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All’antropologo Marco Aime è attribuita questa battuta: «I filosofi si occupano di Dio, gli psicologi dell’io e gli antropologi dello zio». Gli antropologi, infatti, con i loro studi ci insegnano che le relazioni di parentela sono simili ad una grammatica di base che è necessario conoscere per poter comprendere una società e una cultura.
Tutte le società hanno cercato di rielaborare regole per gestire i rapporti tra i coniugi e tra genitori e figli. Nessun tipo di parentela si riduce alla pura riproduzione biologica, anche se la cultura si incarica di gestire socialmente il fatto biologico.
Ogni società stabilisce chi si può o non si può, chi non si deve o preferibilmente si deve sposare. Nella nostra società sono i singoli individui che decidono in modo sostanzialmente personale come scegliere il proprio partner, escludendo un gruppo di persone considerate consanguinee.
Nelle culture si verificano essenzialmente due possibilità:
• La scelta dell’esogamia, ossia la preferenza suggerita o l’obbligo imposto ad un uomo di sposare una donna che non appartenga al proprio clan, alla propria tribù o al proprio villaggio. Le società esogamiche sono quelle la cui discendenza è trasmessa solo per via paterna. Claude Lévi-Strauss ritiene che l’uomo si sia servito dell’esogamia per stabilire rapporti con altri gruppi sociali. Instaurando rapporti di parentela è anche stato possibile limitare le aggressioni dei nemici.
• La scelta dell’endogamia, che viceversa prescrive che il matrimonio avvenga all’interno del proprio gruppo di appartenenza. Un esempio di endogamia sono le caste e le sottocaste indu.

L’incesto

Non tutti i membri di un gruppo si possono sposare. Vi sono infatti tra gli individui differenze che vengono a stabilirsi in base alla prossimità biologica, ma anche sociale. Così ad esempio ci sono parenti che non si possono sposare e con cui non si possono avere apporti sessuali: genitori e figli, fratelli e sorelle. Dando in moglie la propria figlia si creano rapporti di reciprocità con altri gruppi sociali.
La regola del levirato tra gli ebrei, ad esempio, prescrive che il fratello di un uomo morto senza lasciare discendenza è tenuto a sposarne la vedova. I figli che nasceranno da quest’unione sono figli del defunto. In questo caso i rapporti, che altrimenti verrebbero giudicati incestuosi, non solo vengono permessi, ma anche ritenuti doverosi.

La famiglia nucleare

La Costituzione Italiana all’art. 29 primo comma afferma: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio».
Tuttavia osservando la nostra società oggi vediamo che ci sono molti modelli di famiglia. Alcuni studiosi hanno cercato di definire quali sono gli elementi universali all’interno di una famiglia. George P. Murdock parla della famiglia nucleare un’unità di relazioni composta da marito, moglie e figli. Si tratta di un’unità minima in cui si attuano otto rapporti “parentali” di base: marito/moglie, padre/madre, figlio/figlia, fratello/sorella. Secondo Murdock, la famiglia nucleare sarebbe un’unità minima che è poi possibile combinare sino ad avere forme poligamiche anche molto estese.
Studi successivi hanno evidenziato che in alcune famiglie non è possibile osservare la presenza del padre (marito). Sono forme famigliari in cui il nucleo base è formato dalla madre e dai suoi figli.

Le famiglie poligamiche

La famiglia poligamica è costituita da un nucleo famigliare in cui sono presenti più legami matrimoniali. Esse possono essere:
• Poliginiche: se sono formate da un marito con più mogli. È questa la situazione più diffusa. Molto probabilmente si tratta di una forma sociale scelta per avvantaggiarsi del lavoro delle mogli e per avere un numero elevato di figli. Avere molti figli significa anche riuscire ad espandere la propria rete di alleanza e di influenza attraverso i matrimoni con uomini che detengono il potere. Non tutti gli uomini possono in realtà avere più mogli a causa dell’elevato costo di mantenimento delle spose.
• Poliandriche: se sono formate da una moglie con diversi mariti. Si trovano esempi di matrimoni poliandrici soprattutto in India, nel Tibet e nel Nepal dove, nelle caste sociali superiori, per limitare le nascite e non suddividere la proprietà della famiglia, un gruppo di fratelli vive con una sola moglie.

Altre forme di famiglia

Presso i Na (Cina meridionale) e i Nayar (India meridionale) la famiglia è formata da un gruppo di fratelli e sorelle che vivono nella stessa casa e che allevano insieme i figli nati da relazioni con un altro gruppo. I bambini allevati sono dunque figli delle sorelle, mentre i fratelli allevano i figli delle proprie sorelle, ma hanno figli con donne di altri gruppi. In questi gruppi si riconosce solo il legame tra fratelli e sorelle e con i figli delle sorelle, ma non si conosce il legame tra marito e moglie. Si tratta di culture all’interno delle quali la parentela viene trasmessa sono attraverso la linea di successione materna. Ciò però non significa che queste società pratichino il matriarcato.
La teoria del matriarcato si è diffusa nell’Ottocento. Si tratta di un vero e proprio mito secondo il quale vi fu un tempo in cui la proprietà dei beni e il potere di un gruppo sociale era esclusivamente gestito dalle donne. Tuttavia, il fatto che la linea parentale venga trasmessa per via femminile non significa che il potere si trasmetta alle donne, ma al limite attraverso le donne.
Bronislaw Malinowski conducendo le sue ricerche nelle Isole Trobriand (Melanesia) ebbe la possibilità di studiare l’avuncolato, ossia quel particolare rapporto che nasce tra lo zio materno e i figli della sorella. In questo caso i figli appartengono al clan della madre. Il padre, che ha un atteggiamento affettuoso e materno e che si occupa per molto tempo dell’allevamento dei figli, è molto amato dalla prole, ma non può vantare nei loro confronti nessun tipo di autorità.