Prezzi Lorenzo
Vangelo, Diritto e vissuto cristiano
2019/4, p. 27
Il card. Francesco Coccopalmerio, già presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi affronta alcune domande intriganti: è necessario il diritto nella Chiesa? Quale rapporto fra diritto e Vangelo? I canoni e la misericordia? I cristiani e l’ecologia?

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Testimoni
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Intervista al card. Coccopalmerio (1° parte)
VANGELO, DIRITTO
E VISSUTO CRISTIANO
Il card. Francesco Coccopalmerio, già presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi affronta alcune domande intriganti: è necessario il diritto nella Chiesa? Quale rapporto fra diritto e Vangelo? I canoni e la misericordia? I cristiani e l’ecologia?
- Da quasi un anno (6 marzo 2018) lei è – diciamo – in pensione dal suo impegno istituzionale che era quello di presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi. Chissà quante volte, nel suo pluriennale servizio, ha dovuto rispondere al significato del diritto nella Chiesa. Sarebbe possibile per la Chiesa fare a meno del diritto? Infine il codice è uno strumento abbastanza recente…
«Per dare una risposta che risulti soddisfacente alla domanda particolarmente intrigante, sarebbe necessario spiegare a lungo cosa è il diritto o, più precisamente, cosa è il diritto della Chiesa o, più precisamente ancora, cosa è il diritto della Chiesa cattolica (o diritto canonico, perché formulato in canoni). Ma dare una descrizione del diritto considerando tutti gli elementi di questa complessa realtà, sarebbe cosa impossibile, almeno in questa sede. Mi limito a indicare un aspetto, peraltro abbastanza elementare: il diritto è da intendersi come una norma di vita, come una regola di comportamento (canone, appunto, significa regola). Il diritto della Chiesa cattolica, cioè il diritto canonico, dovrebbe essere inteso come norma di vita, come regola di azione per il fedele cristiano, per il discepolo di Gesù, nella particolare, concreta condizione di membro della Chiesa cattolica. Mi rendo conto di semplificare al massimo, però è solo per tentare di farmi capire. Dunque, mi chiedo: io, che sono un fedele cristiano, che sono un discepolo di Gesù, come devo vivere, come devo comportarmi, quali devono essere le mie scelte di valore. Ora, se il diritto della Chiesa è norma di azione per il fedele discepolo di Gesù, il diritto deve dare la risposta al mio interrogativo. Deve indicarmi la strada per andare nella direzione giusta e poter arrivare alla meta. È allora possibile fare a meno del diritto? Posta la plausibilità di quanto detto, si impone evidentemente una risposta negativa».
Non solo Codice
– Ma dove trova il diritto come regola di azione, come indicatore della strada? Nel codice di diritto canonico?
«Riprendo la domanda da cui siamo partiti. Essa suonava così: sarebbe possibile per la Chiesa fare a meno del diritto? E subito si continuava: infine il codice è uno strumento abbastanza recente. Dunque, si faceva spontaneamente una identificazione tra il diritto e il codice. Sembra, in altre parole, che il codice di diritto canonico e quindi il legislatore canonico sia il creatore del diritto e tutto il diritto si trovi nel codice e solo nel codice in quanto opera del legislatore canonico. Ora, deve essere chiaro: il diritto della Chiesa si trova certamente nel codice di diritto canonico, ma non solo lì».
Dove allora?
«Lo si trova, certamente, in tutto il magistero della Chiesa, che è testimone e interprete in modo autentico della ormai bimillenaria tradizione. Ma lo si trova soprattutto nel Vangelo e nell’intera Sacra Scrittura. Il codice e il legislatore canonico non sono certamente creatori del diritto della Chiesa e unico luogo di tale diritto».
– E, allora, il codice che valore ha?
«Il discorso sul codice, e sulla codificazione, è complesso e non possiamo certamente affrontarlo in questa sede. Dico solo, con la massima semplificazione, che un codice è importante, perché è utile, nel senso che indica ai fedeli cristiani, anche ai più semplici, in un prospetto chiaro e unitario, la identità del discepolo di Gesù e le sue norme di vita. Però, a questo punto, mi viene spontanea una critica, direi radicale e pesante, al codice di diritto canonico, come oggi concepito».
Mt 25 e i canoni che mancano
– In che consiste? Lo dica apertamente.
«Volentieri, anche se con un certo imbarazzo. Abbiamo detto che il codice dovrebbe offrire un prospetto dell’identità del fedele cristiano e delle norme di vita cristiane. Di fatto, almeno una parte, del codice oggi vigente è dedicata a questo. Si possono vedere i cann. 204 ss., che hanno come titolo: “I fedeli cristiani”. “Obblighi e diritti di tutti i fedeli”, “Obblighi e diritti dei fedeli laici”. Però – come detto – le norme di vita del fedele devono essere cercate anche e soprattutto nel Vangelo o in tutta la Sacra Scrittura, nella tradizione e nel magistero della Chiesa. E, a questo punto, faccio un’operazione particolare: dapprima leggo i canoni appena sopra citati e poi apro il Vangelo dove trovo la straordinaria pagina di Matteo 25,31-46.
Gesù stesso, legislatore divino, nella previsione grandiosa e tragica del giudizio alla fine dei tempi, istruisce e ammonisce i suoi discepoli: Ci sono persone – avverte Gesù – che sono prive di beni personali: il cibo, la bevanda, l’abitazione, il vestito, la salute, la libertà. Pertanto queste persone hanno la necessità vitale, cioè hanno il diritto, di ricevere il conferimento dei beni predetti. E di conseguenza i discepoli di Gesù hanno la necessità vitale, cioè hanno il dovere, di conferire i beni stessi. E notiamo con meraviglia che nel misterioso testo Gesù stesso si identifica con la persona dei vari bisognosi, così che il dovere di conferire loro i vari beni diventa un dovere verso Gesù.
I diritti e i doveri contenuti nel brano di Mt 25 sono stati in seguito recensiti e, direi, codificati, dalla riflessione orante dei fedeli e dallo stesso magistero della Chiesa, nelle quattordici opere di misericordia, divise al contempo in sette corporali e sette spirituali: dar da mangiare agli affamati…Certamente si tratta di doveri fondamentali dei discepoli di Gesù. Tanto è vero che di opere di misericordia parla, con una certa ampiezza, il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2447.
Se, a questo punto, dopo aver rivisitato l’eccezionale brano evangelico, ritorniamo all’elenco del codice dei doveri fondamentali dei fedeli e cerchiamo in particolare quelli relativi alle opere di carità verso i bisognosi, vi troviamo il can. 222, §2, che così afferma: “ (I fedeli) sono anche tenuti all’obbligo di promuovere la giustizia sociale, come pure, memori del comandamento del Signore, di soccorrere i poveri”».
Le opere di misericordia
– Se il legislatore canonico afferma in questo testo che è un comandamento del Signore quello di soccorrere i poveri, ciò equivale a riconoscere che egli ha attinto questo dato dalla Sacra Scrittura e nel nostro caso soprattutto da Mt 25, 31-46. Dunque il dettato del codice risponde in questo caso al testo del Vangelo di Matteo.
«Per certi aspetti sì, per altri proprio no. E, in effetti, se ritorniamo alla espressione del can. 222, § 2: “ tenuti all’obbligo… memori del comandamento del Signore, di soccorrere i poveri”, rimaniamo, a dir poco, stupiti o quasi increduli di fronte alla avarizia del testo codiciale. Dov’è finita la enorme ricchezza, cristologica ed ecclesiologica, del brano di Matteo? Dove è finito il molteplice e variegato dovere di dare da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, da abitare ai forestieri, da vestire ai nudi…E soprattutto servendo in loro la persona di Gesù stesso?
Tutto, nel codice, viene compendiato, cioè ridotto e reso incomprensibile, nella vacua espressione: “soccorrere i poveri” (pauperibus subveniendi). Espressione vacua nel senso di vuota, cioè, priva del ricchissimo contenuto evangelico che abbiamo sopra richiamato. Le parole del canone potrebbero esprimere, questa volta in modo adeguato, il dovere di un adepto in una comunità umano-filantropica, ma sono assolutamente insufficienti e perciò del tutto inefficaci per esprimere il dovere del fedele cristiano, del seguace di Gesù.
Orbene tali doveri dovrebbero essere contenuti nel codice di diritto canonico , nei cann. 204 ss. È appunto da lì che tutti dovrebbero conoscere quali sono i diritti e quali sono i doveri dei fedeli cristiani, dei discepoli di Gesù. E i doveri potrebbero, con felice formulazione, essere espressi con le opere di misericordia. Dobbiamo rilevare con schiettezza che il codice di diritto canonico, nel nostro particolare caso, non si dimostra all’altezza del suo importantissimo servizio. Non meravigliamoci poi della apatia o della antipatia di tanta parte dei fedeli nei confronti del diritto canonico, o di questo diritto canonico, insieme con il codice che lo contiene.
– E, allora, per quale motivo il codice di diritto canonico non ha fatto quello che lei indicava?
«Precisando la sua domanda, è spontaneo chiederci per quale motivo non abbia recensito le opere di misericordia e quindi non abbia trasformato le opere di misericordia in appositi canoni. Non possiamo accettare una risposta peraltro ricorrente, però del tutto superficiale e per tale ragione sbrigativa, la quale consiste nel ritenere che certi comportamenti dei fedeli, come le opere di misericordia, siano doveri non giuridici, bensì morali. Il che non è vero, almeno per due motivi. Il primo è che le opere di misericordia sono già qualificate dallo stesso legislatore canonico come doveri giuridici nelle laconiche, però inequivocabili, espressioni del can. 222,§2: “tenuti all’obbligo…di soccorrere i poveri”. Il secondo chiaro motivo è che le opere di misericordia sono comportamenti interpersonali, tra una persona che ha il diritto di ricevere un certo bene e una persona che ha il dovere di conferire il bene in questione. Come sarebbe concepibile negare a tali comportamenti la qualifica di doveri giuridici? Ripeto che tale qualifica è già data dallo stesso legislatore canonico nelle citate espressioni : “tenuti all’obbligo… di soccorrere i poveri”».
Il giudice e il confessore
– Però qualcuno potrebbe insistere facendo notare che i comportamenti in oggetto, appunto le opere di misericordia, non sono sanzionabili da parte di un giudice ecclesiastico, né in giudizio contenzioso né in giudizio penale. Come, in effetti, sarebbe possibile citare un fedele di fronte al giudice ecclesiastico accusandolo, per esempio, di non aver dato da mangiare a un affamato oppure di non aver visitato gli ammalati o i carcerati?
«Questo intelligente obiettore dimenticherebbe però che nella Chiesa e quindi nell’ordinamento canonico esiste non soltanto il giudice di foro esterno, bensì nello stesso tempo il giudice di foro interno, in altre parole, il confessore. Ora, in foro interno il confessore può sanzionare con le sue autorevoli ammonizioni certi comportamenti dei fedeli indicandone il dovere anche grave. E la infrazione di un dovere grave significa peccato grave, cui consegue latae sententiae la pena della esclusione dal sacramento dell’Eucaristia. Tutto quanto abbiamo considerato, dovrebbe convincere il legislatore canonico a uscire dalle strette del can. 222,§2 e inserire nel codice le opere di misericordia come doveri fondamentali di tutti i christifideles.
E vogliamo aggiungere, per dire schiettamente la verità, che non si riesce a capire perché si sia instaurata e perché tuttora permanga una dualità di documenti della Chiesa come, da una parte, il Codice di diritto canonico e, dall’altra, il Catechismo della Chiesa cattolica, entrambi per indicare ai fedeli la loro identità, i loro diritti e i loro doveri. Non sarebbe più comprensibile che ci fosse a tale riguardo un solo documento ecclesiale? A meno di pensare che il codice di diritto canonico potrebbe contenere i diritti e i doveri dei fedeli, mentre, in aggiunta, il catechismo della Chiesa cattolica potrebbe offrire una esplicitazione, appunto catechistica, di tali realtà».
a cura di Lorenzo Prezzi