WIP 2 - Economia della Palestina

Gli antichi Ebrei erano originariamente pastori nomadi, provenienti dalle aride regioni del Neghev, della Giordania, dell’Arabia. E perciò non stentiamo a credere che, abituati a vivere in un territorio inospitale, la Terra di Canaan potesse apparire come un luogo felice. Infatti in questo territorio l’agricoltura era resa faticosa dalle condizioni climatiche che causavano raccolti incerti e non molto abbondanti. I frutti raccolti erano tuttavia nutrienti e preziosi, ricchi per l’alimentazione umana e i pascoli delle steppe potevano essere considerati certamente più ricchi di quelli desertici a cui erano avvezzi. La fatica e il lavoro degli uomini strappavano alla Terra di Canaan discreti raccolti di grano e orzo, buoni raccolti di olive e di datteri, nonché uve da vino e frutta, di cui era ed è particolarmente generosa la grande oasi di Gerico.
Le colline del centro e parte delle montagne del Sud offrivano un ambiente adatto all’allevamento di pecore e capre. Ricchissime di pesce erano le acque del Lago di Genezaret, anche detto Mar di Galilea o Lago di Tiberiade, sulle cui rive fiorirono numerosi centri abitati.
Il Giordano, che nasce dal Monte Hermon (2700 m), caratterizza con il suo corso tutta la regione e raggiunge il Lago di Tiberiade (o di Genezaret, “Mare di Galilea” secondo il Vangelo) e sfocia nel Mar Morto, a 397 metri circa sotto il livello del mare, percorrendo la vallata del Gohr, scorrendo in una fossa tettonica collegata all’Africa Orientale.

WIP 2 - I luoghi di Gesù a Nazaret

In Galilea doveva parlarsi una lingua dialettale molto particolare (Matteo 26,73); da questi territori provenivano gli zeloti, “zelanti della fede” che si battevano anche violentemente per la liberazione della Palestina dal dominio romano. Inoltre la Galilea viveva in modo piuttosto libero le pratiche cultuali ebraiche e interpretava in modo particolare le norme della Torah, soprattutto quelle che riguardavano i cibi permessi e le regole di purità. Parte di questa problematica è evidente nei Vangeli. Chi abitava nelle zone rurali era considerato un campagnolo perché si pensava che non conoscendo la Torah non potesse interpretarla in modo corretto, non potendo competere con i cittadini, ossia chi abitava a Gerusalemme (Giovanni 7,49). I contemporanei di Gesù non si attendevano certo un Messia proveniente dalla Galilea (Giovanni 7,41; 7,52) poiché la regione era abitata da una popolazione molto eterogenea.
La Galilea divenne un territorio importante per il Giudaismo dopo le due rivolte del 70 e del 135 d.C., quando i Giudei si videro costretti ad abbandonare Gerusalemme, che nel frattempo era stata completamente distrutta e rasa al suolo. Così proprio Tiberiade, considerata in precedenza città pagana perché costruita in onore di Tiberio ed abitata soprattutto da romani, ospitò il Sinedrio e vi si formarono importanti scuole rabbiniche dedite allo studio della Torah: i Masoreti fissarono definitivamente il testo dell’Antico Testamento, le scuole rabbiniche diedero origine alla Misnha e al Talmud. In Galilea si formarono comunità cristiane sia in epoca apostolica che nell’epoca immediatamente successiva.

WIP 2 - I santuari e il tempio di Gerusalemme

I santuari

All’inizio gli Israeliti usavano compiere sacrifici in santuari che essi stessi erigevano o che erano stati eretti da altre popolazioni. Questi santuari non erano grandi costruzioni: la maggioranza delle volte si trattava di recinti in pietra all’interno dei quali erano eretti altari, tavole generalmente in pietra usate per presentare le offerte alla divinità. La pietra-altare era scelta perché era già adatta allo scopo, cioè l’uomo non doveva né tagliarla né scolpirla.
Di solito gli antichi sceglievano il sito di un santuario perché ritenevano che in quel luogo la divinità si fosse manifestata. Molto spesso essi costruivano un tempio o un santuario su un luogo elevato, naturale o artificiale, come nel caso delle ziqqurat mesopotamiche: pensavano infatti che questo luogo, essendo più vicino al cielo e quindi più vicino alla divinità, potesse facilitare gli atti di culto, soprattutto le offerte di sacrificio e le richieste di aiuto.
Gli Ebrei, mano a mano che procedevano nell’occupazione della Terra di Canaan, distrussero e riconsacrarono al loro Dio gli antichi luoghi di culto cananei.

Santuari di Palestina

A Meghiddo venne costruito un santuario in cui si adoravano gli antichi dei locali della fertilità. La struttura di questo tempio influì sulla costruzione del tempio di Gerusalemme.
Altro santuario interessante era quello d’Azor che fu distrutto dagli Ebrei. Azor era forse la città più importante dei Cananei e posta a nord del Lago di Genesaret, gran centro commerciale e strategico proprio sulla strada tra l’Egitto e la Mesopotamia (la Via del Mare). Questo tempio era composto di una serie di stanze rettangolari e l’accesso era consentito da stretti archi aperti nelle spesse mura di pietra. Sorpassato il primo arco ci si trovava all’interno di un ampio porticato a cui faceva seguito una sala: superato un ultimo ingresso si poteva accedere alla cella interna.
Il sancta santorum custodiva un altare quadrato che recava il simbolo del dio della tempesta, Baal, alcuni catini in basalto di dimensioni diverse, che servivano per usi sacrificali, altri altari, che erano impiegati per offerte minori, ed infine una statua.
Esternamente il tempio d’Azor ospitava moltissimi altri altari e persino un canale di scolo per poter trasportare il sangue degli animali sacrificati.
I santuari di Meghiddo e Sichem avevano caratteristiche molto simili a quelle d’Azor.
Molto spesso un tempio cananeo poteva anche prevedere due santuari (serviva in questo caso alla coppia divina) a cui si poteva accedere da un unico ingresso.
Nel periodo più antico, la fede comune in YHWH non escludeva che i vari clan adorassero altri dèi, quelli cananei soprattutto.
Secondo la tradizione biblica, il santuario più antico d’Israele non è il Tempio di Gerusalemme, ma un oggetto sacro: l’Arca dell’Alleanza e il luogo dove essa è collocata.

Uno dei luoghi più antichi di culto fu il santuario di Sichem (Genesi 33) dove c’era già un tempio pagano: lì fu portata l’Arca che fu trasferita poi a Bet El luogo sacro cananeo e poi a Silo. Bethel, casa di Dio o porta del cielo (Genesi 12,9; 28, 17 ss). Qui, secondo la Bibbia, Giacobbe, dopo aver avuto un sogno, drizza una massebah e cioè una pietra drizzata, una stele commemorativa, che serviva a ricordare un impegno o addirittura un’alleanza contratta (Genesi 31, 45. 51-52). Anche Giosuè drizza una massebah in Sichem (Giosuè 24, 26-27).

Il tempio

Il più importante luogo di culto degli Ebrei era il Tempio di Gerusalemme, edificato una prima volta da Salomone, che nella sua parte più interna accolse l’Arca dell’Alleanza, il sacro cofano contenente le Tavole della Legge mosaica. Il Tempio fu, sin dall’inizio, luogo privilegiato dell’incontro fra il Dio dei patriarchi e il suo popolo. La predicazione dei profeti insisterà nel ricordare che il Tempio di Gerusalemme, a differenza dei templi dei popoli pagani, non contiene né la divinità né un suo simulacro, un idolo: il Dio d’Israele è spirito, è presente ovunque accanto al suo popolo e non può certo essere contenuto in una costruzione umana, per quanto grande e sontuosa possa essere. Il Tempio è invece segno della presenza di Dio in mezzo ad Israele, luogo di residenza della sua gloria; il rapporto fra Israele e il suo Dio, e il suo Tempio è dunque diverso e assolutamente originale rispetto a quello dei popolo in mezzo a cui gli Ebrei vivevano.
Il culto religioso iniziò ad essere accentrato a Gerusalemme all’epoca di Davide e di Salomone. Oltre alle motivazioni di ordine religioso certamente i due re nutrivano anche il progetto politico di unificazione del regno. In effetti alla morte di Salomone il regno si divise in due parti e al Nord vennero eretti altri santuari.
La conquista babilonese del 586 a.C. porterà alla distruzione del Tempio di Salomone e alla scomparsa dell’Arca. Il Tempio sarà riedificato da Zorobabele (515 a.C.). Questo secondo tempio, decisamente più modesto del precedente, venne profanato da Antioco IV Epifane nel 169 ed in seguito purificato da Giuda Maccabeo.
Erode il Grande ebbe l’ambizione di rinnovare il Tempio, cercando in questo modo di diventare immortale legando il suo nome a quella costruzione. I lavori iniziati nel 20 d. C. durarono per ben 18 anni. La superficie utilizzata da Erode era molto più ampia di quella precedente. Questo tempio venne distrutto nel 70 d.C. dai Romani i quali saccheggiarono il tesoro: i candelabri, la mensa dei pani furono trasportati a Roma come bottino di guerra.

Il Tempio di Gerusalemme

L’edificio del Tempio di Gerusalemme era rettangolare e misurava 30 metri per 10. La parte riservata al tempio era composta di un atrio (ulam), di una sala interna (hekel) detta Santo, ove accedevano a turno tutti i sacerdoti, uno per giorno; c’era infine la parte più interna, il debir, Santo de Santi, ove era presente Dio e pare che, su modello dei templi orientali, fosse sopraelevato. Il Debir era quasi tutto ricoperto d’oro. In questo posto fu custodita l’Arca dell’Alleanza che vi rimase per circa 400 anni. Qui poteva entrare il sommo Sacerdote una volta sola l’anno nel giorno della Purificazione del Popolo. Qui poteva pronunciare il Nome di Dio, cosa che era assolutamente vietato fare durante tutti gli altri giorni. Nel Santo dei Santi era custodita l’Arca dell’Alleanza.
Sui tre lati esterni del tempio furono aggiunte altre costruzioni, che dovevano probabilmente servire sia per i sacerdoti sia per i Leviti, coloro che si dedicavano ai vari servizi per il culto.
Sempre fuori del tempio era stato eretto un grandissimo altare che era probabilmente posto proprio sulla roccia di Ornan e che aveva una base di 10 metri per 10. Questo altare serviva per i sacrifici. A destra dell’altare fu posto il Mare di bronzo, un enorme bacile di bronzo col diametro di 5 metri, alto 2,5 e sostenuto da dodici buoi, anch’essi in bronzo: serviva per raccogliere l’acqua per le abluzioni rituali. Pare che ci fosse anche una tribuna di bronzo su cui prese posto il re Salomone nel giorno della festa della Dedicazione del Tempio.
Davanti al vestibolo erano drizzate due colonne di bronzo di 18 cubiti di altezza, che erano sormontate da capitelli di 5 cubiti anch’essi di bronzo. Esse non avevano la funzione di sostenere il vestibolo, ma erano poste semplicemente davanti ad esso. Le colonne continuavano la tradizione delle massebot dei cananei o dei Fenici. Oggi invece sono stati interpretati come due immensi candelabri. Le colonne venivano chiamate Yakin e Bo’az.
Utilizzando informazioni bibliche (1Re 6,36; 7,12) sappiamo che i muri di questa costruzione erano formati da ordini di pietre squadrate ed un ordine di travi di cedro.
Il secondo tempio, che risaliva all’epoca persiana, era stato costruito sul modello di quello originale. Non poteva sicuramente essere equiparato a quello salomonico perché, in quel periodo, i mezzi economici mancavano e non torneranno mai più per Israele il fasto e la ricchezza di quel tempo.
Il tempio era composto di due cortili:
1) cortile dei Gentili (goym) cui potevano accedere tutti, anche le Genti (Gentili = pagani, non Israeliti); qui si trovavano i cambiavalute,, i venditori d’animali per i sacrifici e le scuole dei Maestri della Legge;
2) cortile degli uomini, dove gli Ebrei purificati dalla circoncisione potevano giungere per portare i loro sacrifici.
Per il resto, il Santo rimarcava circa quello precedente. Vi era un piccolo altare d’oro che serviva per bruciarvi l’incenso, la “tavola dei pani della preposizione” ed il candelabro a sette braccia. Nel Santo dei Santi non vi era nulla, sola pietra che ricordava l’Arca dell’Alleanza che era andata perduta. Il tempio venne molte volte profanato, ma il culto riprese sempre.
Verso il 20-19 a.C. Erode decise di ristrutturare profondamente il tempio, spinto dalla stessa ambizione che lo aveva portato a costruire la fortezza di Masada, l’Herodion e diverse altre dimore personali.
Alla costruzione, che fu veramente grandiosa, lavorarono 10.000 operai. Poiché i laici non potevano entrare in tutti i locali, fecero apprendere il mestiere di muratore a 1000 sacerdoti. In 10 anni furono compiuti i lavori essenziali, ma il resto del lavoro durò molti anni, sino al 64 d.C.
Il complesso fu enorme. Per ovviare al dislivello del terreno furono impiegati blocchi di pietra lunghi dai nove ai 12 metri che ancora oggi si possono vedere. A questo complesso templare si poteva accedere attraverso otto porte ed era diviso in tre parti:
• Il Cortile dei Gentili che era quasi ampio come l’area sopraelevata, sostenuto dalle sottostrutture enormi di cui si è detto e che ancora si possono vedere. Questo era circondato da portici: il Portico d’Erode, il Portico regio o Basilica di Salomone; l’angolo Sud/Est dominava la Valle del Cedron ed aveva uno strapiombo di 90 metri e può essere identificato col Pinnacolo del Tempio di cui si comunicano notizia i Vangeli(Mt 4,5; Lc 4,9). All’area si poteva accedere attraverso 4 porte : una scavalcava la Valle del Tyropeion e collegava alla città alta; nel muro di cinta a Sud vi erano due porte che oggi sono murate, ma che possono essere ancora ben distinte e che dalla Mishna sono chiamate porte di Hulda, la Porta duplice e la Triplice; ad Est doveva trovarsi la porta di Susa, oggi chiamata Porta Aurea (oggi vi sono due porte murate); a Nord vi era la Porta Tadi che stava tra la Fortezza Antonia e la Piscina detta d’Israele. A Nord – Ovest stava la Fortezza Antonia.
• Il Tempio contenente due cortili ed il santuario vero e proprio. Attorno vi era una balaustra che non poteva essere superata dai pagani. I trasgressori potevano essere messi a morte. Questo era una vera e propria fortezza, posto su un basamento di 20 metri, ed era diviso nell’Atrio delle donne, nell’Atrio degli Israeliti e nell’Atrio dei sacerdoti. La Porta Bella immetteva nell’Atrio delle donne, dove si poteva entrare anche attraverso due altre porte a Nord ed a Sud. Attraverso una grande e maestosa gradinata si poteva entrare nell’Atrio degli Israeliti a cui si poteva accedere anche dalla Porta di Nicanore che aveva due grandi portoni di bronzo e da altre sei porte poste a tre a Nord e tre a Sud. Solo gli uomini potevano entrarvi, alle donne n’era vietato l’ingresso perché il sangue mestruale avrebbe potuto profanare il santuario. Gli uomini però dovevano fermarsi in questo luogo e non proseguire oltre, verso l’Atrio dei sacerdoti. In mezzo a questo atrio sorgeva l’Altare degli olocausti, che era a forma quadrata di 16 metri per lato ed alta 7. Verso ovest si elevava la facciata del Santuario. Tra l’altare ed il santuario era stata posta la Conca che serviva per le abluzioni, mentre verso nord vi erano costruzioni che erano impiegate per preparare gli animali per i sacrifici.
• Il Santuario: il vestibolo era lungo 50 metri, alto 50 metri e largo 50 metri, mentre poi si restringeva a 30. Era coperto di marmo bianco con ornamenti d’oro. Il santuario era costruito secondo il modello originario di Salomone.

WIP 2 - Gerusalemme

Gerusalemme, situata al centro della Giudea, è la città più importante nella storia della salvezza.
La città è adagiata su due colli, il Gareb e il Monte Sion, ed è circondata da due valli: a sud-ovest troviamo la valle della Geenna (Valle di Hinnon), a est la valle del Cedron (o valle di Giosafat) che sin da epoche lontanissime è stata utilizzata come luogo di sepoltura; qui vi sono due fonti d’acqua particolarmente importanti per la città perché garantivano l’approvvigionamento idrico: la fonte di Ghihon e la fonte di Roghel. Inoltre la città è attraversata dalla Valle del Tyropeion.
I primi insediamenti umani nella zona risalgono al III millennio a.C. Prima della conquista da parte di Davide, Gerusalemme era una delle città-stato cananee. Al tempo di Gesù, secondo quanto ci racconta lo storico contemporaneo Flavio Giuseppe, la città aveva un triplice ordine di mura, aggiunte gradualmente a nord per conglobarvi nuovi quartieri. Purtroppo oggi è impossibile farle tornare alla luce data l’alta densità di abitazioni presenti in questa zona vecchia della città.
Anche se la predicazione di Gesù si svolge prevalentemente in Galilea, tuttavia i Vangeli sono concordi nell’attirare l’attenzione del lettore su Gerusalemme, luogo fondamentale nella vita di Gesù, perché a Gerusalemme fu crocifisso, morì, risorse e ascese al cielo. Il Vangelo di Luca, che vuole essere il racconto della Parola di Dio incarnata in Gesù, che da Nazaret scende verso Gerusalemme per essere glorificato e di qui partire per il centro del mondo e cioè Roma (Atti degli Apostoli), inizia con la scena dell’incontro di Zaccaria nel Tempio di Gerusalemme e termina con la preghiera dei discepoli nel Tempio.
La vita di Maria la Madre di Gesù è legata a quella del Figlio di Dio. Nei Vangeli vediamo Maria che si reca nei pressi di Gerusalemme per far visita alla cugina Elisabetta. Poi la ritroviamo a Gerusalemme per offrire Gesù Bambino al Tempio. Essendo una ebrea osservante, Maria si è recata in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme: una testimonianza di queste visite la troviamo nel Vangelo di Luca. Maria è poi presente sotto la croce e nel cenacolo il giorno di Pentecoste.

WIP 3 - La rivelazione del nome

Il nome del Dio dei padri era El Shaddaj (Genesi 17,1).
Esodo 3 pone due problemi:
• uno filologico che riguarda l’etimologia del nome YHWH;
• uno esegetico-teologico e cioè il significato e la portata della rivelazione trasmessa dal racconto.
YHWH deve essere considerata una radice arcaica del verbo essere, una forma verbale che può essere tradotta alla lettera: “Io sono ciò che sono” (Dio non dà il nome suo proprio, ma esprime un modo attraverso cui definirlo) oppure “Io sono colui che (sono) è”, cioè l’esistente per eccellenza (così è tradotto dai Settanta).
Dio è il solo vero esistente: è trascendente, e quindi resta inaccessibile alla completa comprensione dell’uomo; è provvidente, interviene cioè nella storia dell’uomo indirizzandola verso la Salvezza.
Nella Bibbia troviamo anche El-Shaddaj, ossia il Dio della steppa o della montagna (luogo della forza, della potenza, della tempesta). El Shaddaj è la divinità di un clan famigliare: è il dio dei padri che protegge. Si tratta di un monoteismo pratico, non teoretico, perché non esclude l’esistenza di altri dei. Tuttavia El Shaddaj è diverso dalle altre divinità perché non è il dio di un territorio, ma segue il clan ovunque vada, anzi ancor meglio è il dio che conduce, il dio vero, il dio della Bibbia. I Settanta tradurranno El Shaddaj con il Dio onnipotente. Il dio che si presenta a Mosè è lo stesso El Shaddaj che si manifesta come l’Essere, l’Esistente: si approfondisce la conoscenza di Dio.
Gli Ebrei, per rispetto, quando trovano questo nome non leggono YHWH ma Adonai, che corrisponde a “il Signore”. Se si sovrappongono le vocali di Adonai e le consonanti di YHWH si ottiene “J e H o W a H”, ma nessuno legge “Geova” eccetto i Testimoni di Geova. Si tratta però soltanto di un artificio escogitato dagli Ebrei per ricordarsi di leggere Adonai in luogo di YHWH.
Cosa significa che Dio manifesta il proprio nome con YHWH (Egli è/Io sono)? Significa che Dio esiste, è presente in mezzo al suo popolo, in maniera immediata, vicina. Egli è un essere esistenziale, di presenza, di attività, di salvezza, e non solo trascendente, lontano o non provvidente. Egli è lì che salva, che libera.

Esodo fuga ed esodo cacciata

La Bibbia ci dice che le tribù che si erano recate in Egitto per non essere vittime della carestia si erano stabilite nelle città di Pitom e Ramses, dove lavoravano nei cantieri che servivano all’edificazione delle opere dei faraoni.
Ad un certo punto però pare che questo gruppo di tribù, insofferente per il trattamento loro riservato dal faraone, decida di lasciare l’Egitto per sottrarsi alla dura schiavitù.
Non dobbiamo pensare che l’esodo abbia avuto per la storia dell’Egitto quella eccezionale importanza che gli attribuisce la Bibbia. Ci sono a questo riguardo almeno tre interpretazioni:
1. L’esodo sarebbe stato la fuga di un limitato gruppo di persone al servizio del faraone.
2. L’esodo sarebbe stato un’espulsione da parte degli Egizi di quelle tribù che erano state accolte in un primo momento.
3. L’esodo sarebbe stato vissuto da due gruppi di tribù: il primo fuggì, il secondo venne espulso.
4. L’episodio dell’inseguimento (Esodo 14,15) probabilmente fu soltanto un episodio militare limitato ad alcuni contingenti di truppe egizie di confine.

WIP 3 - Per-Ramses in un documento egizio

Sono arrivato a Per-Ramses e l’ho trovata in ottime condizioni, è un bel posto, non paragonabile a nessun altro. Risiederci è molto piacevole, essa è ogni giorno (piena) di provviste alimentari, i suoi laghi di uccelli, i suoi stagni di pesci, i suoi prati sono verdeggianti di erba, le sue rive producono datteri, i suoi meloni abbondano sulla sabbia… I suoi granai sono colmi di orzo e di grano da giungere fin quasi al livello del cielo.
(Lettera di un contemporaneo di Ramesse)

Chi ci darà da mangiare delle carni? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto senza spendere, ci tornano in mente i cocomeri, i poponi, le cipolle e gli agli. Chi ci darà degli agli da mangiare? Stavamo bene in Egitto!
(Numeri 11, 4-5; 18)

La stele di Merneptha

La stele di Merneptah è stata scoperta da Flindus Petrie nel 1895 all’interno del tempio funerario del faraone ed oggi è conservata al Museo del Cairo. La stele contiene 28 righe, alcune delle quali parecchio danneggiate, di cui 25 inneggiano alle conquiste operate dal faraone sui Libici nel V anno del suo regno. Questo particolare fa pensare che si possa datare il tutto al 1230 a.C. Il poema verso la fine riporta anche la sottomissione dei Paesi asiatici.

WIP 3 - L’esilio a Babilonia e la sinagoga

Il regno di Giuda, pur avendo conosciuto l’opera di grandi sovrani, come Ezechia e Giosia, e di grandi profeti, come Isaia e Geremia, divenne sempre più debole, finché fu conquistato dai Babilonesi nel 586. Gerusalemme fu saccheggiata, il tempio distrutto: l’Arca dell’Alleanza scomparve durante il saccheggio. Molti capi del popolo, e una parte della popolazione di Gerusalemme e della Giudea, furono deportati in Mesopotamia.
Iniziava così la grande dispersione (diaspora) del popolo d’Israele in mezzo ai popoli stranieri, adoratori degli idoli. Mentre gli antichi territori della terra di Israele restavano desolati e Gerusalemme era in rovina, i deportati cominciarono una nuova vita in terra straniera. In Babilonia gli ebrei ebbero il permesso di svolgere attività per proprio conto e di possedere piccoli poderi; per circa settant’anni, il popolo visse in esilio lontano dalla Terra Promessa. In questo periodo la voce dei profeti continuò a risuonare in mezzo al popolo.
Gli Ebrei erano profondamente provati dalla sconfitta e dall’esilio: essi ritenevano di essere stati puniti da Dio per i loro peccati e per aver tradito la sua Alleanza. La punizione era stata eseguita dai popoli nemici e si era concretizzata, in modo terribile, con la perdita della Terra Promessa, la distruzione di Gerusalemme e del tempio, l’esilio. Gli Ebrei si chiedevano se Dio li avesse abbandonati e se mai più avrebbero potuto conoscere di nuovo la salvezza.
Furono proprio i profeti a dare nuovo coraggio a nuova speranza al popolo d’Israele. Dio aveva sì puniti gli Israeliti, ma per chiamarli a conversione: il sincero pentimento del popolo avrebbe assicurato il ristabilimento di un rapporto corretto con Dio. Egli ricordava la profondità del suo amore e l’impegno a realizzare la salvezza promessa. I profeti annunciano così il perdono e, con parole di grande consolazione e speranza, l’imminenza del compiersi delle promesse di salvezza.
Proprio durante l’esilio nasce la sinagoga. La sinagoga è l’assemblea di una comunità di Israeliti, che si riuniscono per pregare il Dio dei padri, per leggere le Sacre Scritture e commentarle. L’assemblea si riunisce in un luogo costruito appositamente, che prende anch’esso il nome di sinagoga. Questo edificio diventa un po’ la casa della comunità religiosa: luogo di preghiera, ma anche di assemblea e di studio, la sinagoga accoglie i manoscritti dei libri sacri, in particolare della Torah, e altri manoscritti di carattere religioso. In sinagoga gli Ebrei si riuniscono di sabato, giorno dedicato al riposo dal lavoro e alla preghiera, per leggere le sacre Scritture e commentarle; nella sinagoga insegnano i rabbini, esperti della legge mosaica (dottori della Legge): a loro spetta di sabato il commento delle Scritture. Durante gli altri giorni della settimana, i rabbini insegnano ai piccoli ebrei maschi a leggere e a scrivere, avendo come libro di testo la Bibbia.

WIP 3 - La società ebraica del I secolo

Le autorità religiose.

Il potere religioso era governato da un gruppo di sacerdoti organizzato in modo gerarchico. A capo dei sacerdoti vi era il Sommo Sacerdote, carica che al tempo di Gesù era ambita per poterne gestire il potere. I Sadociti potevano compiere i sacrifici cruenti, ma poiché erano numerosi essi dovevano rispettare un turno per poter sacrificare al Tempio e per compiere la liturgia loro spettante. Normalmente non vivevano a Gerusalemme. I Leviti invece erano sacerdoti di rango minore e, pur appartenendo al gruppo dei sacerdoti, dovevano occuparsi di compiti minori all’interno del tempio: ad esempio erano addetti alle pulizie e ad ogni altro lavoro manuale. Il Sinedrio, composto da un gruppo di sacerdoti e di anziani delle famiglie influenti, funzionava come tribunale.

I gruppi sociali.

Al tempo di Gesù esistevano diversi gruppi religiosi che si differenziavano per quanto concerne il riconoscimento dei libri sacri, la fede nella sopravvivenza dopo la morte, l’attesa messianica e la pratica da seguire nella vita quotidiana per l’osservanza della kasherut, la normativa ebraica sul cibo.
Al gruppo dei farisei appartenevano i più rigorosi e fedeli osservanti della Legge. Essi accettavano, oltre alla raccolta della Torah, anche gli altri libri ed erano convinti che solo rispettando scrupolosamente la Legge il popolo avrebbe potuto ottenere la salvezza. Ma nella loro osservanza i farisei erano così esigenti da estendere a tutto il popolo le norme che dovevano essere osservate dai sacerdoti. Al tempo di Gesù essi attendevano un messia liberatore del popolo, così com’era stato Mosè. Molti di loro erano scribi e dottori della Legge: per generazioni dalle loro fila furono tratti i rabbini di Israele. Quasi tutti i farisei avevano anche un mestiere per potersi mantenere da soli. Il solo gruppo che si salvò dalle due rivolte giudaiche fu proprio quello dei farisei.
I sadducei appartenevano alla nobiltà ed alle grandi famiglie sacerdotali e, volendo conservare il loro potere, intrattenevano molti rapporti con i Romani. Essi davano molta importanza al culto del Tempio perché credevano fosse sufficiente compiere un culto perfetto per ottenere la salvezza; non accettavano come sacri i libri che non erano entrati nella Torah e attendevano un Messia sacerdote.
Gli zeloti pensavano che per Israele fosse molto importante riuscire a liberarsi dal dominio dei Romani, che cercavano di vincere con tutti i mezzi: molti di loro parteciparono alle due rivolte giudaiche contro i Romani. Gli zeloti attendevano un Messia re, come Davide.
I sicari erano un gruppo di nazionalisti intenzionati a liberarsi dei Romani con tutti i mezzi. Per accelerare la rivolta, erano soliti provocare tafferugli nelle zone molto frequentate, come i mercati. Si chiamano così perché usavano un coltello particolare, la sica, con cui accoltellavano i soldati romani.
Gli esseni ritenevano che il tempio fosse ormai contaminato dalla presenza dei pagani e dall’uso improprio del culto. Poiché il tempio era stato contaminato non era più possibile celebrare un culto gradito a Dio. Perciò al sacrificio cruento avevano sostituito il sacrificio delle labbra, ossia la preghiera, la sola forma liturgica che essi pensavano potesse ancora essere gradita a Dio. Tra gli esseni vi erano sacerdoti e persone comuni. Secondo qualche studioso, un gruppo di esseni molto rigido e molto devoto, per poter vivere veramente nella preghiera e nella purità rituale, aveva abbandonato Gerusalemme e si era stabilito a Qumran. Qui avevano fondato una comunità che si preparava a combattere la guerra dei Figli della Luce contro i Figli delle tenebre. Si deve al lavoro ed allo studio degli Esseni la salvaguardia dei rotoli dei testi della Bibbia: essi infatti, temendo il sopraggiungere dei soldati romani, custodirono in anfore di terracotta tutti i testi usati dalla loro comunità e li ripararono in grotte che numerose si aprivano nei pressi di Qumran, la località in cui si erano stanziati.
Appartenevano alla categoria degli scribi gli studiosi della Legge: il loro lavoro era importante perché essi potevano essere consultati per dirimere i dubbi sull’esatta interpretazione di un testo. Gli scribi, tuttavia, avevano anche la responsabilità di redigere alcuni registri, dove venivano annotati gli avvenimenti più importanti di ogni anno.

Le feste

La Pentecoste (sette settimane o cinquanta giorni dopo Pasqua): subito dopo la liberazione e l’uscita dall’Egitto, dobbiamo ricordare l’Alleanza che ogni Israelita e tutto il popolo ha stretto con Adonai e di cui la Torah è il documento. Si tratta di un avvenimento molto importante. Se infatti Mosè deve essere ricordato come il mediatore tra il Popolo e Dio, deve altresì essere celebrato il fatto che la Legge che Dio ha consegnato a Mosè è stata accettata da tutti coloro che erano presenti sotto il monte Sinai.
La festa delle Capanne è una festa antica durante la quale si ringraziava per i frutti del raccolto. In questa circostanza si ricorda l’Esodo e il tempo trascorso dal popolo di Israele sotto le tende nel deserto. Per questo motivo si costruiscono capanne e si vive il periodo della festa all’aperto, accontentandosi di ciò che si può avere in queste costruzioni di fortuna, facendo così memoria della vita frugale dei nomadi.
Il giorno di Kippur (o giorno dell’espiazione) è la festa in cui tutto il popolo chiede perdono a Dio per i propri peccati. Per aiutare l’israelita a ricordare tutti i peccati commessi durante l’anno, è stato stilato un elenco in ordine alfabetico. I rabbi sostengono che l’elenco in ordine alfabetico è un atto di misericordia nei confronti degli uomini, perché questi possono commettere peccati così numerosi da non aver mai fine, mentre invece l’elenco alfabetico ha una fine. Durante questa festa un tempo si celebrava un rito importantissimo: al Sommo Sacerdote erano consegnati due capri e uno dei due veniva offerto in olocausto. Procedendo nel rito il Sommo Sacerdote prendeva simbolicamente su di sé i peccati del popolo, che scaricava con un rito di tipo esorcistico sul secondo capro, che veniva condotto nel deserto e qui abbandonato a se stesso per trovare la morte. È necessario ricordare che il deserto per gli Ebrei è il luogo del mistero, il luogo in cui Dio sottopone l’uomo alla tentazione e alla prova, ma è anche una regione abitata da tutti gli spiriti immondi e dalla presenza di Satana. Si diceva che il capro moriva “sotto i peccati degli uomini” e cioè era schiacciato da tutte le impurità degli Israeliti: da qui è nata l’espressione “capro espiatorio”. Era in quell’occasione che il Sommo Sacerdote, entrato nel Santo dei Santi, poteva pronunciare il Nome di Dio.
La festa della luce vuole ricordare quella celebrata da Giuda Maccabeo dopo aver liberato la Palestina dai sovrani siriani che l’avevano occupata. In quell’occasione egli purificò il Tempio dalle violazioni fatte dai Seleucidi e con quel rito volle festeggiare solennemente la riapertura del Tempio ad un corretto e puro culto di Adonai. A Gerusalemme si facevano grandi luminarie soprattutto al Tempio. Per otto giorni consecutivi gli Ebrei pongono dei lumi davanti alla finestra aggiungendone uno ogni sera. Questa festa cade tra novembre e dicembre.
Vi sono poi altre festività tra il civile ed il religioso, tra cui il capodanno Rosh ha Shanà, che cade fra settembre ed ottobre: si tratta di una giornata di penitenza e di digiuno. Forse meno sentito è il Carnevale detto Purim (le sorti) con il quale si ricorda l’intervento della regina ebrea Ester presso suo marito, il re persiano Serse, in difesa del suo popolo. È precisamente per mezzo dell’intervento della regina che gli Israeliti scamparono ad una terribile persecuzione. In quell’occasione è possibile vedere adulti e bambini girare mascherati per la città di Gerusalemme.

La Pasqua
La parola Pasqua deriva da una radice che indica il saltare, il passaggio tra due situazioni, ma anche l’andare oltre. Infatti chi “fa pasqua” o è “nella pasqua” passa da una situazione negativa ad una positiva. La festa israelitica della Pasqua proviene dalla fusione di due riti:
• Il primo fa riferimento al patrimonio tradizionale del gruppo di tribù nomadi che avevano fatto l’esperienza dell’esodo e della permanenza nel deserto. Si tratta di una festa nata nell’esperienza di popoli nomadi, che traevano il loro sostentamento dalla pastorizia e che aveva come momento fondamentale del rito l’uccisione dell’agnello, che diventava offerta e al tempo stesso richiesta di fecondità per il gruppo umano e per il gregge. Il rito era celebrato nella notte in cui i pastori abbandonavano i pascoli invernali per recarsi in quelli estivi. Verso Pasqua, infatti, il deserto iniziava a fiorire e quindi gli animali in cammino potevano trovare cibo, che avrebbe continuato a sfamarli anche nei periodi di siccità. Ma questo è anche il momento in cui le pecore-madri partoriscono e danno alla luce gli agnelli, che possono morire nella transumanza: da qui l’immagine del pastore, che porta sulle spalle gli agnelli che non ce la fanno a camminare perché troppo stanchi. Si tratta di un periodo di grande benedizione, ma anche di estremo pericolo: è in gioco la vita delle pecore gravide, quella degli agnelli, ma anche quella dell’intera famiglia o addirittura della tribù. Nel caso di molte perdite nel gregge, la gente non potrà contare sul latte, sul formaggio e sulla carne. Anche la lana necessaria per gli indumenti sarà ridotta. Il nomade nel deserto vive di questo. Per questo motivo, nella notte della luna piena (plenilunio di primavera), il 14 di Nissan, un mese lunare di 28 giorni (perché gli Israeliti seguivano e seguono il calendario lunare) il gruppo famigliare si riuniva, il capo-famiglia sceglieva un capro o un agnello di un anno di vita (nato nell’anno precedente), il primo nato, senza difetto, e lo sacrificava a Dio. Il sangue veniva raccolto (non si poteva consumare) e con esso venivano aspersi il gregge, le mogli, i figli, gli stipiti della tenda. Era questo un rito di purificazione ed insieme un esorcismo, perché si intendeva scacciare eventuali spiriti cattivi che si fossero impossessati dei beni del capo-famiglia. L’agnello veniva poi arrostito e consumato mentre si era in procinto di partire.
• Il secondo rito era patrimonio dei popoli sedentari che abitavano nella Terra di Canaan. Questi popoli erano soprattutto formati da Cananei, i quali festeggiavano il primo raccolto dell’orzo, le nuove erbe, la nuova farina e il nuovo lievito. In questo periodo infatti era necessario eliminare il lievito vecchio, che ormai aveva perso vigore, per crearne uno nuovo, più forte. La loro festa durava una settimana, durante la quale si consumavano focacce non lievitate.
Nel momento in cui i due gruppi si incontrano, familiarizzano e riconoscono di avere la medesima fede in Dio, avviene anche la fusione dei due riti. Si viene così a creare una festa della durata di una settimana (da sabato al sabato successivo) in cui, nella notte del plenilunio, ci si ciba dell’agnello e si consumano le mazoth, ossia i pani azzimi.
Durante il Seder (ordine) di Pasqua il più piccolo partecipante chiede al più anziano perché quella sera si trovino riuniti, vestiti con abiti da viaggio e perché stiano mangiando quei cibi e non altri. L’anziano in quel momento inizia il racconto con le parole: «Arameo errante era mio padre e scese in Egitto…»; continuando così il racconto, giunge sino ai nostri giorni, ricordando tutti gli interventi che Dio ha fatto in favore di Israele. Durante la cena vengono fatti passare tra i partecipanti alcuni calici di vino.

WIP 3 - I testi sacri dell’ebraismo

Mishnah, Ghemara, Halaka, Haggadah, Talmud

La parola Mishnah indica il ripetere, lo studiare, ma anche l’insegnare: il significato si può estendere sino all’azione dell’imparare a memoria qualcosa (in questo caso ci riferiamo alla Torah orale). Per la tradizione ebraica, quando Dio sul Sinai trasmise la Legge scritta, consegnò anche la Legge orale. Essa venne tramandata di generazione in generazione ed è molto importante perché la sua esatta trasmissione mise al sicuro Israele durante le persecuzioni a cui venne assoggettato. Fu Rabbi Giuda, detto il Principe (con i Tannaim, i Maestri Anteriori al II secolo), che si dedicò alla codificazione della Mishnah, testo utilizzato come punto di partenza per lo sviluppo del lavoro del Giudaismo rabbinico. La Misnha si divide in sei ordini:
• Zeraim (sementi)
• Moed (feste)
• Nashim (donne)
• Nezikin (danni)
• Qodashim (cose sante)
• Taharot (purificazioni).
Ogni ordine contiene alcuni trattati (dissertazioni): in tutto sono 63.
Col tempo si venne formando il Talmud, un insieme di leggi che conosciamo in due versioni Babilonese e palestinese. La parola Talmud significa insegnamento, studio, discussione. Originariamente i maestri della Legge, quando commentavano la Torah scritta, lo facevano oralmente, ma dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme le condizioni mutarono improvvisamente quanto drasticamente. Distrutto il Tempio, l’ebraismo si vide costretto a mutare anche il vecchio metodo di studio che si basava sull’oralità. I primi testi messi per iscritto probabilmente assunsero una forma di midrash. Tuttavia, anche nella vita quotidiana diventava necessario trovare indicazioni pratiche dalla Torah. La Mishnah venne considerata un’opera troppo concisa e si giunse allora al Talmud. Ad essa venne aggiunta l’opera dei maestri Amoraim, responsabili della Ghemara. Mishnah più Ghemara diedero origine al Talmud.
Nel Talmud troviamo l’Halaka, che contiene prescrizioni legali, e la Haggadah, che presenta il responso ai quesiti sotto forma di racconto istruttivo. In questi racconti possono essere utilizzati vari generi letterari, come le parabole.

Il Midrash
Il Midrash è un genere letterario utilizzato per interpretare la Bibbia attraverso l’impiego della parabola o della allegoria. I saggi ebrei, usando il midrash, volevano ricollegare la situazione di Israele, che in diverse epoche storiche poteva apparire alquanto incerta, con l’elezione da parte di Dio, che aveva in ogni caso scelto il popolo e gli aveva fatto dono della sua rivelazione. La realtà spesso non pareva accordarsi con l’idea di elezione speciale da parte di Dio: il popolo era disperso, perseguitato, malconcio. Ma in questo contesto il midrash serviva appunto per interpretare in modo corretto una realtà che appariva molto differente da quella della rivelazione. Così come l’ebreo era tenuto a interpretare in modo corretto la realtà vissuta dal popolo, non lasciandosi sviare dalla concretezza dei fatti, allo stesso modo doveva essere interpretata la Bibbia. Il mondo è una metafora per la Bibbia e la Bibbia lo è per Israele. Il midrash divenne un forte strumento per rinnovare il testo biblico, i cui versetti sono con questo mezzo interpretati in un quadro più ampio. Così ciò che è scritto nella Bibbia per mezzo del midrash viene adattato al bisogno concreto della comunità.

WIP 3 - Le restrizioni e il ghetto

Durante il Medioevo gli Ebrei vennero sottoposti a restrizioni sempre più pesanti sino a giungere all’espulsione. Come giustificazione a queste violente persecuzioni si accusavano gli Ebrei di compiere sacrifici rituali di bambini e di profanare le ostie consacrate.
Gli Ebrei che si convertirono al Cristianesimo furono molti, ma non sempre si trattava di adesioni sincere poiché frequentemente erano ottenute con forzature e costrizioni. Un fenomeno diffuso fu quello che determinò l’esistenza dei marrani: per sfuggire alle limitazioni, che comprendevano i vari settori della vita e non escludevano neppure il campo professionale, alcuni Ebrei si convertirono pubblicamente, ma continuarono a praticare la loro fede nel segreto delle loro case.
Verso la fine del Medioevo la società non accettò più di avere gli Ebrei sparsi nelle città perché considerava le comunità ebraiche come un corpo alieno. Per questi motivi si decise che le famiglie ebraiche dovessero essere rinchiuse nei ghetti, quartieri isolati che durante la notte venivano sprangati per impedire alla popolazione di uscire. È nel Cinquecento che a Venezia viene istituito il primo Ghetto e più tardi la stessa misura venne presa anche a Roma. Inoltre, progressivamente si istituirono norme che limitavano al massimo i rapporti tra Ebrei e il resto della popolazione.

WIP 3 - Edith Stein

Il 2 agosto del 1942 arriva la Gestapo. Edith Stein si trova nella cappella, assieme alla altre Sorelle. Nel giro di 5 minuti deve presentarsi, assieme a sua sorella Rosa, che si era battezzata nella Chiesa cattolica e prestava servizio presso le Carmelitane di Echt. Le ultime parole di Edith Stein, che ad Echt s’odono, sono rivolte a Rosa: «Vieni, andiamo per il nostro popolo». Assieme a molti altri ebrei convertiti al cristianesimo, le due donne vengono portate al campo di raccolta di Westerbork. Si trattava di una vendetta contro la comunicazione di protesta dei vescovi cattolici dei Paesi Bassi contro i pogrom e le deportazioni degli ebrei. «Che gli esseri umani potessero arrivare ad essere così, non l’ho mai saputo e che le mie sorelle e i miei fratelli dovessero soffrire così, anche questo non l’ho veramente saputo... in ogni ora prego per loro. Che oda Dio la mia preghiera? Con certezza però ode i loro lamenti». Il prof. Jan Nota, a lei legato, scriverà più tardi. «Per me lei è, in un mondo di negazione di Dio, una testimone della presenza di Dio».
(Teresa Benedetta della Croce - Edith Stein, 1891-1942, Monaca, Carmelitana Scalza, martire, www.vatican.va)

WIP 4

Il ministero profetico

È l’incontro col ruàch, lo Spirito di Dio, che rende il profeta un uomo particolare. I profeti non sanno formulare un’idea di Dio, ma lo conoscono intimamene. La presenza di Dio in loro è schiacciante. Quando Dio chiama il profeta, egli non può sottrarsi alla chiamata e deve annunciare il messaggio divino non solo con la parola, ma anche con segni profetici e con tutta la propria vita: un esempio può essere la vita del profeta Osea che sposa una donna infedele, così la vita matrimoniale di quest’uomo di Dio diventa il segno del rapporto tra Dio ed Israele.
Il messaggio di Dio giunge al profeta attraverso una visione, un’audizione o attraverso l’ispirazione interna e può essere trasmesso con la poesia, l’oracolo, il discorso, il racconto, la diatriba, essere espresso attraverso le forme legali usate nei processi antichi, prendere la forma del salmo o del canto di amore, ma sono anche utilizzati la satira e il lamento funebre. Il profeta ha la certezza che questo messaggio non proviene da lui perché conserva il ricordo di un’esperienza particolare, un rapporto intimo avuto con la divinità. Certamente il messaggio ricevuto prende le forme dei doni che egli ha ricevuto da Dio e per questo si differenzia nei vari generi utilizzati. Dio si serve del profeta perché le orecchie degli uomini non sono in grado di comprendere le sue parole. Il profeta perciò è la voce di Dio, lo strumento che egli usa per comunicare col popolo. Egli ha il grave compito di parlare ad Israele in modo da essere compreso.
Il profeta però non può essere confuso con un semplice megafono, uno che trasmette semplicemente ed in modo formale le parole di Dio: egli cerca di andare in profondità nel messaggio, di entrare in un rapporto intimo col suo Dio. Una volta compreso il senso profondo del suo messaggio, egli lo offre mediato dalla sua personalità, confrontandolo con la costante lettura della storia. I profeti ripresentano il rapporto che essi hanno con Dio come una relazione molto intensa, stretta, quasi ineluttabile.

Il monoteismo

I profeti hanno svolto nei confronti di Israele un compito pedagogico, affiancando il popolo verso la comprensione piena del monoteismo, ed hanno permesso lo sviluppo della rivelazione. Solo molto lentamente Israele giunge alla comprensione dell’esistenza di una sola divinità. Per lungo tempo si era accettata l’idea di essere legati ad YHWH come divinità particolare del popolo, quella con cui Israele aveva stretto Alleanza. Tuttavia YHWH era il Dio del popolo, mentre tutti gli altri popoli possedevano le loro divinità. Si trattava di divinità che regnavano su un territorio: in Egitto venivano adorati Osiride, Iside, Ra, Aton; in Mesopotamia Marduk, Tiamat, Inanna, Ishtar e Baal e così pure i Cananei adoravano le loro Ashere e i loro Baal. Il Dio di Israele era particolare: viaggiava col popolo, dunque anche al di là dei confini della Palestina, e non voleva essere rappresentato in alcun modo. Si iniziò anche a pensare che YHWH fosse il Dio più forte, il liberatore di Israele, il più forte ma non l’unico. Israele ebbe sempre difficoltà ad adorare Dio come l’unico. Numerose sono le testimonianze delle violazioni: i re sposavano donne straniere e queste portavano con sé le loro divinità e i sacerdoti addetti al culto che veniva praticato anche in Gerusalemme. Inoltre sulle alture erano praticati i culti alle divinità cananee: si trattava di culti della fertilità, con i loro sacrifici di propiziazione e i loro riti sessuali.
I profeti mettono in risalto come di fatto YHWH diriga non soltanto il destino del suo popolo, ma anche quello di tutte le nazioni: egli si serve addirittura delle grandi potenze per correggere il suo popolo, ma ha il potere di fermare la loro prepotenza nel momento in cui lo decide.
I profeti di Israele si pongono contro il culto falso e smodato che gli Ebrei compivano al Tempio e profetizzano anche la distruzione di questo santuario. Essi riconoscono l’esistenza di un solo Dio, che è santo e la cui fede non consiste nel compimento di riti magici o in sacrifici: essendo profondamente religiosi e legati alla tradizione, si rifanno alla fede più antica del popolo ebraico. Per questo ricordano continuamente i tempi in cui Israele vagava sotto le tende nel deserto con una fede viva e vera.

Le esperienze di Dio

Vocazione di Isaia
Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto sul trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro:
«Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti.
Tutta la terra è piena della sua gloria».
Vibravano gli stipiti delle porte alla voce di colui che gridava, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi:
«Ohimè! io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti».
(Isaia 6,1-5)

Vocazione di Geremia
Mi fu rivolta la parola del Signore:
«Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo,
prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni».
Risposi: «Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare,
perché sono giovane».
Ma il Signore mi disse: «Non dire: Sono giovane,
ma va’ da coloro a cui ti manderò
e annunzia ciò che io ti ordinerò.
Non temerli,
perché i sono con te per proteggerti».
Oracolo del Signore.
Il Signore stese la mano, mi toccò la bocca
e il Signore mi disse:
«Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca.
Ecco, oggi ti costituisco
sopra i popoli e sopra i regni
per sradicare e demolire,
per distruggere e abbattere,
per edificare e piantare».
(Geremia 1, 4-10)

Vocazione di Ezechiele
«Sopra il firmamento che era sulle loro teste apparve come una pietra di zaffiro in forma di trono e su questa specie di trono, in alto, una figura dalle sembianze umane. Da ciò che sembrava essere dai fianchi in su, mi apparve splendido come l’eletto e da ciò che sembrava dai fianchi in giù, mi apparve come di fuoco. Era circondato da uno splendore il cui aspetto era simile a quello dell’arcobaleno nelle nubi in un giorno di pioggia. Tale mi apparve l’aspetto della gloria del Signore. Quando la vidi, caddi con la faccia a terra e udii la voce di uno che parlava».
(Ezechiele 1,26-28)