CHE COS’È LA BIOETICA?

TECNICA, FATTO CULTURALE

La tecnica, da fatto strumentale, positivo o negativo a seconda dell’uso, si trasforma in fatto culturale, quindi con una specifica connotazione etica, quella il cui assunto fondamentale sarebbe la manipolabilità integrale dell’essere umano da parte di un suo simile. L’ottavo giorno della creazione, in cui l’uomo gioca a fare Dio, arriva così dove neppure Dio vuole arrivare: manipolare la libertà dell’uomo, di colui che gli sta davanti come un altro.
(Giovanni Russo, «Pedabioetica», in Dizionario di Bioetica, Città Nuova, Roma 2004)

GLI OCCHI CHE RIDUCONO LE DISTANZE

Il microscopio elettronico e il televisore sono nel contempo, delle cose qualsiasi, un oggetto dell’ambiente scientifico e uno di quello familiare, ma sono anche gli occhi con i quali io riduco le distanze tra ciò che è infinitamente piccolo e ciò che infinitamente lontano. Essi mi mettono a portata di mano ciò che di per sé sarebbe estraneo al mio sapere e persino al mio intervento. […] Lo strumento tecnologico è infatti sempre integrato e perciò vissuto, nell’intenzionalità conoscitiva dell’uomo.
(Adriano Pessina, «Cultura della vita e mentalità tecnologica», in La cultura della vita. Fondamenti e dimensioni. Atti della VII assemblea plenaria della Pontificia Accademia pro Vita, LEV, Città del Vaticano 2002)

La bioetica

La bioetica è un sapere relativamente giovane di cui si inizia a parlare nella seconda metà del XX secolo. Il primo a usare questo termine è l’oncologo americano Van Rensselaer Potter in un articolo intitolato Bioethics: Scienze of Survival combinando i termini bio (vita) ed ethichs (morale). Secondo Potter, la specie umana non sarebbe sopravvissuta agli attacchi della cultura tecnologica e materialistica. Infatti la nostra esistenza è pervasa dalla tecnologia e da un sapere procedurale che hanno modificato profondamente il patrimonio culturale di gran parte della popolazione umana sui temi che riguardano la vita, la morte, il progresso, la malattia, la riproduzione umana. È utile ricordare che allo sviluppo tecnologico non è corrisposta un’adeguata valutazione culturale e che l'incremento delle applicazioni tecnologiche è molto più veloce di quanto la saggezza umana non sappia assimilare. Proprio per questo Potter immaginava che la bioetica fosse «scienza della sopravvivenza» «ponte verso il futuro». Sua intenzione era promuovere e salvaguardare la qualità della vita e proteggere e garantire la sopravvivenza dell’uomo. Mentre Potter pensava a una disciplina globale, la bioetica in seguito si occupò soprattutto di pratiche mediche.

Tra identità in bilico e ambiguità epistemologiche

Sin dagli esordi la bioetica fu in bilico tra due modi di vedere la disciplina:
• Il modello potteriano che proponeva una disciplina di tipo globale da collocare su uno sfondo ecologico.
• L’altro modello riconducibile ad André Hellegers mostrava una dimensione più biomedica. La disciplina poteva essere stimata come un’estensione della tradizionale etica medica.
L’incognita in ogni caso non riguarda soltanto l’incertezza circa il che cosa di cui si occupa la bioetica, ma anche il come questa disciplina studia ciò di cui si occupa. Un primo equivoco si manifestò nel confondere la bioetica con il principlism (principialismo), impostazione diffusa negli USA che, secondo i quattro principi di Tom Beaucham e James Childress (autonomia, non maleficenza, beneficenza, giustizia), identifica la soluzione alle questioni bioetiche nel bilanciamento dei principi. Tuttavia poiché questi principi sono astratti si spostò prima l’attenzione sui casi concreti (Johsen & Toulmin) passando poi alla morale delle persone coinvolte (Reich) per prendere in considerazione la struttura delle motivazioni delle persone che agiscono (Pellegrino e Thomasma).