Il DRAMMA DI BETLEMME
UN MURO CHE UCCIDE LA SPERANZA
Che cosa sta succedendo realmente a Betlemme?����� Ho chiesto alle suore elisabettine, che operano all�interno del Baby Hospital di Betlemme, di poter pubblicare alcuni stralci dell�ultimo resoconto che mi hanno inviato a fine novembre 2003.
Secondo quanto ci viene riportato dai mass-media l�unico problema sembra essere quello del muro che circonder� l�intera citt� chiudendo i suoi abitanti in una vera prigione. Ma c�� ben di pi�!
�Dal Baby Hospital, situato in un punto strategico di Betlemme, presso la tomba di Rachele, al confine tra Israele e Palestina, abbiamo di giorno in giorno la sensazione del lento cambiamento e della strana atmosfera che sta assumendo la citt�. Alcune famiglie rimarranno intrappolate all�interno di un complesso percorso del muro stesso, in totale isolamento, private della possibilit� di accedere ai normali servizi dei cittadini senza il permesso di Israele�. Non � questo un modo per costringere queste famiglie a lasciare Betlemme?
�Davanti al nostro ospedale tra le colline straziate dalle ruspe, sulla terra confiscata ai betlemiti, scorre il filo spinato percorso dalla corrente elettrica e corredato da telecamere, sensori a infrarossi e allarmi: dovrebbe impedire qualsiasi tentativo di avvicinarsi all�insediamento ebraico Abu Ghneim, costruito su terra palestinese.
Una superstrada � gi� in costruzione: sar� una strada riservata a Israele, su terra palestinese, su terra di Betlemme. L�abitazione di Samiha, nostra vicina, insegnante nella scuola per infermiere al Baby Hospital, rischia presto di essere spazzata via per cedere il posto a questa superstrada�.
Perch� nessuno protesta, si ribella? A quanto pare viene usata la tattica della non informazione e la gente si trova gli avvisi di esproprio affissi sul tronco dei loro ulivi.
Quello che � pi� assurdo � il fatto che la manodopera per la costruzione del muro � costituita dagli stessi palestinesi. Per la maggior parte di loro � l�unico modo di trovare lavoro: quei poveri lavoratori hanno una famiglia da sfamare!
I numerosi posti di controllo (i famigerati check points) impediscono alla popolazione di muoversi liberamente da un villaggio all�altro perfino all�interno dello stesso territorio palestinese: le normali relazioni sociali e familiari si spezzano; gli agricoltori non possono raggiungere i loro campi e i loro raccolti: le olive cariche di olio prezioso rimangono a marcire.
L�8 novembre 2003 i cittadini di Betlemme cos� si rivolgevano alle organizzazioni internazionali:
�... Ci viene impedito di raccogliere le olive e di raggiungere la nostra terra per coltivarla e per raccogliere i frutti: questo � il primo passo verso la confisca, il che aumenter� la povert� e i disagi di cui stiamo soffrendo ormai da lungo tempo: restrizioni, continui blocchi e chiusure dei territori palestinesi e divieto di raggiungere il posto di lavoro in altre citt�, causando cos� un drastico aumento della disoccupazione ... Noi vi chiediamo di impedire ad Israele di attuare il suo brutale, espansionistico progetto di annettere la zona della tomba di Rachele e le terre circostanti e di chiudere l�entrata principale della nostra citt� che collega Betlemme con Gerusalemme, soffocando la nostra citt� e impedendo il flusso dei pellegrini e dei turisti in Betlemme�.
Chi ascolter� i loro appelli? Il mondo che �conta� sembra non appoggiare le loro lotte; l�Europa e le organizzazioni umanitarie, continuando a mantenerli e ad assicurare loro cibo e medicine, ne fanno dei mendicanti per sempre. Quale futuro ci pu� essere per questa gente?
Molte famiglie di Betlemme ormai se ne sono andate: se ne vanno negli Stati Uniti, o in Canada, o in Svezia, stremate da anni senza lavoro e senza dignit�. �Sumeya, infermiera del nostro ospedale, mamma forte e dolce, orgogliosa dei suoi tre bellissimi bambini, si trova ormai quasi da sola a portare avanti la sua famiglia: il marito � andato all�estero a cercare lavoro per non morire di depressione, i suoi genitori e due suoi fratelli sono da tempo emigrati. Sulla sua terra di famiglia, una terra preziosa, piena di olivi e di viti, si presentarono un giorno alcuni soldati israeliani ordinando di sospendere qualsiasi attivit�. A nulla valsero tutte le dimostrazioni di propriet�.
Il mondo non si rende conto che sotto la violenza palestinese c�� la rabbia per essere privati della propria terra e della libert� giorno dopo giorno.
Il trattamento umiliante del check point non viene risparmiato a nessuno, nemmeno alle suore, anche se non sono palestinesi.
�� sufficiente venire dalla direzione di Betlemme per essere sospettati di terrorismo. Spesso siamo costrette ad aspettare anche un�ora e mezza, e pi� (e sotto il sole cocente nei mesi caldi), in fila prima di poter varcare il confine che ci apre la strada per Gerusalemme. Possiamo avvicinarci solo quando i soldati ce lo consentono con un gesto del braccio o con la pila se � buio. Al minimo gesto di impazienza ce la fanno pagare, costringendoci ad aspettare ancora di pi�. Qualche metro pi� lontano da noi vediamo una fila di giovani con la faccia al muro e le braccia alzate: sono coloro che tentano di uscire da Betlemme per andare a cercare lavoro, ma per uscire ci vuole uno speciale permesso di Israele, e Israele lo d� solo a pochissimi palestinesi di et� matura�.
Quei giovani sono solo colpevoli di voler andare a guadagnarsi il pane, dopo ore di fermo sotto il sole e sotto la minaccia dei fucili.
Fr. Ibrahim Faltas ofm, direttore della Scuola di Terra Santa a Betlemme, in occasione del Natale 2003 ci ha invitati a non dimenticare il nome di Betlemme. L�Europa, il mondo e l�Italia dovrebbero, insieme agli aiuti economici, che spesso generano dipendenza, veicolare con assoluta urgenza alla Palestina i valori della libert�, della democrazia e dello sviluppo ed essere oppositori della violenza del terrorismo e della violenza dell�occupazione. I mass-media informano il mondo solo sulle morti violente, che qui sono sempre numerose, ma non sulla quotidianit� che si vive a Betlemme, ugualmente portatrice di morte, perch� uccide la speranza nei giovani, il senso di appartenenza all�umanit� e la dignit� dell�uomo che deriva dal lavoro.
Questo � un piccolo spaccato della realt� di Betlemme, per fare riflettere e per porre degli interrogativi al mondo di oggi, con la speranza di costruire ponti invece di muri e di riprendere in modo ancora pi� diffuso i pellegrinaggi in Terra Santa... a Betlemme, affinch� Betlemme possa ritornare ad essere �casa del pane�.
sr. Gabriella Mian