Problemi tra scienza e fede

Parliamo di evoluzione

Nell’epoca moderna e contemporanea le scoperte della scienza sembrano mettere in crisi la concezione della creazione come era stata pensata e sviluppata in ambito biblico, patristico e medievale. Le contestazioni mosse alla dottrina della creazione si muovono su due linee: quello della rivoluzione copernicana e quello di un antropocentrismo non più di matrice cristiana.

Le tesi di Linneo e Lamarck

Osservando la natura si può notare la grande varietà delle specie viventi. Nel corso dei secoli molti studiosi hanno provato a spiegare questo fatto. Fu Carlo Linneo (1707-1778) a elaborare un metodo per classificare le specie viventi che riteneva reali e fisse, anche quando presentano differenze che secondo lo studioso non possono essere messe in contrasto con il racconto di Genesi. A chi gli chiedeva perché esistessero tante specie diverse egli rispondeva che tot numeramus species quot ab initio creavit Infinitum Ens. Con questa risposta Linneo sconfinava dal suo ambito perché forniva una risposta teologica a una domanda scientifica. In seguito Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829) elaborò l’ipotesi che le specie non fossero fisse, ma capaci di adattarsi all’ambiente in cui vivono. In base a questa capacità, gli esseri viventi trasmetterebbero i caratteri modificati alle generazioni successive. L’esempio classico è quello dell’allungamento del collo e delle zampe delle giraffe. Secondo Lamarck, le giraffe un tempo erano antilopi, che desiderando brucare i germogli di acacia, hanno allungato il loro collo e hanno trasmesso questo carattere alle generazioni successive.

La svolta di Darwin

Charles Darwin nel 1859 pubblicò L’origine delle specie e nel 1870 La discendenza dell’uomo. Secondo Darwin le trasformazioni che si possono notare da una generazione all’altra derivano da minuscole variazioni spontanee e casuali. In questo mondo sopravvive chi viene scelto dalla selezione naturale. Mentre Lamarck pensava all’evoluzione come un processo che prevedeva un progresso, per Darwin esisterebbe piuttosto un albero evolutivo, in cui l’uomo è solo un ramo che a sua volta deriva da un altro ramo dove può essere posizionata la famiglia delle scimmie. Per Darwin non esiste né un piano né un progetto all’interno dell’evoluzione delle specie. Tornando all’esempio delle giraffe, possiamo concludere che la differenza tra Lamarck e Darwin consiste nel fatto che, secondo Darwin, le antilopi a un certo punto si sono trovate senza erba da brucare a causa di un mutamento climatico. Quando casualmente nasce un’antilope con il collo più lungo, questo esemplare rimane avvantaggiato rispetto agli altri perché ha la possibilità di brucare anche i germogli di acacia. Il carattere non viene eliminato nelle generazioni perché utile alla specie. Il gruppo di antilopi col collo lungo aumenta di numero diventando una specie a se stante. Ma la variazione è casuale.

Breve percorso storico

Con la caduta delle ideologie, è molto difficile creare una netta contrapposizione tra chi sostiene una teoria e chi la nega. Così è piuttosto raro partecipare a una discussione aspra tra chi afferma la teoria dell’evoluzione e chi invece parteggia per la creazione. Fede e scienza in realtà non sono contrapposte e possono coesistere, anche se non sempre è stato così. Quando Darwin pubblicò L’origine delle specie, vi fu immediatamente una reazione da parte della Chiesa che indisse a Colonia il 17 maggio 1860 un Concilio provinciale: il Concilio di Colonia. In quell’occasione la Chiesa prese una posizione netta riaffermando che l’uomo è stato creato da Dio, e si contrappose in modo fermo alle teorie di Darwin, anche se non venne espressamente citato il suo nome. Tuttavia i Padri conciliari non giunsero a negare qualsiasi tipo di evoluzione, pur ricusando che ci fosse stata un’evoluzione spontanea. È utile ricordare che, sino a quel momento, chi leggeva il testo di Genesi pensava che le specie fossero state create così come sono oggi. In realtà, il Concilio non aveva l’intenzione di affermare il fissismo, ossia che tutte le specie non fossero mai mutate. Intenzione principale era quella di riaffermare il messaggio che proveniva dalla Rivelazione. Il Concilio Vaticano I (1869-1870) non prese in considerazione il rapporto tra fede e scienza a proposito della creazione, ma parlò di conoscenza per fede e per ragione. La Costituzione dogmatica Dei Filius ripropose la fede tradizionale nella creazione e nella Provvidenza di Dio opponendosi ad alcune linee filosofiche: il deismo, il materialismo e l’idealismo tedesco. Il problema dell’evoluzionismo comparve con il modernismo, quando ci si pose il problema di come interpretare i capitoli di Genesi che trattano delle origini dell’umanità. Si trattava di un vero e proprio problema esegetico. A quel tempo non si leggeva la Bibbia tenendo conto dei generi letterari, e si pensava che il Pentateuco fosse stato scritto da Mosè. Dunque si credeva che i primi capitoli della Genesi contenessero un racconto dettagliato e preciso di come si erano svolti i fatti. Vi furono alcuni teologi che tentarono di spiegare il rapporto tra evoluzione e creazione adottando una linea diversa. Tra essi ricordiamo Pierre Teilhard de Chardin, il quale andava ben oltre una semplice evoluzione, affermando che tutto l’universo tendeva verso un punto finale, l’Omega o Cristo cosmico, e che solo questo punto era in grado di dare senso all’intera evoluzione del cosmo. Questa linea venne molto discussa e non accettata. I teologi si mantennero sulla linea creazionista. Con Pio XII si sviluppò l’esegesi dei testi biblici. Nell’enciclica Divino afflante Spiritu (1943), il pontefice legittimava gli studiosi a usare i generi letterari per l’interpretazione della Scrittura. In questo modo cambiava anche l’atteggiamento degli esegeti nella lettura dei primi capitoli della Genesi. Pio XII non prese posizione diretta sulla questione dell’evoluzione, ma invitò i biblisti a servirsi delle scoperte moderne nel proprio lavoro. Oggi l’evoluzione è più che una semplice ipotesi scientifica, perché ha il valore di una teoria comprovata. Dal punto di vista cristiano non fa problema il concetto in sé, ovvero l’idea che i viventi si siano evoluti nel corso dei millenni. Ciò che fa problema è quella interpretazione della teoria che pretende di affermare che basta il dato materiale per spiegare la realtà, anche umana. Nella visione cristiana, infatti, l’uomo non è solo la sua dimensione materiale: le sue funzioni più alte (come la coscienza e l’intelletto) non si spiegano come espressioni del semplice dato materiale. Giovanni Paolo II lo esprimeva parlando, a proposito dell’uomo, di un «salto ontologico», una differenza qualitativa nel processo evolutivo (per intenderci, un «salto» dalla materia allo spirito). Si tratta ovviamente di una affermazione che esce dalla competenza delle scienze naturali, le quali funzionano proprio limitando il loro campo di indagine al mondo sensibile.

Il dibattito attuale

Vediamo alcune delle più recenti teorie.
• Il creazionismo. In ambito americano tra il XX e il XXI secolo, soprattutto negli ambienti presbiteriani, prende piede il creazionismo, che legge in modo letterale i primi capitoli della Genesi. Secondo questa dottrina, i testi della Bibbia ci dicono veramente come sono andate le cose. I sostenitori di questa linea rifiutano la possibilità di instaurare qualsiasi dialogo con la scienza: al massimo il ricercatore si può spingere sino al concordismo. I creazionisti fanno notare che l’evoluzione per ora è solo un’ipotesi che non dà conto del perché non siano stati ritrovati i cosiddetti anelli mancanti, ossia le tracce dei successivi mutamenti. I creazionisti pretenderebbero che nelle scuole pubbliche americane non fosse insegnato l’evoluzionismo o che fosse affiancato dalla teoria creazionista.
• Il neodarwinismo. Il neodarwinismo ritiene che non esista una finalità nella natura. È l’osservatore ad attribuire ad alcuni fenomeni una finalità solo apparente, perché ricostruita dal suo sguardo. Questa visione fortuita della realtà è inconciliabile con il pensiero cristiano secondo cui vi è un piano, un progetto pensato da Dio ed è questo che guida e sostiene l’universo.
• L’intelligent design. Questa teoria può essere considerata a metà strada fra il neodarwinismo e il creazionismo. I suoi sostenitori suggeriscono di leggere le mutazioni dell’evoluzione non come modificazioni casuali, ma come modificazioni che esprimono un piano scritto nei geni e guidato appunto da un disegno intelligente. Tuttavia è bene tenere presente che questi studiosi, essendo scienziati, non dicono che sia Dio a guidare questo progetto, inoltre è abbastanza comodo lasciarsi andare a facili concordismi. Questa proposta è stata molto criticata sia dagli scienziati, ai quali non compete parlare di «progetto», sia dai teologi, perché essa non attribuisce il progetto direttamente a Dio. Dio dunque è trattato come risposta semplicistica a ciò che la scienza ancora non sa spiegare.
• Il pensiero creatore. Occuparsi del complesso insieme di relazioni tra tutto ciò che esiste significa anche ipotizzare una causalità intelligente diversa da una semplice intelligenza fabbricatrice, ma che sia un principio creatore. Questo principio creatore può essere considerato come qualcosa che scende nella natura la quale agisce non perché mossa dall’esterno, ma dall’interno.
Per questo tutto ciò che esiste ha la tendenza ad andare verso l’essere, di inserirsi, mantenersi, radicarsi ed espander- si con l’essere, secondo le modalità proprie dell’essere che sono quelle della diffusività e della generosità.
• L’ipotesi antropica. Nella materia esistono alcune costanti fondamentali. A partire da questi elementi, i fisici hanno fatto risaltare come nel nostro mondo ci siano una serie di coincidenze e di equilibri che avrebbero favorito l’emergenza della vita e che avrebbero predisposto le condizioni del sorgere della vita umana.
Della teoria del principio antropico ci sono due versioni:
- secondo la versione debole, non si può evitare nell’osservazione dell’universo di partire dalla propria esperienza e non considerare, ciò che la rende possibile;
- secondo la versione forte, tutto l’universo è così com’è per rendere possibile l’osservazione da parte di quell’osservatore particolare che è l’uomo. L’osservatore, ossia l’uomo, è il fine di tutto il processo cosmologico a cui la stessa umanità vuole dare un senso.
Mentre la cosmologia di Copernico aveva decentrato l’uomo, la teoria del principio antropico forte lo riporta al centro. Questa teoria può essere accolta solo se si riconosce, come spiegazione dell’universo, l’esistenza di un principio sovraumano, trascendente e può essere dunque ricollegata con il concetto cristiano che crede nella centralità dell’uomo in rapporto con Dio. A sua volta tutto questo pensiero può essere ricollegato con il concetto di Cristo, il ricapitolatore e il riconciliatore di tutte le cose a Dio. In questa visione teologica, quindi, è Cristo il massimo principio sia di coerenza che di unità di tutto il creato.