Dall'Osto Antonio
Verso nuove mutue relazioni
2017/1, p. 18
Il principio che regge l’aggiornamento in corso del documento Mutuae relationes ha il suo fondamento nell’ecclesiologia di comunione. I principi irrinunciabili da tenere presenti, gli atteggiamenti da assumere, le aree di collaborazione e i dinamismi che la facilitano.

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Discussa la prima bozza
VERSO NUOVE
MUTUE RELAZIONI
Il principio che regge l’aggiornamento in corso del documento Mutuae relationes ha il suo fondamento nell’ecclesiologia di comunione. I principi irrinunciabili da tenere presenti, gli atteggiamenti da assumere, le aree di collaborazione e i dinamismi che la facilitano.
L’attuale documento Mutuae relationes da riformare, risale al 1978. Ma già nel sinodo dei vescovi del 1994 era stato proposto un aggiornamento, tuttavia solo da poco più di due anni il papa Francesco ha dato mandato formale di rivederlo e riformularlo. Durante il mese di gennaio 2017 in una Plenaria interdicasteriale verrà discussa una bozza e ci sarà anche un’importante novità perché è previsto che nel futuro documento si tratti delle mutue relazioni tra i pastori e la vita consacrata nel suo insieme, uomini e donne.
Ma prima di domandarci come sarà il nuovo documento, è opportuno soffermarci a descrivere brevemente come si presenta la situazione attuale e chiederci quali sono i principi irrinunciabili da cui partire.
Ne ha parlato diffusamente mons. Carballo, segretario della CIVCSVA, in un articolato intervento alla XXIII Assemblea della Confer spagnola del novembre scorso da cui attingiamo queste informazioni.
Elementi positivi
e negativi
In uno sguardo alla situazione attuale, mons. Carballo ha sottolineato gli elementi positivi presenti e le difficoltà o elementi negativi che tuttora persistono. Tra gli aspetti positivi si riscontrano, ha detto, la gratitudine, la riconoscenza e la stima da parte dei vescovi e di tutto il popolo di Dio per la presenza e l’opera dei consacrati nelle chiese particolari e la loro tristezza quando, per varie ragioni, questa viene meno; l’impulso missionario “indiscutibile” tanto da poter dire che nonostante la crisi vocazionale, sono i religiosi coloro che continuano ad offrire il loro aiuto alle chiese nelle terre di missione; la vicinanza dei religiosi/e ai poveri nel senso che essi sono i primi, anzi gli unici, ad andare nelle periferie materiali e spirituali di cui tanto parla papa Francesco; la ricchezza e la varietà dei loro carismi che costituiscono un dono immenso dell’amore di Dio alla sua Chiesa; la fantasia della carità che si manifesta soprattutto nelle opere apostoliche (parrocchie rette dai religiosi, assistenza spirituale, opere assistenziali....); inoltre la grandissima stima per la vita contemplativa femminile e dei monasteri, definiti dei veri polmoni spirituali delle diocesi, vere oasi dello spirito.
Tra gli elementi negativi invece mons. Carballo ha segnalato: la diminuzione delle vocazioni, l’invecchiamento del personale e l’atomizzazione delle comunità; il rischio del secolarismo e dell’imborghesimento; il persistere di una visione funzionale della vita consacrata: i religiosi rimproverano ai vescovi di misconoscere la visione profetica della vita consacrata, di non rispettare i carismi e di considerare i religiosi per quello che fanno anziché per quello che sono. Un altro punto negativo: il poco dialogo tra le due parti: «i religiosi dicono che i vescovi chiedono il dialogo ma poi non lo offrono mai», mentre «i vescovi ribattono che è difficile dialogare con i religiosi».
Altre difficoltà sono: la destinazione delle case dei religiosi; i vescovi «lamentano che essi pensano solo al profitto economico senza tener conto delle necessità delle diocesi» e i religiosi, da parte loro, rispondono che i vescovi «vogliono solo appropriarsi gratuitamente dei loro beni, ignorando le necessità degli Istituti»; l’abbandono delle periferie: i vescovi criticano i religiosi perché abbandonano le zone povere e abbandonate per concentrarsi nelle grandi città. Infine la sfida della formazione che rappresenta un altro argomento di conflitto poiché, secondo i vescovi, alcuni istituti preferiscono portare i loro formandi in Europa, con il rischio frequente di non tornare più nei luoghi di origine o di essere sradicati dalla loro cultura.
Concludendo queste osservazioni, mons. Carballo ha però confermato: «Dire che tutto va bene sarebbe una grossa esagerazione; dire che tutto va male sarebbe altrettanto esagerato».
Principi da ritenere
irrinunciabili
È chiaro, come insegna la teologia e la visione dell’ecclesiologia sviluppata a partire dal concilio Vaticano II, sostiene mons. Carballo, che le diverse forme di vita nella Chiesa non possono né devono essere dei compartimenti chiusi in se stessi, ma rimanere in correlazione e complementarietà... in sinergia e comunione. Ci sono pertanto dei principi irrinunciabili da tenere presenti. Anzitutto la giusta relazione tra l’universale e il particolare. Come aveva già ricordato Benedetto XVI, «nelle mutue e sane relazioni, se si vuole che siano veramente feconde, i religiosi devono tenere conto delle esigenze pastorali della Chiesa, mentre i vescovi non possono ignorare o fare a meno della specificità carismatica dei religiosi e del loro servizio alla chiesa universale». Non ci deve essere pertanto «né assorbimento né isolamento, ma comunione».
Un secondo principio è l’equilibrato rapporto tra esenzione e giusta autonomia». È il terreno su cui si riscontra la maggior parte dei conflitti per mancanza, da parte dei vescovi, del rispetto della giusta autonomia o esenzione dei religiosi, o per una cattiva interpretazione, da parte di questi ultimi, della giusta autonomia o esenzione.
Il terzo principio, è l’esigenza di partire da una ecclesiologia di comunione, da cui deriva «la necessità di camminare in apertura reciproca, comunicazione, disponibilità e cooperazione». Di qui un quarto principio: la co-essenzialità dei doni gerarchici e carismatici; un tema questo ampiamente sviluppato nel documento della Congregazione della dottrina della fede Juvenescit Ecclesia dove si legge: «La distribuzione dei doni gerarchici risale alla pienezza del sacramento dell’ordine episcopale, che si esercita in comunione gerarchica con il capo e i membri del Collegio. I doni carismatici, derivanti dall’unico Spirito il quale fa di tutta la Chiesa e di ciascuno dei suoi membri un suo tempio, sono da lui distribuiti liberamente affinché la grazia del sacramento porti i suoi frutti per la vita cristiana in modi diversi e in tutti i suoi livelli». Perciò, sottolinea mons. Carballo, «la gerarchia non può accogliere i doni carismatici, nel nostro caso la vita consacrata, come un male minore o un male necessario, ma con gioia e gratitudine per promuoverli con generosità e accompagnarli con paterna vigilanza». Di conseguenza, «le relazioni tra i doni gerarchici e carismatici non possono essere vissute nel confronto o nella giustapposizione dando origine all’opposizione tra Chiesa istituzionale e Chiesa carismatica».
Infine, occorre partire da una Chiesa dalle molte sfaccettature, nel senso che «unica è la missione e multiformi le sue espressioni concrete».
Guardando
al futuro
Se si guarda ora al futuro delle mutuae relationes, al di là di tutto quello che si può dire, sostiene mons. Carballo, tre sono gli atteggiamenti da affermare: l’incontro, il dialogo e il rispetto. «Incontro tra pastori e il resto del popolo di Dio, christifideles laici, consacrati e presbiteri; un incontro non semplicemente formale, ma fraterno, da fratello a fratello», In secondo luogo, «un dialogo in cui ciascuno degli interlocutori si lascia toccare, attraversare dalla parola dell’altro». Infine il rispetto «anzitutto come persone che possiedono una dignità che deriva loro da Dio; rispetto della missione che ciascuno ha ricevuto all’interno del popolo di Dio. Tutti formiamo un solo corpo e nessun membro può dire all’altro “non ho bisogno di te” (1Cor 12,21), ma non tutti abbiamo la stessa missione, perché uno solo è il capo, Cristo (cf. Rm 12,4-5).
«Non è facile assumere cordialmente questi atteggiamenti, afferma mons. Carballo, e non è nemmeno facile assumere i principi indicati come indispensabili. Ma dobbiamo dire che senza questi atteggiamenti e principi non si può parlare di mutuae relationes». In altre parole, è indispensabile una «formazione adeguata sia dei vescovi sia dei religiosi, così che gli uni e gli altri acquisiscano una chiara visione dell’ecclesiologia del Vaticano II e, quindi, del posto che ciascuno occupa nella Chiesa, della missione e del posto che spetta al vescovo in quanto padre e pastore della Chiesa particolare». Ma anche i religiosi «sono chiamati a conoscere la teologia della chiesa particolare e il posto che in essa occupa il vescovo che non è un semplice coordinatore, ma “padre e pastore”, il grande promotore della comunione e dell’articolazione dei carismi e dei ministeri nella chiesa particolare, ben consapevoli che cattolicità, universalità e solidarietà sono in relazione tra loro nel ministero del vescovo».
Dinamismi
di comunione
Se si vuole che la comunione sia effettiva e non solo affettiva, e si desidera dare consistenza alla Chiesa come casa di comunione per la missione, è necessario attivare alcuni dinamismi appropriati. Anzitutto la preghiera e la riconciliazione: «La Chiesa è eucaristia in cui la benedizione di Dio, la riconciliazione, l’ascolto della Parola, il rinnovamento dell’alleanza, l’azione di grazie e la disponibilità per la missione ci inducono a migliorare le nostre relazioni». In secondo luogo, il dialogo. Il documento Vita consecrata parla di un dialogo “aperto e cordiale tra vescovi e superiori dei diversi istituti e anche di un “dialogo costante dei superiori e delle superiore con i vescovi”. E in Pastores gregis, al vescovo viene chiesto di esercitare “evangelicamente la sua autorità, di saper dialogare con i suoi collaboratori e con i fedeli per fare crescere efficacemente la reciproca intesa” (19).
Altri dinamismi importanti sono: la conoscenza e la stima reciproca, fattori indispensabili per entrare fiduciosamente in dialogo; la partecipazione e la corresponsabilità, il cui fondamento risiede nella partecipazione dei laici al triplice ufficio di Cristo, vissuta nella comunione e fatta crescere, al cui servizio si pongono le diverse funzioni complementari e i carismi. «La comunione operativa tra i diversi carismi garantirà, oltre a un arricchimento reciproco, un’efficacia più incisiva nella missione». È tuttavia importante che «questa partecipazione e collaborazione sia strutturata e sistematica».
Le diverse aree
di collaborazione
Sono diverse le aree e gli ambiti in cui concretizzare e rendere effettiva la collaborazione. Anzitutto l’area della spiritualità: «da una spiritualità robusta sorgono testimoni, profeti, apostoli e martiri come nella comunità di Gerusalemme». In secondo luogo, quella della formazione che, «vista alla luce dell’ecclesiologia di comunione organica, e quindi in base alla diversità e complementarietà delle vocazioni, predispone alla collaborazione e a camminare in armonia. Quando c’è una buona formazione teologica, pastorale e spirituale, aumenta la capacità di apprezzare il differente e si favorisce la comprensione reciproca».
Inoltre, la collaborazione nell’area del governo, sia negli istituti sia da parte dei vescovi. Ciò implica la cura delle persone affinché esse vivano la loro vocazione e offrano alle chiese particolari la ricchezza dei carismi del proprio istituto e del loro ministero. E ancora, la cura particolare della vita fraterna in comunità. La CIVCSVA e Vita consecrata chiedono di rivalorizzare la vita comunitaria. Perciò, «accettare, in via eccezionale, casi di religiosi e religiose che vivono da soli per ragioni gravi o servizi missionari speciali, non è mai un ideale. Deve essere invece normale che la vita e l’apostolato promanino dalla comunità».
Un’ulteriore area di collaborazione riguarda i progetti pastorali. Bisogna avere un’attenzione speciale ad evitare i parallelismi, che sono inutili, per non dire contrari alla spirito di comunione e delle mutue e sane relazioni.
«Nelle programmazioni è opportuno che siano presenti in maniera istituzionalizzata, e non solo a titolo personale o incarico di circostanza, i superiori maggiori o i loro delegati. Quando si è cercato di segnalare insieme priorità, obiettivi e mezzi c’è maggiore implicazione».
Esistono anche dei problemi concreti dolorosi, sia per i vescovi, sia per i superiori maggiori, dovuti a volte a dichiarazioni, scritti, interventi, comportamenti in contrasto con il senso ecclesiale... Ma non sono tanto i casi di disobbedienza a preoccupare, bensì l’individualismo che porta a vivere e ad agire in maniera indipendente. È un fenomeno che si presenta spesso come errata affermazione dei valori personali e che logora chiunque esercita il servizio dell’autorità (cf. VC 43).
«Un campo privilegiato di collaborazione è anche quello della pastorale vocazionale «in cui dovrebbero essere coinvolti tutti i membri della comunità, ciascuno secondo il proprio ufficio, sotto la direzione dei vescovi».
Un altro ambito riguarda la revisione delle presenze, dei servizi e l’innovazione pastorale. Le nuove fondazioni, le soppressioni delle opere e l’innovazione pastorale, afferma mons. Carballo, costituiscono frequente motivo di discordia. La riorganizzazione delle opere sarà creativa e fonte di indicazioni profetiche se c’è la preoccupazione di lanciare segnali di nuove forme di presenza, anche se di numero modesto, per rispondere ai nuovi bisogni, soprattutto a quelli presenti nei luoghi più abbandonati e dimenticati. Per quanto riguarda, infine, l’innovazione evangelizzatrice e pastorale, deve valere il principio: «a nuove sfide, nuove risposte pastorali, ma non isolatamente, bensì a partire dalla pastorale d’insieme».
«Il documento Mutuae relationes del 1987, conclude mons. Carballo, ha dato i suoi frutti. Sono stati copiosi i risultati raggiunti nella convivenza e nella pastorale in seguito alla sua pubblicazione. Tuttavia, nelle chiese particolari continuano a manifestarsi distanze, contrarietà e conflitti. Che cosa sta succedendo? Dobbiamo essere realisti e accettare gli elementi oggettivi che ostacolano le buone relazioni. Da un lato c’è la diversità dei doni, frutto dell’azione dello Spirito, che comporta tensione...; dall’altro, bisogna pensare che i conflitti sono inerenti alla stessa vita umana che è piena di limiti e di incompatibilità, da cui non sono da escludere l’egoismo e il peccato... La grande sfida che abbiamo davanti nel millennio che comincia consiste nel fare della Chiesa una casa e scuola della comunione, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle profonde speranze del mondo. Ciò che oggi è in gioco non sono le competenze, né gli incarichi dei membri della Chiesa, ma l’annuncio del Vangelo del Regno che implica testimonianza, comunione e servizio... Il nostro tempo chiede unità non divisione, riconciliazione non litigio. È necessario oggi più che mai coniugare, in tutti i casi, voci e tempi, espressioni come armonia, sinergia e ascolto dello Spirito, ricerca e apprendimento sincero, dialogo umile, comunione organica, rispetto della diversità e della libertà dello Spirito, interdipendenza coordinata, maturità ecclesiale, riferimento reciproco. Il nostro è tempo di “conversione”, di vita evangelica, di agire in maniera responsabile secondo la grazia e il ministero ricevuti per annunciare il vangelo di Gesù Cristo... e di promuovere una spiritualità di comunione “perché il mondo creda” (cf. Gv 17,21).
A.D.