Il sepolcro vuoto

Verso Gerusalemme

Dopo un primo momento in cui la predicazione di Gesù riscosse un buon successo, nei Vangeli si giunge progressivamente verso una profonda crisi, il manifestarsi di un’opposizione crescente nei confronti di Gesù soprattutto da parte dei farisei. Gesù arriva a Gerusalemme preceduto dalla sua fama, ma il culmine del successo è tramontato: lo accompagnano infatti solo pochi discepoli. Anche noi probabilmente non saremmo andati a Gerusalemme sapendo di incontrare il malanimo di molti che non attendevano altro per sbarazzarsi della sua ingombrante figura. E forse riteniamo anche che la sua scelta non sia stata troppo logica. Tuttavia è certo che Gesù a Gerusalemme c’è andato.
Gesù entra a Gerusalemme non come un qualsiasi pellegrino, ma in modo da destare attenzione. Forse all’ingresso di Gesù venne data una connotazione politico-messianica.
Al Tempio egli scaccia i mercanti, compiendo così un gesto provocatorio che suscita opposizione. Certamente questo spiegherebbe perché il Maestro sia riuscito a inimicarsi la classe sacerdotale, colpita nei propri interessi economici.
La cena di addio ha il compito di alludere alla morte di Gesù. Tuttavia, è strano che questo pasto sia consumato di notte, mentre in Oriente si usava cenare prima del tramonto. In quest’occasione Gesù parla della propria morte imminente. Probabilmente aveva la consapevolezza che sarebbe potuto succedergli qualcosa di molto pericoloso.

L’arresto

Gesù viene arrestato in un giardino, il Getsemani (parola ebraica che significa «frantoio»). Pare che l’ordine sia partito dal sommo sacerdote, in quanto capo del Sinedrio. I Sinottici sostengono che l’arresto sia stato motivato dal gesto compiuto da Gesù nel Tempio; Giovanni invece afferma che la causa sia stata la risurrezione di Lazzaro. Tutte le testimonianze concordano invece sul rinnegamento di Pietro e sulla fuga dei discepoli dopo l’arresto.

Gli interrogatori

Non abbiamo testimoni oculari che possano raccontare che cosa sia successo in seguito. Gesù, in un primo momento, viene portato alla presenza delle autorità ebraiche e poi di quelle romane. Ma è strano che egli venga condotto da Anna, il quale, benché autorevole, non era più sommo sacerdote da quindici anni. Era però il suocero di Caifa, da cui Gesù viene portato subito dopo.
Durante questo primo interrogatorio Gesù è accusato di essere un bestemmiatore. Tutto l’interrogatorio verte sull’identità di Gesù. Tuttavia, secondo gli studiosi non è verosimile che a Gesù sia stato fatto un vero e proprio processo, ma è altrettanto inverosimile, visti i rapporti esistenti, che i Romani si siano semplicemente limitati a ratificare una decisione assunta dall’autorità giudaica. Le autorità giudaiche non avevano il potere di condannare a morte né di far applicare la sentenza. Dunque, verosimilmente, Gesù subì un interrogatorio davanti alle autorità giudaiche, ma il vero processo fu quello celebrato davanti all’autorità romana. Qui egli venne presentato come un sobillatore di folle, accusa pericolosa perché i Romani temevano le rivolte in Palestina e soprattutto a Gerusalemme.

Un processo frettoloso

Il processo a Gesù fu frettoloso, in aperta violazione della procedura romana, ma si era alla vigilia della Pasqua e né i Giudei né i Romani volevano gestire un problema simile durante una festività in cui era alto il rischio di sommosse.
Gesù viene arrestato nel cuore della notte e condotto dal sommo sacerdote. Allo spuntare del giorno si riunì il sinedrio: le autorità giudaiche, per sostenere la loro tesi, presentarono falsi testimoni. Quando a Gesù venne chiesto se fosse il Messia, egli rispose «io lo sono»: a causa di queste parole tutti sentenziarono che fosse reo di morte.
Il governatore romano non era interessato alle questioni religiose. Tuttavia, a causa delle tensioni presenti in Palestina, come rappresentante di Roma era suo compito mantenere l’ordine pubblico. I Giudei quindi inviarono Gesù a Pilato con l’accusa di sedizione.

Davanti a Pilato

Gesù arriva davanti a Pilato, che pare intenzionato ad evitare la sua condanna a morte e lo manda da Erode Antipa poiché, essendo Gesù della Galilea, cadeva sotto la sua giurisdizione. Ma Erode rimanda Gesù a Pilato il quale tenta di liberare Gesù servendosi della folla, che però sceglie Barabba. Davanti alle resistenze di Pilato, i Giudei lo minacciano di ricorrere all’autorità di Cesare. Per paura di essere accusato di tradimento Pilato cede. L’iscrizione collocata sulla croce afferma che Gesù venne condannato perché si è fatto re. Questa scelta è astuta: con una semplice scritta il governatore volle disincentivare gli eventuali ribelli, e umiliare l’orgoglio nazionale giudaico. Da un punto di vista giuridico l’ipotesi più verosimile è che il crimine contestato a Gesù sia stato quello di lesa maestà.

La Passione e la crocifissione

Gesù venne consegnato ai soldati romani e subì la flagellazione e la tortura, interventi che miravano a indebolire il condannato. I Romani rispettavano l’uso giudaico di eseguire le condanne a morte fuori dal perimetro della città in modo da non contaminare l’abitato. Il luogo adibito a questo scopo era il Golgota (cranio, calvarius). Gesù viene obbligato a portare il patibolum, ossia la parte orizzontale della croce. La crocifissione era la pena capitale comminata agli schiavi. Completamente spogliato, le mani furono assicurate al patibolum, da un chiodo che attraversava i suoi polsi. Inchiodato al legno, il patibolum era fissato a un palo conficcato nel terreno in modo stabile, lo stipex: solo in seguito gli furono inchiodati i piedi. La morte di un crocifisso avviene per asfissia da tetano chimico. Pare che a Gesù sia stata presentata una bevanda anestetica e narcotica, ma non sappiamo con sicurezza se Gesù l’abbia accettata. Gli evangelisti riportano sette parole pronunciate da Gesù sulla croce. L’unica che possa vantare una duplice attestazione è la citazione del Salmo 22 «Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Gesù, secondo le testimonianze, muore intorno alle tre del pomeriggio. Secondo i Vangeli, nel momento in cui Gesù morì, il velo del santuario si squarciò (Marco e Luca) e, secondo Matteo, molti corpi risuscitarono.

La sepoltura

Stando alla cronologia di Giovanni, Gesù muore la vigilia della Pasqua e ciò spiega perché gli amici di Gesù vogliano velocizzare le pratiche di sepoltura. In ogni caso, secondo la Legge il corpo di un defunto doveva essere seppellito entro ventiquattro ore. La prassi romana prevedeva che i corpi dei crocifissi fossero abbandonati per lungo tempo in pasto agli avvoltoi prima di essere sepolti in una fossa comune. Sappiamo tuttavia che Gesù viene sepolto da Giuseppe di Arimatea, che era suo discepolo, anche se di nascosto per paura dei Giudei.

Annunciato come risorto

I discepoli dopo la sua morte hanno predicato che Gesù era vivo. Abbiamo testimonianze anche pagane del fatto che i Cristiani predicavano la risurrezione di Gesù. Tuttavia, al momento della cattura, i discepoli fuggono e sotto la croce troviamo soltanto Giovanni e Maria, la madre di Gesù. Se dunque prima erano fuggiti in preda alla delusione e al panico, nel giro di qualche giorno li ritroviamo convinti di un Gesù vivo anche se partecipe di una vita qualitativamente diversa. I discepoli infatti sostenevano non solo che Gesù fosse vivo, ma anche che fosse risorto.
Il metodo storico non ci viene in soccorso per analizzare la risurrezione, evento che al massimo può essere considerato metastorico. Ciò non significa che non sia avvenuto, ma che è un fatto eccezionale e unico. Tuttavia appartiene all’analisi storica occuparsi del fatto che i discepoli hanno annunciato che Gesù è vivo: il kerygma parte dall’annunciare la risurrezione di Gesù.

Il senso della risurrezione

Gli scritti del Nuovo Testamento ci comunicano il senso profondo della risurrezione di Gesù. Anzitutto, la risurrezione è l’evento che sta al cuore della fede cristiana: senza la risurrezione il cristianesimo resterebbe un messaggio «vuoto». La risurrezione è letta come l’esito della fedeltà del Dio vivente alla sue promesse, che in Gesù si compiono definitivamente. Il Figlio di Dio fatto uomo ha assunto la nostra umanità ed è entrato nella morte. Ma «Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (Atti degli apostoli 2,24). La risurrezione è la risposta di Dio Padre all’offerta che Gesù fa di sé in obbedienza a lui e per amore dei suoi fratelli. Così l’umanità di Gesù diviene una via aperta per ogni uomo e ogni donna: Gesù, il Cristo, nella sua risurrezione è l’uomo ricreato secondo il progetto di Dio. Egli è il Risorto dai morti, il «primogenito dei morti», colui che nella risurrezione ha sfondato il muro della morte e ha aperto a tutti la dimensione della vita eterna nella comunione con Dio. È questo il fondamento della speranza cristiana.