L’economia

Umanità ed economia

In campo sociale l’economia è lo sforzo messo in atto dal singolo, dal piccolo gruppo umano e dalla grande economia degli Stati per soddisfare i bisogni materiali della persona umana. Oggi sappiamo che i fini dell’economia non possono essere conseguiti a qualsiasi costo, ma devono essere raggiunti in modo sicuro e sostenibile. Parlando di economia in questo contesto facciamo riferimento anche alla produzione, alla distribuzione e al consumo di beni e servizi.
I cristiani sono chiamati a umanizzare anche il mondo del business. Poiché le materie prime non sono illimitate è necessario organizzare i processi economici in cui le risorse vengano utilizzate secondo un criterio di razionalità e di efficienza. Tuttavia è bene ricordare che l’economia deve essere posta in rapporto al benessere dell’uomo e che deve essere rispettata e promossa la dignità della persona (cf. Gaudium et spes, 63).
Sin dall’antichità l’economia è stata un modo per tessere relazioni tra uomini e gruppi umani. Ciò che un tempo avveniva con grande fatica, nell’era della globalizzazione diventa sempre più semplice. A partire dalla fine della Guerra Fredda e con l’abbattimento delle frontiere sono state migliorate le infrastrutture che consentono il trasporto delle merci e abbiamo assistito alla rivoluzione digitale.

Globalizzazione e delocalizzazione

Questi cambiamenti epocali hanno causato la delocalizzazione e provocato lo spostamento della produzione in luoghi in cui è possibile trovare lavoratori sottopagati. L’apertura di nuovi mercati, ha generato rapidi flussi di denaro. Questo insieme complesso di relazioni ha modificato anche il concetto di appartenenza: molti uomini e donne emigrano tentando di realizzare il loro sogno. Per tutti esistono migliori opportunità per conoscere il mondo e le informazioni viaggiano su sistemi molto più veloci anche se difficilmente potremmo ritenerle del tutto libere (cf. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa 361). La globalizzazione è un fenomeno sociale e culturale che non deve essere per forza temuto o osteggiato: in molte persone suscita speranze di riuscire a ottenere un miglioramento sensibile nel proprio stile di vita. Certamente dobbiamo fare i conti con fenomeni che destano preoccupazioni. Tra queste manifestazioni inquietanti possiamo inserire l’inasprimento delle disuguaglianze, lo sfruttamento dei poveri e la perdita di identità culturale (cf. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa 362-366).

La Chiesa e lo sviluppo economico

La Chiesa non si oppone allo sviluppo economico, anzi ne formula un parere positivo. Desiderio della Chiesa è che si giunga a vivere una realtà in cui le persone possano vivere in modo dignitoso, ma soprattutto che le masse dei diseredati della terra non debbano più temere la povertà. A questo risultato si potrà giungere soltanto se le decisioni saranno assunte non dal solito sparuto gruppo di chi detiene il potere, ma da tutti coloro che significativamente possono avere capacità e formazione. Tutti gli uomini dovrebbero essere coinvolti nel miglioramento dei processi di produzione e distribuzione (cf. Gaudium et spes 63 e 65; Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa 373-374).

Il lavoro

La riflessione sul lavoro è stata oggetto in passato di ideologie che nutrivano la pretesa di guidare la storia. Oggi occorre ricordare la drammaticità con cui è vissuta la realtà del lavoro ed essere consapevoli che è sempre più urgente giungere a una comprensione davvero umana. Accettare di affrontare il problema leggendolo unicamente come contrapposizione capitale/lavoro, come suggeriva il liberalismo, non è possibile. Del resto non è neppure accettabile affidare questo argomento nelle mani degli economisti: molto spesso essi pensano che il lavoro debba essere considerato un fattore di ottimizzazione per consentire lo sviluppo del sistema economico.
Nella morale sociale è necessario esaminare la dignità del lavoratore in quanto tale. Poiché il lavoratore è una persona si può parlare di dignità del lavoro e si può sostenere che il lavoro appartiene di diritto alla vocazione dell’uomo il quale si esprime e si realizza anche nella dimensione lavorativa. Qualsiasi attività deve tendere alla realizzazione dell’umanità.
Esiste il rischio concreto che anche oggi si cada nell’errore compiuto dal primitivo capitalismo selvaggio e si continui a concepire il lavoro come una merce e l’uomo come un ingranaggio del processo di produzione. In questo modo l’uomo sarebbe trattato come un semplice strumento e gli sarebbe negata la dignità personale. Nell’attività lavorativa, invece, l’uomo entra in relazione con se stesso, con gli altri, con l’ambiente che lo circonda. Per questo l’economia non può prescindere dal discorso etico. È necessario aiutare le persone a opporsi ai complessi fenomeni di sfruttamento dei lavoratori. Altra faccia del fenomeno è l’alienazione umana sperimentata nei Paesi sviluppati. Una società solidale e giusta modella il proprio agire avendo come riferimento il comandamento dell’amore nel suo duplice impegno verso Dio e verso il prossimo. Ogni volta che l’amore viene dimenticato o negato si dimentica o si danneggia, spesso in modo irreparabile, la dignità dell’uomo.

Lo sviluppo non può prescindere dall’etica

Le azioni non etiche nel lungo periodo si rivelano anche economicamente svantaggiose e dunque finiscono per causare piuttosto un decremento nella crescita (cf. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa 330-333). L’incremento della ricchezza può essere considerato moralmente giusto quando non è appannaggio di pochi fortunati. La ricchezza per essere un valore deve essere gestita e indirizzata allo sviluppo globale e solidale di tutti. Quando si parla di sviluppo, infatti, non si deve immediatamente pensare all’aumento dei consumi o alla crescita economica. Dal punto di vista cristiano, i temi della famiglia, dell’educazione, della salute ne fanno parte. Il modello di sviluppo basato sul consumo delle merci come prospettiva umana per raggiungere la felicità, in realtà, non è solo la manifestazione di una profonda povertà morale, ma è anche lo specchio del disastro sociale in cui versa la nostra società (cf. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa 334).

La gioia del Vangelo

L’esortazione apostolica di papa Francesco dal titolo Evangelii gaudium (2013), che significa la gioia del Vangelo, contiene molti aspetti che fanno riferimento alla Dottrina Sociale della Chiesa. Il primo elemento da chiarire è che il gaudio di cui parla il pontefice non è un generico sentimento psicologico. La gioia a cui papa Francesco fa riferimento è quella della persona rinata perché ha incontrato la salvezza. Inoltre, la fede in Gesù getta una luce particolare sulla vita, personale, familiare, comunitaria e perciò anche sociale.
L’atteggiamento della Chiesa deve essere prima di tutto propositivo: la denuncia delle miserie in cui versa la nostra società deve essere preceduto dall’annuncio del Vangelo il quale ha qualcosa da dire sulle realtà create ordinandole in modo corretto a Dio. Ma prima ancora deve essere annunciata l’esistenza del progetto d’amore di Dio per l’uomo che deve riempire di gioia il suo cuore. Poiché il cristiano dovrebbe tendere ad amare gli altri imitando il movimento espansivo dell’amore di Dio, la gioia che entra nel suo cuore alla scoperta di questo progetto di salvezza dovrebbe spingerlo a uscire verso gli altri affinché la gioia della persona rinata possa essere partecipata a tutti.
La legge nuova dell’amore illumina la prospettiva dei temi presenti nei capitoli II e IV, dove papa Francesco afferma che l’annuncio di Cristo deve essere visibile all’esterno e avere una ripercussione comunitaria: dunque non c’è discontinuità tra la confessione della fede e l’impegno sociale. Non si tratta soltanto di interessarsi dell’inclusione sociale dei poveri, ossia della base di una corretta politica sociale perché la scelta preferenziale per i poveri deve diventare la prospettiva stessa del nostro vivere civile: per questo esiste infatti la comunità politica.
Papa Francesco parla anche di pace sociale. Eppure proprio questo tipo di concordia è messo a repentaglio dalle disuguaglianze e dalla precarietà del lavoro. Chi rimane senza un reddito decoroso per vivere dignitosamente entra in una situazione conflittuale che logora le relazioni umane a partire da quelle familiari e parentali: le famiglie si disgregano e i cittadini e i gruppi sociali sono messi gli uni contro gli altri. Unico rimedio è porre al centro delle dinamiche sociali la dignità e gli interessi della persona che è il solo autentico bene comune.