La speranza cristiana

La fede nel progresso

Spesso si ritiene che tutti i problemi dell’uomo potranno essere risolti grazie all’intervento della scienza e della tecnica: questa è la fede nel progresso. Tuttavia si tratta di una speranza ingenua perché la scienza e la tecnica non possono risolvere tutti i problemi dell’uomo.
Definire che cosa sia il progresso non è facile: alcuni ritengono che esso sia identificabile con la vittoria della scienza e della tecnica sulla natura. Non si tratta di una vittoria definitiva, ma di piccole e progressive battaglie che vengono assicurate all’umanità ogni volta che i ricercatori scoprono un farmaco per debellare una malattia, una nuova tecnica chirurgica, il modo per consentire a una persona di vivere più a lungo. Innegabilmente questo è progresso, ma la vera vittoria, cioè non morire, non sta nelle nostre possibilità, poiché gli uomini sono creature e dunque caratterizzati dalla finitudine. Alcuni studiosi ritengono che l’uomo da solo abbia la possibilità di migliorarsi, mentre altri ritengono che il progresso possa avvenire definitivamente con la vittoria del proletariato. Altri credono che il progresso coincida col benessere economico. È ciò che molti pensano quando le borse vanno bene.

Cristo, il vero progresso

Il cristiano tuttavia non si accontenta di tutto ciò, ma vuole di più: oltre a pensare che l’uomo sia un essere che progetta il suo futuro, che ricerca un modo per sconfiggere i mali che lo assillano, che lotta per migliorarsi e per migliorare le condizioni di vita sue e degli altri uomini, egli pensa che il progresso non derivi esclusivamente dalla sua azione, ma sia qualcosa che gli è donato da qualcuno che gli viene incontro: Gesù Cristo. Il cristiano sa che il suo essere inserito in Cristo non è qualcosa che riguarda solo il presente, ma anche il futuro, un futuro però che già oggi dà qualcosa all’uomo: questa per il cristiano non è un’utopia.

La speranza cristiana

Il cristiano non ignora la gravità della morte, evento che lo aiuta a riflettere sul fatto che la sua vita non è illimitata e che è necessario dargli un orientamento. Il cristiano sperimenta come tutti il dolore della perdita dei propri cari e si pone il problema della propria morte, tuttavia prova serenità perché ha una speranza incrollabile (Prima lettera ai Tessalonicesi 17; Lettera agli Ebrei 2,15; 5,7) di percorrere la stessa via intrapresa dal Cristo che per primo è risorto dai morti. Il cristiano inoltre interpreta la morte come il giorno della nascita.
La speranza più grande dei cristiani è di essere per sempre col Signore (Prima lettera ai Tessalonicesi 4,13-14). Infatti il bene più grande desiderato è proprio questo. I cristiani sono in questo diversi da chi non crede, perché costoro non hanno la speranza di avere una vita con Dio dopo la morte.
La speranza nel futuro per il cristiano non è un’idea e non coincide neppure con un progetto pensato da un uomo, ma è Gesù stesso, è una persona. Gesù infatti con le sue parole con i segni compiuti, con l’esempio della sua vita, con la morte e soprattutto con la risurrezione offre agli uomini un nuovo modo per sperare.

La risurrezione

Al centro dell’esperienza di Cristo sta la risurrezione. Si tratta di un fatto e non di un mito o di un simbolo. È un fatto disomogeneo nella storia perché prima non si erano verificate risurrezioni (quelle operate da Gesù sono su persone che sono tornate a morire) e dopo non ne abbiamo altri esempi. La risurrezione va oltre i desideri degli uomini che al massimo potevano ambire a una sopravvivenza dopo la morte o una rianimazione (per poi tornare a morire).

Non un placebo

La speranza cristiana non è l’ingenuo ottimismo di chi è portato a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e che, solo a fatica, scorge ciò che manca; essa non mette in dubbio i motivi per cui l’uomo può essere sconsolato, ma combatte ogni forma di rassegnazione consapevole che sulla terra l’uomo non raggiungerà mai la pienezza desiderata.
Non è nemmeno un’evasione dalle proprie responsabilità terrene, anzi ha una chiara funzione profetica e intende cambiare la storia. Perciò la speranza cristiana non ha nulla a che vedere con la consolazione rassicurante che invoca chi si sente disperato soprattutto davanti alla possibilità concreta o temuta della morte. La speranza cristiana è fede che spera in un futuro che non vede, ma che è fondata perché si basa su una promessa di Dio che è sempre fedele.

Il giudizio finale

Oggi si fa fatica a credere che, alla fine della propria vita, Dio possa giudicare l’uomo. Molti infatti pensano che l’immagine di Dio misericordioso cozzi contro quella del Dio giudice. Per questo si preferisce pensare che alla fine ci sarà una specie di amnistia o di perdono generalizzato perché Dio non può condannare. Nella fede cristiana non ci sono dubbi che alla fine Dio giudicherà: Dio prende sul serio l’umanità e perciò giudica le sue scelte. Secondo la fede cristiana, il giudizio da parte di Dio sarà un evento serio che non avrà un unico esito: vi saranno coloro che saranno ammessi alla visione beatifica e coloro che ne saranno esclusi. Il brano del Vangelo di Matteo 25,31-46 esprime questo concetto ponendo persino una divisone spaziale tra buoni e cattivi. Tra coloro che saranno ammessi ci sarà un’ulteriore divisione tra chi avrà necessità di una purificazione e chi sarà direttamente ammesso alla visione di Dio e dunque entrerà in paradiso. I primi, bisognosi di un’ulteriore purificazione, saranno ammessi al purgatorio.
Il purgatorio non è un inferno mitigato, non è un luogo o un tempo (un periodo), ma è un evento in cui la misericordia di Dio si esprime in chi non è ancora completamente puro. Il purgatorio tiene in conto la giustizia di Dio che non può tenere presso di sé chi non è ancora perfetto. Cristo nel giudizio farà emergere ciò che l’uomo è stato, la sua verità, ma può essere che in quell’uomo ci sia ancora qualcosa che deve essere aiutato a completarsi, a perfezionarsi, a purificarsi.
L’inferno è una situazione definitiva e può essere considerato il fallimento di tutto il progetto di salvezza. Dio prende sul serio e rispetta la libertà dell’uomo. Anche se è una speranza di salvezza che fallisce, l’estremo rispetto che Dio ha per gli uomini lo porta a non volere essere in rapporto con l’uomo se non nella libertà. È per questo motivo che l’apocatastasi non è possibile: Dio non può obbligare nessuno ad amarlo e a stare con lui se non lo sceglie liberamente e personalmente.
L’Inferno è uno dei possibili esiti del giudizio di Dio. Tuttavia non sta all’uomo dire se l’inferno sia o no abitato e da chi. La Chiesa non dice chi c’è all’inferno, ma invece si esprime sulla canonizzazione dei Santi offrendoli come modelli.
Secondo la fede cristiana Gesù, il Salvatore, sarà giudice dei vivi e dei morti. Egli giudicherà tutti i popoli (Matteo 25,32) e ciascun uomo secondo il criterio della legge dell’Amore.
Perciò non sarà sufficiente aver creduto in Gesù Cristo e averlo amato e accolto a livello teorico, ma sarà necessario averlo riconosciuto, amato e accolto nei fratelli, soprattutto i più piccoli che devono essere aiutati nelle loro necessità proprio come fossero Gesù. È dunque la carità fraterna che manifesta nella vita di tutti i giorni l’amore che si porta al Cristo.

Non sarà un processo

Il giudizio non deve essere immaginato come un processo in cui avviene un’indagine, una discussione, una difesa. Si tratterà invece di una presa d’atto delle scelte operate dalla persona. In altre parole si tratta dell’incontro della persona con Cristo. Nel nostro linguaggio questo giudizio, che è unico, può essere formulato come particolare e universale per sottolineare due realtà distinte. Il giudizio particolare metterà in luce la verità sulla persona, mentre il giudizio universale, alla fine dei tempi, sarà l’incontro con Cristo di tutto il cosmo. Sarà questo il momento in cui tutto si potrà vedere nella propria realtà e libertà. L’uomo non sarà giudicato due volte: non ci saranno per dirla in altro modo, due gradi di giudizio. L’incontro con Cristo sarà unico, ma quest’unico evento può essere scrutato da due punti di vista diversi: al momento della morte della persona e quando tutto il creato, alla fine dei tempi, entrerà con Cristo nella gloria e sarà ricapitolato in Cristo.
Quando si parla di giudizio, abbiamo in mente qualcosa di esterno che qualcuno pronuncia dopo un dibattimento. Di qui sorge il timore per la sentenza che Cristo potrà pronunciare sull’uomo. Questo giudizio invece può essere pensato come un momento in cui saranno svelate le decisioni prese dall’uomo nella sua vita.
Certamente questo incontro con Cristo sarà un momento di verità sulla persona, ma non un’occasione terribile e paurosa. Non sarà un giudizio che raggiunge la persona dall’esterno, ma un giudizio interno. Quello sarà il momento in cui la persona potrà finalmente specchiarsi nel volto del Cristo e lì, come in uno specchio, scoprirà la verità su se stesso.
L’obiettivo del giudizio sarà quello di far entrare gli uomini nella parusia e nella risurrezione. Tuttavia ciò non significa che la misericordia prevarrà sulla giustizia perché il male non potrà essere tollerato da Dio.
Il momento successivo al giudizio è la risurrezione e a quest’evento accederanno tutti gli uomini (Prima lettera ai Corinzi 15,14-18). Il cristiano può sperare dopo la morte di incontrare Cristo e la risurrezione può essere definita come il modo con cui gli uomini possono vivere eternamente in Dio.
Poiché i cristiani sono morti, sepolti, risorti con lui nel Battesimo, Cristo è per i cristiani risurrezione già oggi, in questa vita attuale, anche se quest’unione è destinata a compiersi perfettamente solo dopo la morte. La morte deve essere considerata come la fine del pellegrinaggio umano, la pasqua, il passaggio, il salto da questo stato di vita all’altro in cui potrà finalmente vivere col Cristo. Non si tratta di una cosa diversa da quella che il cristiano vive ogni giorno, ma è la realizzazione piena di ciò che l’uomo può vivere sin da oggi nel sacramento del battesimo.

La risurrezione del corpo

Sarebbe più semplice credere soltanto alla sopravvivenza dell’anima dopo la morte: la risurrezione è chiaramente un di più insperato e che l’uomo non sa spiegare più di tanto. In realtà non dovette essere semplice per gli apostoli parlare di risurrezione. I discepoli di Emmaus, pur incontrando Gesù, non lo riconobbero perché il suo corpo era diverso da quello che essi ricordavano. Gesù passa attraverso i muri, chiede di non essere toccato, ma mangia con i discepoli.
Il Nuovo Testamento parla della risurrezione «dei morti» che oggi viene tradotto con «dei corpi».
Paolo, nella Prima lettera ai Corinzi 15, dice che a risorgere sarà un corpo glorificato, celeste, immortale, «spirituale» e lo contrappone a quello che gli uomini hanno in vita: però non si tratterà di un’altra persona perché altrimenti non saremmo più noi. Ciò che risorgerà sarà il nostro modo di essere, il modo di rapportarci agli altri, non gli atomi di cui siamo composti.
Nella risurrezione sarà portato a compimento tutto ciò che l’uomo è: non sarà un semplice ricongiungimento dell’anima e del corpo, ma una vera trasfigurazione di ciò che l’uomo è stato durante la vita terrena.
All’interno della Bibbia non ci sono passi favorevoli alla REINCARNAZIONE, anzi, alcuni sono decisamente contrari (Secondo libro di Samuele 12,23; Salmo 78,39; Seconda lettera ai Corinzi 5,1; Lettera agli Ebrei 9,27-28). A un esame più attento, questa teoria non appare neppure desiderabile giacché distrugge l’unità del corpo e dell’anima. Infatti il corpo è ridotto a essere un vestito che si può smettere quando logoro. Ma così come io non sono solo il mio corpo, neppure si può dire che io sia soltanto la mia anima. L’uomo è un insieme indissolubile di anima e di corpo. Non si può confondere la reincarnazione con la risurrezione. La reincarnazione pretende di essere un semplice mutare di corpo che contraddice il valore dei nostri atti e dei fatti che avvengono nella vita che sono tutti definitivi. Anche la morte lo è.
La reincarnazione non porta l’uomo alla vita con Cristo, ma semplicemente propone un prolungamento quasi senza fine di questa vita terrena.