato, attraverso il Perdono, l’Eucaristia e dell’Unzione sia preparato nel modo migliore possibile e diventi un incontro salvifico per il malato in questo momento concreto della sua fragilità.
Il Rituale dell’Unzione degli infermi, negli orientamenti pastorali dice: “Per questo sarà necessario rivedere una pastorale esclusivamente “sacramentalista”, ridotta all’impegno di far accettare i sacramenti, e una pastorale esclusivamente orientata alla “buona morte” che per i malati avrebbe solo l’effetto di vedere il sacerdote quale messaggero della morte” (Rituale,59).
Ciò significa che i nostri vescovi devono considerare il ruolo del cappellano in maniera molto più ampia nel modo di seguire e accompagnare i malati, specialmente coloro che ne hanno maggiormente bisogno.
E i sacramenti saranno meglio celebrati quando si aiuta il malato, sempre che si possa, ad avere stima del sacramento e a considerarlo come un incontro con il Signore che viene in aiuto alla nostra debolezza.
Come servo della Parola, applicandola alle circostanze concrete della vita dell’ospedale:
– formandosi costantemente con lo studio e la riflessione sulla Parola e la bioetica teologica;
– partecipando negli ambiti dell’ospedale dove si riflette sui conflitti circa la salute, comitati, giornate, incontri di umanizzazione della medicina ecc.;
– incoraggiando e rimanendo disponibili a una relazione di aiuto con i professionisti sanitari. Anch’essi hanno bisogno di sostegno e di stimolo;
– favorendo tra i professionisti sanitari i Movimenti di Chiesa che li possano aiutare a costituire gruppi di riflessione...
I religiosi e le religiose
Operatori di pastorale sono anche coloro che curano i malati in nome della Chiesa, come testimoni della compassione e della tenerezza del Signore, che è il carisma proprio dei religiosi quando sono presenti e lavorano in ospedale. Bisogna riconoscere che la maggior parte delle nostre “persone idonee” sono state scelte tra i religiosi/e consacrati/e. «Servendo gli infermi (il religioso/a) vive la sua consacrazione e la sua sequela radicale di Cristo. La sua necessaria abilitazione e competenza, la sua dedizione senza riserva al malato, il suo impegno e la lotta per la difesa dei diritti del medesimo, ecc. sono un veicolo per esprimere l’amore di Cristo» (Cep).
Il laico volontario
Un altro gruppo di operatori pastorali della salute è costituito da quei laici cristiani che per solidarietà con il malato si prestano ad accompagnarlo volontariamente. Le forme di volontariato specializzato si sono moltiplicate.
Ma non è la stessa cosa accompagnare un malato di tumore o uno malato di Parkinson o di Alzheimer ... Accompagnare richiede un previo e importante impegno di preparazione. Queste persone sono chiamate anche a svolgere una missione in quanto battezzati: essere testimoni dell’amore di Dio nell’ospedale.
“Sentendosi solidale con i malati (il laico volontario) presta in maniera disinteressata il suo aiuto, con il suo impegno, il suo sapere e soprattutto con la sua umanità, amicizia e il suo affetto. Può prestare diversi servizi, complementari gli uni, specifici e insostituibili gli altri: visitare e accompagnare il malato e la sua famiglia, portare la comunione, collaborare con le attività di animazione ospedaliera, ecc.”.(Cep)
Il malato
Infine, ma non per ultimo, stanno i malati. Essi possono sintonizzarsi meglio di altri con i loro compagni di sofferenza. Il malato credente mostra la sua partecipazione alla missione della Chiesa «come testimone vivente di Cristo, che soffre, lotta, accetta i suoi limiti, prega, si preoccupa, incoraggia e aiuta gli altri infermi, sa ringraziare per quello che riceve dagli altri, aiuta a “relativizzare” valori e forme di vita della nostra società e ci invita ad essere realisti, ricordandoci che siamo limitati e fragili ma con energie insospettabili » (Cep).
Impegno ecclesiale e pastorale della salute
Nell’attenzione all’infermo, la Chiesa si gioca la sua credibilità. Per Gesù evangelizzare e assistere i malati fa parte della sua stessa missione. Per questo abbiamo compreso che la missione di accompagnare e assistere i malati è prioritaria per la Chiesa. “Nei suoi gesti terapeutici e nel suo impegno, la Chiesa si gioca nel campo della salute la sua credibilità. Lavorando in comunione, gli operatori pastorali esprimono la totalità della vicinanza terapeutica del buon samaritano, che mentre cura annuncia la buona notizia del Padre” (Celam).
La comunità ecclesiale deve imparare a progettarsi nel nome di Gesù, per realizzare il suo progetto su questa terra, seguendo i suoi passi e i suoi gesti.
La comunità cristiana è il prolungamento storico di Cristo. Il malato deve trovare in essa il luogo privilegiato che aveva in Gesù: la sua stessa preferenza, vicinanza e accoglienza, il medesimo tratto rispettoso e tenero, la sua forza risanatrice” (Celam).
Una Chiesa che vive l’Amore, anche con una seria iniziativa comunitaria
L’attività programmatica della Chiesa è centrata in “un cuore che vede”. È l’espressione di Benedetto XVI quando cerca di riflettere sull’esercizio dell’amore che non solo deve esercitarsi individualmente, ma anche come “iniziativa comunitaria”, in maniera organizzata.
«Il programma del cristiano – il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù – è “un cuore che vede”. Questo cuore vede dove c'è bisogno di amore e agisce di conseguenza. Ovviamente quando l’attività caritativa è assunta dalla Chiesa come iniziativa comunitaria, alla spontaneità del singolo deve aggiungersi anche la programmazione, la previdenza, la collaborazione con altre istituzioni simili» (Benedetto X VI). Enciclica Deus caritas est, 31b).
Quale pastorale?
Questo si traduce in una pastorale che umanizza ed evangelizza, promovendo l’accoglienza e la difesa dei più deboli. “È una pastorale umanizzatrice ed evangelizzatrice che rende presente i gesti e le parole di Gesù misericordioso e infonde consolazione e speranza a quanti soffrono; una pastorale che annuncia il Dio della vita e promuove la giustizia e la difesa dei diritti dei più deboli, dei malati; che impegna tutta la comunità cristiana in un lavoro organizzato e strutturato nel contesto di una pastorale d’insieme”. (Celam).
Quale umanizzazione evangelizza?
Evangelizzazione che umanizza e umanizzazione che evangelizza le relazioni umane, soprattutto nel contesto dell’infermità e della salute.
L’umanizzazione ci porta ad affermare che “essere” con il malato può essere più importante del “fare”. Stare con l’altro significa ascoltarlo, accoglierlo con le sue preoccupazioni, speranze, difficoltà, la sua storia, le sue paure, le sue angustie; stabilire con lui una relazione da pari a pari, centrata sulla persona, riaffermando la sua dignità e grandezza. Si tratta di non girare al largo davanti alle situazioni che vivono il malato e la sua famiglia; offrire un’assistenza integrale che soddisfi alle sue necessità sul piano fisico, emozionale, intellettuale, sociale e spirituale, e non solo nella sua dimensione patologica (Celam).
Quale pastorale della salute?
Pertanto, la pastorale della salute deve essere azione di tutto il popolo di Dio, nel suo impegno verso “la vita”. “La pastorale della salute è l’azione evangelizzatrice di tutto il popolo di Dio, impegnato nel promuovere, curare, difendere e celebrare la vita, rendendo presente la missione liberatrice e salvifica di Gesù nel mondo della salute” (Celam).
Gli operatori della Pastorale della salute devono formarsi, come ogni professionista sanitario per promuovere seriamente la vita del malato.
E per portare a termine oggi questa “azione evangelizzatrice” bisogna prendere sul serio la formazione degli operatori pastorali. “Formare gli operatori della pastorale della salute sotto l’aspetto umano, etico, bioetico, pastorale e spirituale per annunciare la Buona Novella della salvezza nelle realtà della salute e della malattia, della vita e della morte” (Celam).
Nel mondo della salute la Chiesa non può assumere altro modello che quello del servizio e della comunione.
L’impegno della Chiesa nella sua missione evangelizzatrice passa attraverso un modello di servizio e di comunione, di servizio ai più deboli, in cui sono accolti tutti per quello che sono e si apprezza ciò che ciascuno può dare. “Un modello di servizio, di diaconia che la Chiesa è chiamata a esprimere oggi nel mondo della salute, come segno del Regno, è la comunione ecclesiale che tende al pieno inserimento del malato nella comunità e nella famiglia, così come quella dell’anziano, della persona con capacità diverse, quella del debole e vulnerabile che sono accolti per quello che sono, senza barriere né pregiudizi, apprezzando il contributo originale che possono dare” (Celam).
La Chiesa abbraccia anche la dimensione ecumenica
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Tutto questo ci porta alla conclusione che nella Nuova Evangelizzazione siamo tutti coinvolti e perciò dobbiamo includere anche la dimensiona ecumenica come compito evangelizzatore obbligatorio.
La pastorale della salute ha molto da offrire ai diversi campi della pastorale e, nello stesso tempo, riceve con vero piacere la ricchezza che questi le apportano secondo la propria specificità. La nuova evangelizzazione richiede la partecipazione di tutti i battezzati, secondo i diversi campi della pastorale, compresa una relazione fraterna con altre Chiese e con organismi e movimenti che lavorano nel mondo della salute, allo scolpo di rendere realtà il messaggio di Gesù: “Sono venuto perché abbiano la vita e e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).