Sessualità, amore e procreazione

Il corpo e il virtuale: relazioni nel cyberspazio

Avere un corpo significa essere in relazione con lo spazio e con il tempo. Il corpo viene concepito in un altro corpo e necessita di un tempo per formarsi, crescere, maturare, nascere. Oggi non c’è più bisogno di un corpo per essere concepiti e dunque si può fare a meno dello spazio naturale. Anche il tempo subisce fenomeni di deformazione quando un embrione viene crioconservato per essere forse, non si sa né quando né in chi, impiantato.
Ciò di cui tutti facciamo esperienza è la dimensione del cyberspazio, quella realtà che cancella lo spazio e azzera il tempo. Io posso chattare con i miei amici a Roma, in Congo, in Brasile, in Argentina in tempo reale e ho così l’impressione che essi siano più vicini a me dei miei vicini di pianerottolo. Con tutto ciò nel cyberspazio si possono assumere identità diverse, modificarle. Ciò che è importante ribadire è che la globalità delle esperienze non coincide con la loro pienezza. Per tornare all’esempio di prima, certamente è comodo sapere notizie fresche di giornata dei miei amici, ma l’esperienza completa riesco ad averla solo quando finalmente posso abbracciarli e stringerli e perdere tempo con loro a raccontare di tutto e di niente.

L’uomo e il corpo

Poiché è ovvio che non esiste essere umano senza un corpo, possiamo dire che l’uomo è il suo corpo. Questa affermazione può essere pericolosa solo per chi, avendo perso ogni riferimento al trascendente, vive una dimensione puramente terrena assolutizzando il proprio corpo. I sintomi li possiamo trovare nella cura eccessiva del corpo, nella ricerca di una giovinezza innaturale, della bellezza e dell’efficienza. Tutto ciò che è possibile espiantare e sostituire viene rimosso e rimpiazzato. Al nostro corpo non risparmiamo ritmi frenetici, diete dimagranti ossessive e così finiamo per essere identificati con ciò che nessun uomo può nascondere, ossia il proprio corpo. D’altro canto il corpo così assolutizzato viene svilito finendo per giustificare uccisioni, violenze, violazioni, commerci di organi. Avere un corpo non è la stessa cosa che possedere un cellulare. Per chiarire questo concetto ci viene in aiuto Edmund Husserl il quale parla di «corpo vivente», distinguendo Körper (il corpo fisico composto da organi) da Leib (corpo vivente, quello che sta davanti agli altri, e che quindi è visibile e compie esperienze). È il Leib che ci permette di entrare in relazione con le cose. Quando parlate tra voi, vi sarà capitato di identificare qualche vostro amico/a con il suo corpo, come fa la medicina che studia il Körper. È bene non dimenticare che quel corpo è di qualcuno, non è un semplice oggetto. Possiamo sperimentare l’oggettività e la soggettività quando facciamo riferimento a una parte del nostro corpo: quando osserviamo la nostra mano possiamo costatarne l’oggettività, ma se abbiamo freddo alla mano facciamo un’esperienza soggettiva, con il nostro io. Inoltre, se le nostre mani si toccano, fanno l’una esperienza dell’altra.

Il corpo per entrare in relazione

Senza il nostro corpo non possiamo compiere nessuna esperienza e non possiamo esprimerci. Il nostro corpo esprime chi siamo anche inconsciamente. Inoltre, se vogliamo entrare in relazione con gli altri, dobbiamo farlo attraverso il corpo. Quando riconoscete un vostro amico gli permettete di entrare in relazione con voi e ciò consente a lui di percepirsi come persona. Ma voi sapete bene che la relazione, non svela tutto ciò che uno e l’altro siete, perché rimane sempre qualcosa di indecifrabile: il pudore infatti protegge l’intimità più profonda. Tuttavia, se invece di pensare al vostro amico come a un Leib lo considerate solo come un Körper, allora non potrete comprendere un bel niente di lui oltre a ciò che è materialmente visibile: ma questo non ha niente a che fare con l’amicizia.

Modelli di sessualità

Non per tutte le persone provi le stesse emozioni e spesso succede che i sentimenti nei confronti di una persona mutino nel tempo. Così dopo un primo momento di simpatia o di innamoramento si giunge a un periodo di stanchezza, o addirittura di odio nei confronti di chi prima ti aveva fatto battere il cuore. I sentimenti mutano sempre e ci si deve educare per far crescere e non soffocare la nostra vita interiore. I sentimenti, quando sono rivolti verso una persona del sesso a te complementare, hanno a che fare con la sessualità.
Per parlare di sessualità occorre sensibilità e rispetto: non è semplice perché occorre tener presenti emozioni, sentimenti, decisioni da assumere, fatti biologici, ma anche usanze, tradizioni e fatti culturali. Parlare di sesso in Italia oggi non è la stessa che farlo in Afghanistan: le trasformazioni culturali incidono anche sulla visione della sessualità.
Nel corso del tempo si sono sviluppati diversi modi di intendere e vivere la sessualità. Di seguito proviamo a ragionare su tre modelli. Tuttavia ti invito a tener presente che, anche se si sono formati nella storia, essi sono validi ancora oggi.

Modello romantico

Tra il Settecento e Ottocento irrompe il modello romantico con l’idea che la sessualità sia collegata al sentimento, un’esperienza che accade all’improvviso e che non si può prevedere e controllare. Di questa esperienza la fase più importante è l’innamoramento. Oggi sono molti a credere che i sentimenti tra un uomo e una donna coincidano con l’amore. Film, romanzi, telenovelas, fotoromanzi hanno del tutto estromesso il necessario impegno della libertà. Tuttavia questa parte così sentimentale fatta di batticuori si scontra con la realtà di tutti i giorni. La spontaneità sembra essere incompatibile con la libertà e la responsabilità. Siamo così imbevuti da questo modello, quello che ci fa pensare che «ai sentimenti non si comanda», che spesso riteniamo sia meglio avere molte esperienze per poter trovare l’amore vero, quello con la A maiuscola. Tuttavia, viste le premesse, è impossibile trovare un amore di questo tipo, poiché esso richiede che il sentimento ad un certo punto sia supportato da una scelta che affini i sentimenti interiorizzandoli.

Modello istintuale

Secondo il modello istintuale e un diffuso senso comune ciò che è importante non è il bene, ma «lo stare bene». Il bene di cui si parla non è il bene morale, ma un vago benessere psicofisico che coincide con il massimo del piacere. È ciò a cui ci riferiamo quando parliamo di «sentirci realizzati». Dunque, in questo quadro, l’istinto è un impulso che deve essere sempre gratificato e mai represso perché in caso contrario l’individuo può star male. Poiché l’istinto è simile ad un’energia che si accumula, la persona con cui si ha una relazione si deve assoggettare alle necessità di sfogo, che voglia o che non voglia, che ci sia o che non ci sia amore. In questo modo si perde l’apertura all’altro nel dono di sé, e si procede verso la deresponsabilizzazione. Se all’istinto unite il sentimento, ne ottenete che entrambi devono essere relegati nell’ambito privato e diventano un puro esercizio egoistico. Certamente l’istinto è importante perché è apertura all’altro, ma i valori spirituali della persona non devono essere semplicemente affiancati ai suoi bisogni pulsionali. Il rischio è quello di perdere completamente il senso dell’uomo.

Modello illuministico

Secondo il modello illuministico, la norma sociale con le sue regole e le norme di comportamento è una convenzione che serve per regolare la convivenza tra persone, ma che non ha un vero valore morale. Ciò che sta alla base di ogni scelta è la ragione che agisce avendo come obiettivo la ricerca dell’autonomia. Perciò, poiché la moralità è un fatto puramente privato ci si deve ribellare a ogni autorità che abbia l’intenzione di limitare il proprio modo di vivere.
In una società pluralistica sono presenti modelli di etica diversi tra loro, ma ciò non può significare che la morale debba essere qualcosa di arbitrario. Il consenso a cui una società pluralistica deve tendere deve essere qualcosa di valido in sé. In questo caso non si tratta di valori su cui ci possiamo mettere d’accordo, ma realtà che riconosciamo come imprescindibili all’interno di un rapporto uomo-donna.

Amare per realizzarsi come persone

Il corpo deve essere considerato il luogo in cui si manifesta la vocazione dell’uomo alla comunione. Esso serve per comunicare ciò che siamo agli altri e per trasmettere la vita facendo conoscere la nostra apertura, attraverso il linguaggio dell’amore. Anche l’istinto e le pulsioni sono importanti, ma non sono un assoluto né possono comandare l’uomo: hanno bisogno di essere incanalate verso il bene. La sessualità allora non potrà essere considerata una pulsione, ma il luogo in cui la persona realizza quei valori che ritiene decisivi per la morale umana.
La sessualità evolve. Poiché l’uomo deve tendere ad amare in modo sempre più perfetto, potrò dire che l’amore è tanto più buono quanto più realizza la mia persona.
Certamente stiamo qui parlando di quell’amore che fa sì che tanto più amo tanto più cresco come persona, maturando, trasformandomi.
La sessualità si impara e ha valori da realizzare (capacità di comunicazione, apertura alla vita). Ciò è possibile se si fa riferimento a un progetto etico a cui possiamo dare il nome di amore: tutto ciò si attua nella libertà o non si attua.
Tutta la persona è interessata a questa crescita così che non sarà possibile donarsi agli altri nella sessualità se non si conosce se stessi. Ma camminare in questo tipo di educazione significa anche saper accettare rinunce e sacrifici come esperienze umanizzanti.
All’interno di questa educazione si impara che l’altro non è una cosa, una merce di scambio o l’oggetto delle mie pulsioni ma è complementare a me, maschio o femmina. Considerata dal solo punto di vista biologico, la sessualità serve alla procreazione: tuttavia, dal punto di vista umano ed etico, essa rende esplicita la maturità della persona, la sua apertura all’altro, alla vita e la sua capacità di vivere l’amore. Ed è proprio l’amore a essere l’aspetto umano della sessualità.

Parliamo di fecondità

Quando si parla di fecondità facciamo immediatamente riferimento o alla nascita di un figlio o alla capacità di organizzare tante iniziative, di fare tante cose (quella persona è feconda di idee). Tuttavia essere fecondi significa prima di tutto accettare di aprirsi essendo se stessi. In questo caso scopro che c’è qualcuno che mi chiama per nome e in quella chiamata scopro la mia vocazione. Ma all’inizio sta l’accettazione di sé: solo se ci si accetta è possibile fare dono di sé all’altro. Se tutto ciò è vero possiamo dire che la persona è veramente se stessa se è feconda, ed è feconda se presume la presenza di un altro/a a cui si permette la stessa cosa.
Uomo e donna nella relazione d’amore permettono vicendevolmente all’altro di essere sempre più maschio e sempre più femmina, essendo sempre più se stessi.
Secondo la Chiesa Cattolica il cristiano ha due modi per vivere la propria fecondità: il matrimonio e la scelta della verginità nella consacrazione della propria vita in un ordine religioso. La teologia classica riteneva che il matrimonio avesse come fine primario la procreazione e l’educazione dei figli. Al mutuo aiuto e al perfezionamento degli sposi era attribuito un valore secondario. Oggi si ritiene che il matrimonio debba essere considerato essenzialmente una comunione di vita e di amore, mediante la quale gli sposi si perfezionano. I figli sono segno dell’amore degli sposi: il Concilio Vaticano II afferma che «tutti quanti i fini e i valori del matrimonio sono di somma importanza» e che l’amore coniugale è intrinsecamente ordinato alla prole. I figli sono la vetta e il coronamento dell’amore coniugale (cf. Gaudium et spes 48).
L’enciclica Humanae vitae ribadisce la relazione esistente tra l’unione d’amore e la procreazione: il fine unitivo e quello procreativo dell’atto coniugale non possono essere scissi poiché voluti da Dio e l’uomo non può intervenire separandoli. Seguendo questo ragionamento, la contraccezione deve essere considerata un’offesa al fine procreativo, ma anche a quello unitivo.

La sessualità

L’atto coniugale non è sicuramente l’unico elemento e la sola esperienza vissuta dagli sposi, tuttavia ne è certo l’espressione specifica. Un tempo l’idea di sessualità coincideva con la genitalità, vale a dire quei comportamenti che derivano dall’utilizzo degli organi della riproduzione. Ma le scienze umane hanno rivelato che la sessualità è una realtà complessa che permea tutta la persona a livello biologico, psicologico, spirituale, culturale. In altre parole, quando noi diciamo di essere una persona maschile o femminile, uomo o donna, stiamo dichiarando che questa realtà ci coinvolge interamente.

L’importanza del corpo

Il personalismo ritiene che la persona sia una sostanza individuale di natura razionale, ovvero uno spirito incarnato, secondo la definizione di Boezio. Questo pensiero non si sbilancia né a favore della spiritualità né della materialità: vale la pena ricordare che è la spiritualità a rendere umano il corpo. Diversamente dalla narrazione comune, la Chiesa cattolica attribuisce molta importanza al corpo che non è pensato come totalmente dipendente e a disposizione della dimensione spirituale. Esso ha invece una consistenza propria e deve essere tenuto in considerazione nel momento in cui si ha l’intenzione di valutare l’eticità dei comportamenti.

L’importanza della spiritualità

La spiritualità dal canto suo deve essere considerata la radice della relazionalità della persona, ossia la spinta che porta l’uomo a uscire da se stesso e ad aprirsi all’altro donando e ricevendo. Sapendo che la sessualità è da un lato così importante e dall’altro tanto delicata, ci si spiega perché sin dai primi momenti dell’esistenza di un individuo questa dimensione acquisti il ruolo di asse su cui si strutturerà la sua crescita. Il bambino inizia un percorso che dall’egocentrismo lo porterà ad aprirsi gradualmente per instaurare relazioni affettive con chi lo circonda.

Imparare ad amare

È l’amore che spinge la persona a farsi dono per l’altro. Possiamo perciò affermare che la sessualità è la possibilità che l’amore ha di manifestarsi. Esso richiede l’intimità e tende a diffondersi. L’amore umano unisce e trascende, gratifica e impegna, dona e riceve, è aperto alla fecondità, unisce l’io al tu e consente che entrambi gli sposi crescano verso il noi.
L’atto coniugale è il momento in cui si attua la massima unità psicofisica, ed è anche quello in cui è possibile far sorgere una nuova vita. In questo modo gli sposi uniti mostrano come dall’«io e tu» sia possibile diventare «noi».
Si tratta di un amore che vuole essere veramente donazione e che pertanto non si ripiega su se stesso.
Stanti le caratteristiche della sessualità che abbiamo indicato, l’esercizio della genitalità (ossia avere rapporti sessuali) può definirsi lecito quando è vissuto tra un uomo e una donna uniti in matrimonio. Poiché la Chiesa non ammette altro esercizio della sessualità genitale se non all’interno di questa realtà, l’unione fisica tra sposi, per essere ritenuta moralmente lecita, deve esprimere l’intimità e l’apertura alla fecondità. È possibile utilizzare responsabilmente la fecondità umana così come si presenta tenendo conto che nella donna essa è fatta anche di momenti infecondi, che non devono essere intesi strumentalmente.

La scelta della verginità

L’amore attivato dalla spiritualità e diffuso dal corpo sessuato può trovare realizzazione nell’uso della genitalità, ma anche nell’astinenza genitale, come avviene nella scelta della verginità. In questo caso la mascolinità o la femminilità non sono dimensioni né mortificate, né annullate. Esse vengono finalizzate a vivere ogni giorno i consigli evangelici. Dunque, chi sceglie la verginità non rinuncia affatto alla sessualità, ma solo all’esercizio genitale.

I rapporti pre-matrimoniali

L’unione fisica è un atto di amore che non può essere parziale. Questa donazione è vera solo se le persone coinvolte hanno l’intenzione di assumersi un reciproco impegno di fedeltà. Tuttavia, questa prospettiva manca nei rapporti tra fidanzati: il fidanzamento è infatti un periodo di attesa e di verifica e dunque solo transitorio.
La sessualità sperimentata nei rapporti prematrimoniali rischia di fissarsi sulla dimensione genitale. I fidanzati ritengono di appartenersi totalmente, anche se nella realtà quotidiana non viene vissuto concretamente un progetto di vita comune. Perciò il rapporto prematrimoniale dice una realtà che di fatto non c’è. Inoltre, quasi sempre tali rapporti sono vissuti come infecondi. Se la fecondità è evitata, ciò mostra come di fatto non ci sia l’intenzione di donarsi totalmente all’altro.